Catalogna: il popolo protagonista delle lotte democratiche

-di MAURIZIO BALLISTRERI-

La vicenda catalana ancora aperta deve costituire elemento di riflessione politica per il nuovo anno.

Nelle ultime elezioni in Catalogna, dopo la repressione neofranchista del Governo di Mariano Rajoi, appoggiato dalla sempre più debole Corona spagnola, con lo scioglimento del Parlamento e dell’Esecutivo dopo la proclamazione dell’Indipendenza, i “ribelli” si sono imposti nelle urne, anche a onta dei diktat dell’asse Madrid-Bruxelles, attestato sulla strenua difesa dello status quo, della stabilità monetarista e dei grandi interessi economici e geopolitici oltre che della competizione globale. In particolare, deve far riflettere il Governo di Madrid la scomparsa del Partito Popolare della Catalogna, passato da 11 a 3 seggi: una sconfitta clamorosa del premier spagnolo Rajoy, oltre che della sua vice Soraya Saenz de Santamaria, “commissario di ferro” delle istituzioni catalane dopo la destituzione del governo legittimo, in una logica falangista e reazionaria; anche se il crollo dei popolari ha consentito l’affermazione della destra nazionalista e autoritaria di Ciudadanos.

L’esito elettorale in Catalogna evidenzia come l’uso della repressione da parte delle istituzioni statali non è in grado di impedire a un Popolo di rivendicare con le armi della democrazia, la libertà.

Ad aver vinto sono dunque, gli indipendentisti, che adesso cercano di affrontare la questione catalana attraverso il negoziato in luogo di scelte unilaterali, con una via moderata e gradualista, che sembra avere preso il posto di quella antagonista, sia istituzionale che sociale. Mutatis mutandis, l’attuale fase politica in Catalogna riecheggia la cosiddetta “ruptura-reforma pactada” post-franchista, tra il 1975 e il 1978, fondata sul “compromesso” per cui le opposizioni non entrarono nel Governo provvisorio né misero in discussione la Monarchia, rinviando anche il problema delle autonomie locali. Da quel compromesso nacque la “Ley para la reforma política”, approvata, a larga maggioranza, dalle Cortes “franchiste” il 18 novembre del 1976, con la quale si stabilì che la riforma costituzionale fosse elaborata dalle nuove Cortes, composte da un Congresso di deputati e da un Senato da eleggere attraverso elezioni libere e democratiche. Si vollero evitare allora le polarizzazioni ideologiche, nel ricordo della tragedia della guerra civile degli anni Trenta del ‘900.

Il voto catalano infatti, rischia di generare uno stallo e una palude istituzionale, che rischierebbe di assorbire le reti di autorganizzazione sociale e di disobbedienza politica che hanno costituito il motore per la lotta indipendentista. Sarà il Popolo ad essere decisivo.

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