Il Pil cresce ma ora ci vuole un vero respiro riformatore

 

-di SANDRO ROAZZI-

Dal Pil del secondo trimestre arrivano segnali interessanti anche se vanno valutati con quella cautela che manca a una politica incamminata verso percorsi che sanno di preoccupazioni preelettorali. Sul piano congiunturale il +0,4% è certamente un dato positivo che apre alla speranza di raggiungere a fine anno anche un +1,5%. Dati che però, ammonisce l’Istat, sono inferiori agli altri grandi Paesi europei e agli Usa. Insomma la ripresa c’è ma non dispensa i suoi favori allo stesso modo. È indubbio che abbia influito un certo dinamismo della domanda interna, ovvero la grande sacrificata della recessione che prima o poi doveva tornare a farsi sentire. Ad essa per ora si accompagna un profilo più… defilato della componente estera sottoposta a stress internazionali di vario tipo. E già osservatori dei mercati finanziari ricordano che questo andamento del Pil non potrebbe essere sufficiente a rafforzare la propensione ad investire e soprattutto a recuperare nuova occupazione stabile e con numeri rilevanti.

Del resto il metodo adottato dal Governo negli ultimi anni, quello di stime prudenti voluto dal Ministro dell’Economia Padoan, dimostra al di là dei compiacimenti di facciata che si è consapevoli del fatto che la crescita economica è una scommessa tuttora aperta. Non a caso le ipotesi che si fanno al Mef a proposito della prossima manovra evidenziano due fattori: le risorse sono pochine e vanno utilizzate soprattutto per il lavoro, il lavoro ai giovani. Una prospettiva che rischia di trovarsi di fronte vari scogli non facili da aggirare. In primo luogo c’è la pressione sempre più forte dei tedeschi volta a convincere la Bce di Draghi a farla finita con la politica monetaria di tassi… rasoterra. E lo fanno come si è visto di recente con le buone ma anche con… le cattive come nel caso di adombrare il “reato” di aiuti di stato. Una vicenda che in autunno potrebbe condizionare lo scenario europeo e i nostri conti pubblici.

In secondo luogo va detto pure che l’avvicinarsi del clima elettorale potrebbe virare verso promesse di “mance” a questo o quel settore economico e sociale da conquistare in una lotta politica che esclude un vero respiro riformatore che includa anche momenti di coesione, invece che fissare punti fermi di una coerente strategia per la crescita.

Infine occorrerà stare a vedere quale sarà il clima sociale dei prossimi mesi: la politica ci ha abituati ad una sempre più netta ed incomunicabile divaricazione fra economia e vivere civile che difficilmente potrà allargarsi ancora senza determinare nuovi conflitti e una pericoloso distacco fra classe dirigente e cittadini. La credibilità di una crescita economica non si misura solo in dati statistici, con i loro molteplici e contraddittori significati, ma anche in termini di qualità della vita. E quest’ultima conta molto nelle scelte e nei giudizi. Per ora inevitabilmente poco lusinghieri nei confronti del confuso balbettio politico su tanti cruciali fronti che interessano le famiglie italiane.

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