Ricostruire la democrazia in Europa

 

-di MAURIZIO BALLISTRERI-

La sconfitta della Spd, il brusco arretramento della Cdu della Cancelliera Frau Merkel, con l’irruzione sulla scena politica di un partito nazionalista alle recenti elezioni politiche in Germania, sono fatti politici che devono far riflettere in Europa e in Italia.

Il primo fatto è che la sinistra riformista e socialdemocratica non può inseguire la destra e il centro sul terreno del liberismo, senza classi di riferimento né un progetto politico e sociale di trasformazione, in grado di affrontare le drammatiche contraddizioni sociali del nostro tempo e senza contrastare il nuovo dogma secondo cui il passaggio al postmoderno, al globale, debba trasfigurare sino a renderle neutre e fungibili, destra e sinistra.

E’ tempo di ripensare il modello politico fondato sul superamento della dicotomia destra-sinistra, sulla scia di un partito socialista europeo, e al Pd nel nostro Paese, sempre più omologati all’ordoliberalismo della Merkel, e che oggi guarda a Macron in Francia come un nuovo paradigma politico, con le stesse motivazioni che ispirarono la banca d’affari statunitense JP Morgan a presentare un documento nel maggio 2013, secondo cui: “I sistemi politici dei paesi europei del Sud e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano caratteristiche inadatte a favorire l’integrazione. C’è forte influenza delle idee socialiste”

Eppure, nella sinistra non mancano fermenti: dall’indubbio successo di James Corbyn in Gran Bretagna al ruolo di Jean-Luc Mélenchon, candidato alle presidenziali francesi con un programma che vedeva al centro, la questione sociale e quella ecologica, passando per l’originaria impostazione di Syriza in Grecia e al dialogo di Podemos con i socialisti spagnoli di Pedro Sanchez, il governo in Portogallo guidato dal socialista Antonio Costa con ilBloco de Esquerda” e i comunisti sino al programma di Bernie Sanders per le passate presidenziali americane.

Serve all’Europa e all’Italia una sinistra plurale, per misurarsi con le degenerazioni della politica leaderistica “prigioniera” del mercato, facendo del lavoro e delle Costituzioni nazionali le bandiere della ricostruzione democratica.

Solo così, la sinistra potrà concorrere a sconfiggere i cosiddetti “populismi”, senza vane giaculatorie, ma affrontando temi strategici quali i diritti sociali, il lavoro, l’immigrazione, il contrasto al potere della finanza globale, la diseguaglianza, la dialettica democratica, quest’ultima espressione di regole condivise dagli opposti schieramenti che condividono i valori di libertà e pluralismo.

Su quest’ultimo aspetto, la crisi catalana è un’autentica cartina di Tornasole: se l’Europa non interviene, mettendo in campo una vera e autorevole mediazione politica, per impedire il dramma di un conflitto tra Madrid e Barcellona che può sfociare nella guerra civile, rischia di mostrare una sorta di inutilità che può metterne a rischio il futuro, con buona pace delle esortazioni in chiave federalista di Eugenio Scalfari, che cita il “Manifesto di Ventotene” nei suoi sermoni domenicali su “Repubblica”, ma dimentica che Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi con quel documento disegnarono un progetto politico fondato in primo luogo sull’equità e la democrazia e non sull’economicismo.

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