Il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica: risposta di una studentessa

-di GIULIA CLARIZIA-

Caro Presidente della Repubblica, ho ascoltato con attenzione il Suo discorso di fine anno. Ricambio di cuore gli auguri per quello che è appena iniziato. Faccio parte della categoria di giovani a cui Lei ha fatto riferimento. Mi sono ritrovata nelle Sue parole- quella ragazza di New York che si sente europea, oltre che italiana, sarei potuta essere io- e per questo ho avuto voglia di non lasciarle senza una risposta.

Nell’ultimo anno mi è capitato innumerevoli volte di sentire parlare della categoria “giovani”, e sempre nello stesso modo. La mia vita mi porta spesso in sedi istituzionali. Ho sentito conferenze sui temi più svariati e nelle più belle sale che Roma ha da offrire, e quasi sempre, a un certo punto del dibattito, mi sentivo chiamata in causa nel nome della gioventù di oggi, della “fuga dei cervelli”, della difficoltà di entrare nel mondo del lavoro, di una generazione che deve pagare il prezzo degli errori di quella precedente.

Ho il timore che queste parole servano- forse senza volerlo- a nascondersi dietro un dito. E non lo fanno solo coloro che hanno delle responsabilità politiche nei confronti del passato e del futuro del nostro paese. Lo fanno tutti, giovani compresi.

Siamo talmente tanto bombardati da questa idea che le possibilità sono poche, che per avere una vita dignitosa bisogna emigrare (e sì, usiamola questa parolaccia che ormai associamo solo ad altri popoli), che se il nostro curriculum non è lungo quattro pagine non valiamo nulla, ma che al tempo stesso un curriculum lungo quattro pagine non lo legge nessuno perché si sa, gli si dedicheranno solo trenta secondi. E intanto non ci accorgiamo che le possibilità ci sfuggono dalle mani e che ci sono tanti problemi molto più concreti da denunciare di un generico “in Italia non c’è lavoro”.

Mi preoccupa, ad esempio, un sistema di istruzione che sta diventando malato ed infinito. Mi immagino lo studente del passato. Qualcuno proseguiva gli studi dopo il liceo, qualcuno no. C’era la laurea e poi si affrontava il mondo dei grandi. Oggi se fai solo una festa di laurea non sei nessuno. Se ne fanno due o tre. C’è la triennale, la specialistica, il master, il corso di perfezionamento. Ogni volta una nuova crisi esistenziale per decidere dove andare a sbattere la testa, intanto gli anni passano e tu continui ad essere solo uno studente.

Ma questa è una minuzia rispetto a quello che mi preoccupa davvero per il mio futuro e per quello dei miei coetanei. La cosa interessante, è che le mie più grandi delusioni e preoccupazioni, non riguardano la mia “categoria”. Riguardano tutti gli italiani, e toccano non a caso molti temi che sono emersi dal Suo discorso.

Il 2018 sarà il fatidico anno delle elezioni, e sinceramente, sono preoccupata. AI tempi del referendum, sono stata molto sollevata dal fatto che non siano state sciolte le camere e che non si sia andati subito a nuove elezioni. Anzi, se vogliamo rimandarle di un altro paio d’anni non c’è problema perché in tutta sincerità, non saprei che pesci prendere. Scherzi a parte, la verità è che so perfettamente che pesci NON prendere, e in questo senso mi trovo d’accordo con lei non capacitandomi di come sia possibile che in Italia, un paese dalle più forti tradizioni europeiste, stiano prendendo piede partiti dalle idee sovraniste.

Eppure, se si considera che un ragazzo liceale non ha idea di come funzionino le istituzioni europee in cui vive, non conosce la storia dell’integrazione europea e se è stato a Ventotene lo ha fatto per andare alla settimana velica, non è così strano se l’Europa sia una realtà poco sentita. Ma chi li fa i programmi scolastici? Si continua a parlare solo di antifascismo, ma quello ormai l’abbiamo bello che superato, no?

Eppure, qualche giorno fa sentivo parlare di una serie di rapine che sono avvenute in una zona circoscritta di Roma. Sono stati chiamati i carabinieri, e la risposta è stata la solita. “Signò, ma che le devo fare? Tanto lo prendiamo e poi lo ributtano fuori”. E lì, emblematico il commento. Se ci fosse stato nel Consiglio Comunale qualche amico di quei movimenti di destra, guarda come si sarebbe risolto tutto. Magari a cinghiate. Sarà stata una battuta innocente ma mi ha proprio ricordato un modo di risolvere i problemi che si usava negli anni ’20. Forse i valori antifascisti su cui si fonda la nostra repubblica andrebbero rispolverati nel concreto, e non solo con belle parole.

Questi sono solo alcuni esempi di quelli che vorrei fossero i nostri propositi per il 2018. Oltre ad iscriverci in palestra, miglioriamo il sistema di giustizia affinché vi si possa riporre fiducia. Miglioriamo l’educazione sulle tematiche più importanti della nostra attualità e usiamo la storia per imparare. Diamo una risposta seria alla disoccupazione prendendo delle misure di sostegno economico per un periodo limitato alla formazione alla ricerca effettiva di occupazione, potenziamo i trasporti da Nord a Sud, così che noi giovani possiamo viaggiare con facilità non solo in giro per l’Europa, ma anche in giro per la nostra bellissima Italia, ricordiamo i nostri morti per cause ingiuste, ma non dimentichiamoci di investire sempre sulla vita e sulla sicurezza. Facciamo in modo che non sia accettabile che si discuta per mesi una legge importante come lo ius soli, e poi non si vada al voto per un giochetto di assenze e presenze allo scadere della legislatura.

Facciamo tutti e sessanta milioni un piccolo sforzo per migliorare su questi ed altri aspetti che non vanno. Poi possiamo parlare della fuga di cervelli. Buon 2018 a tutti.

giuliaclarizia

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