Reati e rifugiati tra Serracchiani e Fusaro

-di EDOARDO CRISAFULLI-

No, non è sterile il dibattito sulle parole di Debora Serracchiani: “La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese.”

E’ utilissimo: ci consente di chiarire come funziona, oggi, la comunicazione politica. Anzitutto: lo spirito critico, nei dibattiti, è un residuo di ideologie cervellotiche, anticaglie del Novecento. Oggi il senso comune è la nuova ideologia trionfante. La Seracchiani ha semplicemente espresso un’opinione sensata, che male c’è, e – per Bacco! – non abbiamo bisogno anche noi progressisti di politici che dicano pane al pane e vino al vino? Sì che ne abbiamo bisogno, ma il parlar chiaro e franco, se è a imitazione dei populisti, può rivelarsi un boomerang per chi milita a sinistra.

Qui – questo il punto cruciale – non abbiamo a che fare con una persona qualsiasi, né con una intellettuale sorpresa mentre sproloquia al bar, con gli amici, bensì con la vice segretaria nazionale del PD, principale partito della sinistra italiana. È da ingenui pensare che la sua dichiarazione sia causale; ovvio che è studiata a tavolino, e il bailamme che ne è seguito era stato previsto. Stupisce non se ne sia accorto un osservatore acuto qual è Michele Serra: la Serracchiani avrebbe solo detto “una cosa che in molti sentiamo essere vera: chi è ospite e riceve assistenza ha degli obblighi di comportamento. E quando li disattende, crea uno scandalo che va a colpire pesantemente il patto di ospitalità. Lo tradisce. E tradisce chi gli ha aperto le porte.” (L’Amaca, 14.5.2017, La Repubblica) Ora, non c’è dubbio che molti italiani la pensino come l’esponente del PD. Ma ciò non significa che abbia colto nel segno, tantomeno che la sua strategia sia intelligente da un punto di vista politico. Prendiamo atto che si è arresa allo spirito, travolgente, dei nostri tempi: il politico “moderno” ha l’obbligo di porsi deferentemente in sintonia con il sentire comune. Se non lo fa, viene arruolato di forza nella vituperata casta, in quanto schizofrenico dissociato dal popolo “puro” e “saggio”, che ha sempre ragione. Non colgo novità in questo discorso: il primo leader ad aver lucrato sulla trasformazione del senso comune televisivo in senso comune politico è stato Silvio Berlusconi, un genio del marketing.

La dichiarazione di un politico non è mai equivalente a quella di un comune cittadino. Il linguista John Austin ci ha messo in guardia dalla semplificazione positivista per cui ogni affermazione è descrittiva o contiene constatazioni di fatto, catalogabili in base al tasso di verità intesa come corrispondenza fra parole e cose. Ci sono, per esempio, frasi “performative”, dove il dire è anche un agire che trasforma la realtà (es: “vi dichiaro marito e moglie”). A mio avviso le frasi del politico sono implicitamente promissorie. Da esse ci aspettiamo un intervento, il materializzarsi di un cambiamento, la soluzione di un problema. La frase “che i terremotati non abbiano ancora una casa, è uno scandalo” non ha un significato assoluto, intrinseco: in bocca a un cittadino qualunque, è uno sfogo; se la pronuncia un politico, si generano aspettative: che le case vengano consegnate in tempo, quando si troverà lui/lei nella stanza dei bottoni.

Ad essere più precisi, il politico, in una democrazia, adempie a due funzioni: una simbolica/ideale e una programmatica/pragmatica. La prima è di testimonianza – il socialista, per esempio, riafferma con le sue parole i valori in cui crede: giustizia sociale, lotta alle discriminazioni, libertà, ecc. (in tema di accoglienza dei rifugiati e degli immigrati, nostri “fratelli”: Michele Serra squaderna uno stupendo manifesto della sinistra che vorrei: accoglienza, ma per ogni diritto c’è un dovere, soprattutto quello di rispettare le leggi dello Stato che t’ospita, e questo deve valere per tutti, italiani e stranieri). La seconda è legata al fare concreto (il politico illustra progetti realizzati, leggi approvate). Insomma: gli elettori ti voteranno per ciò che rappresenti, ma ti chiederanno anche conto di ciò che hai fatto. E saranno ben più severi con i politici di sinistra, dai quali pretendono entrambe le cose: pensiero e azione – le affermazioni roboanti dei populisti, le loro parole in libertà, vengono derubricate a innocenti provocazioni: qualcuno forse si aspetta che i 5 stelle distribuiscano a milioni di italiani il millantato reddito di cittadinanza? La Serracchiani ha espresso un concetto, non ha promesso nulla, e qui sta appunto il problema: sta seguendo a debita distanza la corrente, impetuosa, del populismo demagogico, e si muove con una certa abilità. Altro che goffaggine! Sembra una surfista in equilibrio sulla cresta dell’onda. Il rischio è grande: siccome non è una populista di professione, nessuno le farà sconti. Morale: la sinistra – ovunque, nel mondo – ogni qualvolta che insegue, sia pure alla chetichella, e con i sensi di colpa, il populismo; ogni qualvolta strizza l’occhio ai malpancisti e soffia sul fuoco del malcontento, alla fine si dà la proverbiale zappa sui piedi. Il tema dell’immigrazione e dell’accoglienza è maledettamente complesso, lo è ancor di più per chi è tendenzialmente un “buonista” (oggi è popolare il cattivo che ringhia come un mastino). L’unica strategia efficace è ragionare sui problemi in maniera ponderata e critica, senza facili semplificazioni, tenendo i piedi ben piantati per terra; i programmi, poi, devono essere comprensibili e realizzabili.

Ed è qui che casca l’asino: se dico che la violenza compiuta da un rifugiato è moralmente e socialmente più inaccettabile di quella che commette un italiano, e tutto finisce lì, allora sto facendo vuota retorica: mi sto sfogando come un comune cittadino, cosa che però non sono. L’unico vantaggio, effimero, è che accorcio la distanza psicologica dall’elettore indignato. Se invece la mia dichiarazione prelude a una proposta, mi spetta l’obbligo di precisarla. E qui, per stare sul concreto, solo due proposte sono coerenti con quelle parole, nonché percorribili nell’immediato: (1) ex post: un inasprimento della pena per i rifugiati in quanto “traditori” del patto di accoglienza (l’essere straniero in flagranza di reato diviene così una aggravante), oppure (2) ex ante: introduzione di un controllo capillare, poliziesco, che trasformi i campi profughi in qualcosa di simile a prigioni. Nel primo caso si punisce severamente il reato, sperando nella deterrenza o nella giustizia “morale” ristabilita grazie al castigo, nel secondo lo si previene con una limitazione generalizzata della libertà. Qual è il problema? Semplice: queste proposte, per un politico di sinistra, sono inconcepibili: scatenerebbero il putiferio – e io, da riformista, dico: giustamente: sono entrambe inaccettabili, aberranti.

Intendiamoci: la Serracchiani ha credenziali politiche impeccabili, l’accusa di razzismo è ingiusta, è una freccia avvelenata dei suoi avversari ex PD o dei duri e puri della sinistra radicale. Penso però che abbia commesso un errore politico: se non si può promettere nulla di concreto, meglio tacere. La popolarità che si sarà conquista presso un certo tipo di elettore svanirà come la nebbia al primo sole. Il populista di destra farà apparire ipocrite e stonate le sue parole (è quello che sta facendo Salvini); e il cittadino moderato, che forse dopo questa esternazione le darà il voto, un giorno si sentirà tradito: riecco la solita sinistra parolaia e inconcludente; escogitare una soluzione pratica per gestire il fenomeno dell’immigrazione è difficile, lo sappiamo, ma i politici non esistono proprio per questo?

Infine: la dichiarazione della Serracchiani, a rifletterci sopra, può prestarsi a equivoci. Quando si fanno comparazioni implicite fra gruppi etnici o religiosi si possono fare scivoloni: forse che lo stupro commesso da un italiano doc, magari anche di buona famiglia, o da un cattolico praticante, è meno grave? Lo stupro è un reato odioso, gravissimo, e tale rimane a prescindere dal colore della pelle, dalla nazionalità e dalla religione di chi lo commette. Non la pensa così il filosofo Diego Fusaro (Il fatto quotidiano, 13 maggio 2017): la “pacatissima frase” della Serracchiani deriverebbe “da un buon senso precategoriale rispetto a destra a sinistra”. Strano questo commento da parte di uno che ideologizza anche l’aria che respiriamo. E via con le bordate contro “l’armata Brancaleone del buonismo”, tutti noi di sinistra succubi del “mito immigrazionista – ideologia di completamento per la deportazione dei migranti come nuovi schiavi del capitale.” Ci mancava solo questa: accogliere i migranti è sinonimo di servilismo verso il Capitale. Rispettare un diritto umano universale – l’accoglienza per i profughi in fuga da guerre e persecuzioni – sancito dalla nostra Costituzione (Articolo 10, comma 3: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.”) si configura come alto tradimento verso il proletariato nostrano (by the way: mi piacerebbe chiedere a Fusaro, “intellettuale dissidente e non allineato”, quanto lo pagano al Fatto Quotidiano per la sua collaborazione: io, traditore della sinistra vetero-marxista, scrivo gratis su questo blog, sull’Avanti! e su Mondoperaio).

Il marxismo spurio di Fusaro lo spinge in braccio all’estrema destra. Ecco un’altra sua chicca: contro l’incauta Serracchiani si è attivato subito “il boldrinismo – la più disgustosa delle varianti ideologiche della sinistra metamorfica amica di tutte le minoranze e nemica dei lavoratori e delle classi popolari.” Questo linguaggio, che trabocca odio e disprezzo, non sfigurerebbe nel repertorio dei populisti di destra. L’unica cosa disgustosa, caro filosofo dissidente, sono i deliri di Hitler, che accusava la sinistra di aver tradito la patria e svenduto la classe operaia ai perfidi ebrei, minoranza apolide e internazional-globalista (i bolscevichi non erano quasi tutti giudei?), e le farneticazioni del suo compare Mussolini, il quale si scagliava contro i demoplutocrati-avvoltoi che affamavano il popolo italiano. Hitler e Mussolini: odiavano proprio la sinistra liberale e cosmopolita, e quindi “moralmente degenerata”. Entartete Kunst, Entartete Politik.

E perché la Serracchiani avrebbe ragione? Elementare, Watson. Ce lo ha insegnato Dante, che schiaffa “i traditori dei benefattori” in fondo all’inferno. Sì, avete capito bene: il richiedente asilo che viola le leggi italiane è una sorta di Giuda, colui che vendette Gesù Cristo per trenta denari, o di Bruto, l’infame che pugnalò il padre adottivo Cesare. Entrambi sono maciullati dai denti di Lucifero. Il sommo poeta, caro Fusaro, scaraventa un’altra categoria di peccatori all’inferno: gli omosessuali, e sottopone anche loro “a orribili torture, causate dal loro contegno in vita”. Ciò non può che far rabbrividire noi adepti della sinistra “metamorfica”. E già, noi non cogliamo “il buon senso precategoriale” insito nei concetti di alto tradimento e di perversione contro natura; noi non sappiamo cos’è l’Onore, e andiamo a braccetto con checche e pervertiti: al virile marxismo d’antan, pane ideologico di rubicondi maschiacci a cui piacciono solo le femmine, abbiamo sostituito l’ideologia gender. La Serracchiani di tutto ha bisogno, meno che di un difensore del genere.

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