Uomini contro il Male: Paul Schneider un pacifico combattente

-di MATTEO VISMARA-

Di fronte ad atti e a violenze sempre più riconducibili al razzismo e al nazismo vorrei ricordare la figura meno popolare ma oltremodo significativa del Pastore luterano Paul Schneider.
Figlio di un pastore, è nato il 29 agosto 1897 a Pferdsfeld, nei pressi di Bad Kreuznach. La sua fede, forte e non disposta a scendere a compromessi, lo ha inevitabilmente spinto a entrare in conflitto con lo stato nazista, ma anche con la sua chiesa di appartenenza, quella del Land della Renania. Entrato a far parte della “chiesa confessante”, è stato arrestato una prima volta nel 1934. Altri arresti si sono succeduti, ad esempio per non avere rispettato il divieto di annunciare dal pulpito della sua chiesa i proclami della chiesa confessante.
Il 31 maggio del 1937 fu arrestato dagli uomini della Gestapo e imprigionato a Coblenza, dove passava il tempo studiando la Bibbia, imparandola a memoria e testimoniando come meglio poteva ai compagni di prigionia. Era considerato un nemico dello Stato perché non accettava compromessi nella fede. Un ufficiale lo informò che la causa del suo arresto era stata la sua insistenza nell’insegnamento religioso.
Una mattina, mentre predicava in una delle sue chiese, fu nuovamente arrestato. Paul incaricò la moglie: «Di’ alla chiesa che io sono e rimarrò il loro pastore!». La chiesa lo sostenne e non volle nessun suo sostituto fino alla sua morte.Se Schneider avesse accettato l’esilio e il distacco dal suo gregge, sarebbe stato liberato. A novembre fu trasferito nel campo di concentramento di Buchenwald.
Nella primavera del 1938 fu diramato un ordine che imponeva a tutti i prigionieri di passare davanti alla bandiera nazista e di togliersi il berretto. Schneider dichiarò che il saluto alla bandiera nazista era un atto idolatra e si rifiutò di ubbidire. Gli furono date 25 frustate e fu gettato in una cella oscura.
Paul rimase in isolamento fino alla sua morte.
Subì ripetute e pesanti torture e sofferenze, che però non lo piegarono. Mattina e sera, ogni volta che veniva aperta la porta della cella o che ne veniva condotto fuori per ricevere nuove torture dopo aver predicato dalle sbarre della cella agli altri reclusi, lo si sentiva gridare ad alta voce, a tutti coloro che potevano sentirlo, parole di conforto e di giudizio della Bibbia.
All’inizio dell’estate del 1939 fu tenuto per diversi giorni appeso con le mani dietro la schiena e col corpo continuamente piegato. Questo diabolico metodo di tortura gli causò incessante dolore, ma lui soffriva pazientemente. Che testimonianza dovette essere per i suoi compagni di sventura e per i loro aguzzini! Non fu mai liberato dalla cella di punizione, perché era diventato il pastore dei restanti prigionieri e si temeva la sua influenza.
Morì il 18 luglio 1939 senza vedere la seconda guerra mondiale e l’ orrore dell’Olocausto. Tutto ciò che aveva combattuto tra sofferenze indicibili si stava avverando e avrebbe causato più di 50 milioni di morti. Mi piace ricordare come monito una frase scritta nell’ultima lettera alla moglie:” Se solo potessimo imparare da tutto questo e maturare per mezzo di ciò che ci è accaduto,trionfando così sulle sofferenze!”.

E’ solo un piccolo ricordo ma significativo che volevo condividere con chi, oggi è spaventato e rattristato da questo rigurgito di neofascismo che all’orizzonte si sta riproponendo. E’ nostro dovere non dimenticare le sofferenze patite da molti grandi e sconosciuti uomini e donne che hanno resistito in modo eroico al Male.
Prendiamo esempio!

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