Belice: una ferita, un fallimento, una lezione

-di FEDERICO MARCANGELI-

Nella notte tra il 14 ed il 15 gennaio 1968 un terremoto di 6.4 gradi colpì una vasta zona della Sicilia. La valle del Belice (compresa tra le province di Trapani, Agrigento e Palermo) fu segnata irreparabilmente da quelle ore. Lo sciame sismico partì dalle 13:28 del 14 e si propagò nel corso della giornata con eventi sempre più importanti. Il culmine fu tra le 2.30 e le 3. Quelle scosse furono le peggiori perché colpirono una popolazione inerme nel suo sonno. Le vittime ufficiali furono 296, ma in molti parlano di cifre più alte e di danni più ingenti del dichiarato. Tralasciando la polemica sulle cifre, la protezione civile stimò che il 90% degli edifici rurali della zona fu compromesso irreparabilmente. Per una zona ad economia prettamente agricola questo causò delle ripercussioni incalcolabili.

La drammaticità di questo evento fece emergere tutta l’impreparazione dell’apparato statale esistente all’epoca. In molti denunciarono dei ritardi nei soccorsi ed una complessiva sottovalutazione dell’evento (nelle primissime ore). Le principali cause sono da ricercarsi nello scarso pericolo sismico che le autorità sembra avessero assegnato all’area. Questo causò una iniziale carenza di mezzi, che si convertì in una maggior difficoltà di intervento.

Le maggiori critiche sono piovute sulla ricostruzione, ancora oggi incompleta. Nel 1976 47.000 persone vivevano ancora nelle baraccopoli e solo nel 2006 furono dismesse le ultime 250. Quella che emerge è una lentezza del “sistema Italia” nell’affrontare queste tragedie ed una complessiva inefficienza nelle fasi di risposta alle emergenze sul lungo periodo. La Valle del Belice è costata allo stato italiano 6 miliardi di euro (solo per il ripristino della zona), con l’ultimo stanziamento da 35 milioni che risale al 2015. Puntare il dito contro lo stato centrale non basta però. Il terremoto del Friuli del ‘76 fu molto più devastante e distruttivo, ma nonostante ciò la ricostruzione fu completata in soli 10 anni. Per il disastro siciliano gli strascichi continuano invece anche in anni recenti. Si pensi che la commissione ambiente del senato continua a compiere audizioni con i sindaci della zona, per monitorare i danni post sisma ancora presenti. Durante l’ultimo incontro (27 gennaio 2016) ben 400 Milioni sono stati richiesti per continuare la ricostruzione. Appare evidente che anche localmente la macchina non abbia funzionato e che ci sia stata un’inerzia del sistema nel suo complesso. Non sono rari infatti i casi di denunce per ingerenze mafiose o per fondi attribuiti a soggetti che non ne hanno diritto.

Il quadro italiano non si compone solo di una certa inefficienza post-terremoti, ma anche di carenze nella prevenzione. I molti studi condotti sulla materia non sono concordi nel definire i costi complessivi di un’eventuale messa in sicurezza nazionale. Mauro Dolce (uno dei direttori generali della protezione civile) ha dichiarato al Sole24Ore (il 27 agosto 2016) che gli stanziamenti necessari sarebbero nell’ordine di 50 Miliardi di euro per i soli edifici pubblici. Per i privati si ipotizza un range compreso tra i 300 e gli 800€ al metro quadro (a seconda delle scelte dei proprietari). Il consiglio nazionale degli ingegneri ha prospettato nel 2013 circa 93 miliardi di euro per la ristrutturazione di tutto il paese, oppure 36 per i soli edifici nelle zone ad elevato rischio sismico (il 44% dell’area nazionale). La situazione è quantomai complessa, ma occorre un intervento strutturale che non è più procrastinabile.

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