Vendita Ilva, ecco il “conto”: cinque, seimila esuberi

 

Cinque, seimila esuberi. La partita della vendita dell’Ilva si è aperta ieri con la presentazione del “conto”. Ed è salatissimo, senza distinzione per tutte e due le cordate, cioè Arcelor Mittal e Marcegaglia che ha presentato la proposta ritenuta migliore dai commissari, e Jindal, Arvedi, Del Vecchio e la Cassa Depositi e prestiti. Proprio nella serata di lunedì, il ministro dello sviluppo Carlo Calenda aveva incontrato la seconda cordata disposta a ritoccare di seicento milioni la sua offerta iniziale pareggiando quella di Arcelor Mittal e Marcegaglia e aggiungendo l’acquisto dell’acciaieria di Piombino. Ma specificando anche che l’iniziale proposta più bassa (1,2 miliardi) dipendeva dal fatto che la cordata avrebbe salvaguardato i livelli occupazionali, 10.800 dipendenti. Ma evidentemente in questa vicenda i numeri vanno e vengono. E anche le offerte visto il tentativo in extremis di Acciaitalia che, comunque, non sembra destinato a mutare la situazione perché i rilanci non saranno ammessi (per accettarli bisognerebbe organizzare una nuova gara).

Ieri Calenda ha voluto vedere prima del vertice plenario con i commissari Ilva, i tre segretari di categoria, Maurizio Landini (Fiom), Marco Bentivogli (Fim) e Rocco Palombella (Uilm). I sindacati avevano spiegato prioritariamente che la salvaguardia dei livelli occupazionali era dal loro punto di vista una condizione ineludibile. I numeri messi sul tavolo dal ministro nell’illustrazione delle due offerte, però, hanno gelato le attese. E, d’altronde, nei colloqui che le due cordate hanno avuto a livello politico nei mesi scorsi avrebbero fatto presente che da un punto di vista occupazionale ci sarebbero stati dei sacrifici da affrontare e che la questione andava ben oltre il ricorso ai classici ammortizzatori essendo i numeri piuttosto rilevanti. E, d’altro canto, la proposta a parere dei commissari migliore, prevede a regime una produzione di sei milioni di tonnellate di acciaio, cioè quasi la metà dell’attuale capacità produttiva dello stabilimento di Taranto con inevitabili conseguenze sugli oltre undicimila lavoratori. Ma al sito produttivo pugliese, bisogna aggiungere gli altri che compongono il gruppo.

I numeri presentati ieri li ha pubblicamente illustrati Landini. Il gruppo Arcelor Mittal-Marcegaglia prevede di impiegare immediatamente 9.400 lavoratori per scendere di altri mille entro il 2023; per Jindal-Arvedi, cioè Acciaitalia, gli occupati scendono subito a 7.800 per risalire a 10.300 nel 2023. Risultato: “In entrambi i piani abbiamo esuberi per circa 5-6000 dipendenti a fronte di un gruppo che attualmente impiega in tutta Italia 14 mila persone”, spiega Landini. I sindacati torneranno a incontrarsi con il ministro Calenda il 1° giugno per offrire la propria valutazione sui piani industriali presentati ma una cosa è chiara: cinque, seimila esuberi per il sindacato sono inaccettabili. E Landini ha aggiunto stizzito: “In questi mesi i sindacati non sono mai stati coinvolti nelle valutazioni dei piani industriali e ambientali per il rilancio dell’Ilva. Ancora adesso ci sono cose che non sono chiare e che vogliamo capire. Inaccettabile che ancora una volta siano i lavoratori a pagare sia in termini di esuberi sia in termini di stipendio”. Marco Bentivogli, a sua volta, ha sottolineato che il governo non ha illustrato i dettagli del piano di ambientalizzazione dello stabilimento di Taranto e ha affermato, bocciando così il piano, che i sacrifici chiesti ai lavoratori sono troppo gravosi. Tra l’altro si prevede il blocco dei salari per i prossimi sette anni.

Nel dettaglio, la situazione occupazionale si svilupperebbe in questa maniera. Nella proposta di Arcelor Mittal Marcegaglia, ci sarebbero immediatamente 4.800 esuberi per arrivare a 5.800 nel 2023. Il gruppo che ha presentato la proposta a parere dei commissari Ilva più interessante, si prevede un costo del lavoro medio pari a 50 mila euro l’anno che a regime salirebbe a 52 mila. Inoltre, il gruppo entro il 2024 conta di realizzare 4 miliardi di ricavi contro i 2,2 del 2016. Acciaitalia che ha presentato la proposta “perdente” prevedeva immediatamente 6.400 esuberi per un totale di 7.800 dipendenti. Nel 2024, però, veniva previsto un ritorno a 10.800 con un saldo finale di 3.200 lavoratori in meno. Per quanto riguarda il costo medio annuo del lavoro si prevedevano 42 mila euro che nel 2024 sarebbero salite a 44 mila. Atualmente i lavoratori dell’ILva in cassa integrazione sono 4.100 e le fonti ministeriali hanno fatto filtrare la notizia che la cassa integrazione potrà coprire la parte più rilevante della quota di esuberi e potrà essere ulteriormente incrementata con l’accordo che dovrà essere sottoscritto al ministero dellos viluppo economico. Inoltre i dipendenti, secondo queste fonti, potranno restare in cassa integrazione per tutta la durata dei lavori di decontaminazione del territorio tarantino.

Un segnale di ottimismo lo ha lanciato il segretario della Uil, Rocco Palombella il quale ha affermato che “in vista dell’aggiudicazione cercheremo di far cambiare il piano sul numero degli esuberi. Riteniamo di poterci riuscire”. E sui numeri ha ancora precisato: “Il piano di ArcelorMittal-Marcecaglia prevede al 2023 5.800 esuberi questo significa che la produzione verrà ridotta perché in siderurgia il numero degli addetti è strettamente legato alla quantità produttiva. “Taranto è un impianto che se non riesce a produrre 8 milioni di tonnellate l’anno va in default perché non riesce a coprire i costi”.

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