Agnese Moro, quando ricordare stanca

-di MARTINA DI CAPUA-

La vita è come un elastico, vai avanti avanti avanti ma in qualsiasi momento puoi tornare indietro’’. È così che Agnese Moro riesce ad attirare l’attenzione degli aspiranti giornalisti all’università Lumsa. Nell’aula M al terzo piano di Borgo Sant’Angelo si è tenuta la consueta lezione del venerdì di “Tecniche di Teorie e tecniche del giornalismo ed uffici stampa” e la figlia di Aldo Moro è stata invitata da Antonello Di Mario, docente dell’insegnamento in questione, a raccontare la sua esperienza pubblicistica. La “rubrichista” della “Stampa” parla ai giovani studenti, tra cui c’è chi scrive, come se si rivolgesse ai suoi amici di sempre.

Va indietro negli anni: fin da piccola, ricorda leggeva almeno due quotidiani ogni giorno, soprattutto “La Stampa” e “l’Unità”. “Una lettura utile -spiega- perché si riusciva a capire il pensiero che si muoveva in quella fase in Italia’’. Agnese Moro, oltre che sociologa del lavoro, è legata contrattualmente col quotidiano diretto da Maurizio Molinari dal 2011, anno in cui è stata pubblicata per la prima volta la sua rubrica “Costruire cose buone”, redatta in 2.400 caratteri e pubblicata nelle pagine interne del giornale ogni domenica. Agnese Moro sostiene che creare una rubrica significa unire tempo e grandezza. “Bisogna trovare il modo di non tradirla – ribadisce – mantenere il significato del proprio ragionamento in quello spazio editoriale, e consegnare il testo definitivo entro il giorno stabilito. Un lavoro apprezzato? Nessuno può saperlo con precisione ed in particolar modo l’autrice. Il ‘pezzo’ pubblicato sul giornale non riceve risposta, il riscontro, quindi, se piace, o meno. E quando lo stesso giornale non lo pubblica, si arriva ad avvertire la sensazione simile a quella che capita quando un tuo figlio non viene apprezzato da altri”.

Consiglia la “rubrichista”: “Tutta sta a trovare lo spirito di quel che si vuol scrivere riuscendo poi a condividerlo coi lettori”. Agnese Moro parla agli studenti anche del 9 maggio, giorno della memoria per le vittime del terrorismo, che coincide con quello dell’assassinio del padre per mano delle Brigate Rosse ben 39 anni fa. “Ricordare stanca – ribadisce la figlia dello statista Dc – e per circa dieci anni non sono riuscita a leggere una sola riga scritta da Aldo Moro, perché lui era così vivo in quei testi ed io stavo troppo male. Mio padre mi mancherà sempre. È parte di me’’. Lei da pochi anni ha scelto di incontrare e perdonare quelli che hanno messo fine all’esistenza del papà. Ora i ricordi di quando era vivo sono tornati, con l’effetto dell’elastico, in una veste nuova e meno dolorosa: “È come – conclude – se si fosse spezzata una spirale d’odio che ha riguardato non solo le persone coinvolte, ma anche quelle che sono venute dopo”. Infine, un saluto di speranza ai presenti in aula: “La vostra generazione si sta convincendo di contare poco, o nulla, ma anche solo scrivendo si può sovvertire questo luogo comune e contare di più.

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