Go Beyond: in Italia, un terzo dei bambini a rischio povertà

Un terzo dei giovani italiani al di sotto dei diciotto anni è a rischio povertà. Il dato per nulla rassicurante è stato reso noto dall’istituto di statistica europeo (Eurostat) in occasione della ventesima giornata mondiale dell’infanzia che verrà celebrata domenica prossima, 20 novembre. Il dato riferito al complesso dell’Europa a ventotto dice che circa venticinque milioni di bambini, ragazzi e adolescenti sono a rischio povertà o esclusione sociale. La situazione di rischio di presenta nel momento in cui per i giovani si materializza una di queste tre condizioni: una situazione di indigenza nonostante i sostegni sociali, privazione dei mezzi materiali di sostentamento seria o inserimento in un ambiente dove il lavoro scarseggia o viene svolto in maniera episodica. Venticinque milioni di giovani rappresentano il 26,9 per cento della popolazione europea giovanile e, se proprio vogliamo individuare in questa tristissima statistica un dettaglio positivo (quasi irrilevante dal punto di vista numerico), l’area del rischio nel 2015 risulta ridotta rispetto al 2010 quando coinvolgeva il 27,5 per cento del segmento di popolazione prima indicato (ma in Italia abbiamo avuto una consistente impennata).

Nella classifica non siamo ultimi con il nostro 33,5 per cento (eravamo nel 2010 al 29,5) per il semplice motivo che dividiamo la posizione con l’Ungheria mentre peggio di noi se la passano la Romania (ultimissima) con il 46,8 per cento, la Bulgaria (43,7) e la Grecia (37,8). Il “mestiere” di bambino o adolescente è decisamente più semplice in Svezia (14 per cento), in Danimarca (15,7, in Slovenia (16,6), in Olanda (17,2), nella Repubblica Ceca e in Germania (18,5).

La riduzione del rischio è stata infinitesimale per un motivo molto semplice: perché la povertà (e l’esclusione sociale) è diventata un po’ ovunque un fantasma sempre più gigantesco (e, quindi, terrorizzante). L’aumento è stato particolarmente robusto in Grecia (dal 28,7 al 37,8), a Cipro (7,1 per cento in più) e, appunto, in Italia (+4). Sono stati segnalati ridimensionamenti in Lettonia (dal 42,2 al 31,3), in Bulgaria (sei per cento in meno) e in Polonia (4,2).

Un altro dato significativo, ma non originale, riguarda il tasso di istruzione delle famiglie da cui provengono questi ragazzi: il rapporto è inversamente proporzionale poiché più è alta l’istruzione e più il rischio è basso, più è bassa e più il rischio è alto. Il 65,5 per cento dei bambini o degli adolescenti a rischio povertà ha genitori con un livello debolissimo di istruzione (le elementari, tanto per intenderci); il 30,3, invece, può contare su genitori che sono arrivati sino alla licenza media; il 10,6, invece, vive in famiglie con livelli di istruzione elevati. Questa differenza è presente dappertutto ma con ampiezze diverse. In Slovacchia la forbice si allarga sino a raggiungere il 94,4 con l’11 per cento a rischio povertà che ha genitori con istruzione elevata per uno scarto pari all’83,4 per cento, in Bulgaria dove lo scarto è del 79,4 e in Repubblica Ceca (78,6). La distanze appaiono più contenute in Danimarca (34,7), in Estonia (35,7) e in Portogallo (38,4). In Italia ci attestiamo al 52,4 (il 64 per cento vive in famiglie a basso livello di istruzione contro l’11,6 per cento che vive in famiglie ad alto livello di istruzione).

antoniomaglie

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