E nell’oceano del voto elettronico Maroni affondò

-di FEDERICO MARCANGELI-

Il passato weekend referendario può essere letto sotto vari punti di vista, ma un aspetto è certo: Maroni è uscito con le ossa rotte dalle consultazioni. Non solo dal punto di vista politico, ma anche sotto l’aspetto organizzativo. Nonostante esulti per il risultato, solo 3 lombardi su 10 hanno detto “Sì” e questo non è certo un bel biglietto da visita per presentarsi al tavolo del Governo. Il presidente leghista non sembra però tener conto dell’opinione dei suoi elettori e proseguirà con questo tentativo. Le sue promesse (impossibili) di autonomia fiscale non sono bastate, ma nonostante ciò porterà avanti il suo teatrino a spese dei contribuenti.

Ma la vera “pagliacciata” è stata rappresentata dal sistema di voto elettronico. Una tecnologia che avrebbe dovuto velocizzare e rendere più sicure le operazioni di voto, ma che in realtà ha dimostrato moltissimi limiti tecnici. Il problema non è legato al “voto elettronico” in sé, ma è relativo alla pessima organizzazione della Regione, che evidentemente non è stata in grado di gestire l’intero processo.

Partiamo però dal principio. Maroni ha firmato a luglio un contratto da 23 milioni di euro per consentire il voto elettronico al referendum. La gara, vinta dalla venezuelana Smartmatic (tra i leader del settore), riguardava: 24 mila tablet, software ed altri servizi per consentire raccolta, gestione ed acquisizione dei dati. Le operazioni di voto e scrutinio sono tecnicamente molto semplici: Il presidente di seggio inizializza la macchina (con un pin) e deve chiuderla al termine delle elezioni. Il tablet raccoglie i dati dei votanti ed i risultati delle sezioni vengono portati all’ufficio elettorale centrale per una verifica. Il trasporto di queste informazioni avviene attraverso delle chiavette USB consegnate a mano, allo scopo di evitare delle trasmissioni online, tendenzialmente meno sicure.

Giunte alla loro destinazione finale, le memorie subiscono una verifica tecnica (per confermare che non siano state manomesse) ed una lettura per la raccolta dei dati. La domanda che sorge spontanea è: com’è possibile che i risultati siano stati divulgati dopo 13 ore, mentre il veneto ha pubblicato dopo un’ora l’affluenza definitiva? Disorganizzazione principalmente. Ufficialmente i problemi tecnici sono stati due: il blocco di alcune macchine e l’avvio di altre in modalità “test”. Il primo è da attribuirsi ad alcuni presidenti di seggio. Questi ultimi pare abbiano inserito in più macchine lo stesso codice di sicurezza, bloccandone la lettura. Il secondo non è stato ancora chiarito, ma sembra che alcuni tablet non siano stati avviati in modalità “voto” bensì “test”. Ma c’è di più. Secondo alcune fonti di informazione, le circa 3000 pen drive sarebbero state controllate da soli 30 funzionari. Questo avrebbe causato un rallentamento molto pensante di tutte le operazioni. Il risultato finale è stato sotto gli occhi di tutti: pubblicazione dei dati in ritardo e scrutatori bloccati per ore all’interno dei seggi. Situazione comica (se non fosse per l’enorme spreco di soldi pubblici) considerando le dichiarazioni della Smartmatic precedenti al voto: “La tempestiva comunicazione di risultati elettorali precisi è fondamentale ai fini della credibilità di un moderno processo democratico. Proprio per questo motivo i risultati verranno pubblicati online quasi in tempo reale”. Con ciò non si vuole sostenere la superiorità del voto analogico, ma si vuole sottolineare la grande disorganizzazione dimostrata dalla Regione e da Maroni. Il Presidente ha fortemente voluto questa soluzione, investendo risorse e vantandosi (ancor prima del voto) dell’avanguardia tecnologica portata dalla Lega.

La conclusione è abbastanza semplice: se il voto elettronico va gestito così, meglio le care vecchie schede.

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One thought on “E nell’oceano del voto elettronico Maroni affondò

  1. Il voto elettronico a mio avviso pone dei seri problemi democratici. Chi certifica il software? Chi certifica che non ci siano state manomissioni, la stessa società che ha creato il software? Chi garantisce che le chiavette non possano essere manomesse o sostituite? In caso di perdita di dati, come si fa a ricontarli se non c’è un cartaceo? E poichè i sistemi elettorali cambiano, ogni volta ci sarà bisogno di manutenzione e implementazioni, chi le fa? ci si mette per sempre in mano alla stessa società? Si pretende un software “open” (sicuramente crackabile)? ogni volta si fa una gara? o si crea una società statale che produca tale software? Ed inoltre: che fine fanno i tablet? se vengono dati alle scuole chi paga la riconfigurazione? e tra sei mesi quanti ne saranno ancora funzionanti? Insomma, tante ragioni per dire decisamente no al voto elettronico.

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