L’imbattibile “zar”, padrone di tutte le Russie

-di MAGDA LEKIASHVILI-

Per la prima volta il 26 marzo del 2000, Vladimir Putin ottiene ufficialmente la poltrona di presidente della Russia. Prende in mano il potere dopo che il suo predecessore Boris El’cin rassegna inaspettatamente le dimissioni il 31 gennaio 1999. Ricoprendo il ruolo di primo ministro, l’ascesa di Putin alla più alta carica della Russia avviene rapidamente. Come è previsto dalla Costituzione russa, diviene presidente ad interim della Federazione. Mentre i suoi oppositori si preparavano a una competizione elettorale che si sarebbe dovuta svolgere a giugno dell’anno successivo, le dimissioni di El’cin fanno sì che vengano convocate nel giro di appena tre mesi, a marzo. Putin vince al primo turno. L’ex funzionario del KGB promette agli elettori un nuovo futuro per il paese, ossia il ritorno della Russia come uno dei principali protagonisti in campo internazionale. La convinzione di Putin che la Russia debba riacquistare la sua gloria e la sua potenza, è un leitmotiv di tutta la sua presidenza (guida il paese dal 1999 al 2000 come primo ministro, poi sino 2008 come presidente per ritornare a coprire nuovamente questa carica dopo un intervallo di 4 anni, cioè nel 2012).

Le elezioni presidenziali del 2000 rappresentano un passo avanti e due indietro per la “democrazia” russa. Per la prima volta nella storia del paese, il potere all’interno del Cremlino viene cambiato attraverso un processo elettorale. L’elezione seguì, infatti, le norme prescritte dalla costituzione. Non è poco per un paese con un passato autoritario. Il numero di votanti superò i due terzi degli aventi diritto. All’esterno si aveva l’impressione di un popolo impegnato in decisioni consapevoli, che sceglieva all’interno di un ampio spettro di candidati che offrivano programmi, politiche e stili di leadership alternativi. In realtà, le elezioni non si svolsero (e non si sarebbero mai più svolte) su un piano di parità. Putin aveva goduto durante la campagna elettorale degli enormi vantaggi legati a una disponibilità estremamente ampia di risorse economiche, una condizione che finì per corrompere il sistema: lo stato russo è diventato il “padrone” del potere e del processo elettorale mentre partiti e organizzazioni sociali sono rimaste così deboli da non riuscire mai più a incidere in misura decisiva sui risultati delle urne. Putin giocò la sua partita partendo da una posizione di favore: era il capo del governo di conseguenza aveva a disposizione tutti i mezzi per condurre nel migliore dei modi la campagna elettorale. I suoi avversari, al contrario, non godevano dei medesimi privilegi. Insomma, una corsa sui cento metri in cui uno dei concorrenti partiva dieci metri più avanti. Va detto, però, che la sua vittoria non fu solo la conseguenza di una condizione di partenza privilegiata, ma anche della debolezza politica dei candidati che provarono a sbarragli la strada. D’altro canto, in questi anni non è mai apparso all’orizzonte un candidato in grado di contendergli seriamente la guida del potere. In più Vladimir Putin era l’erede designato di El’cin (che non a caso gli aveva assegnato la poltrona di primo ministro): era il fedele successore e la scelta fu condivisa da tutti gli oligarchi.

L’immagine di Putin, prima della sua elezione a presidente, venne rafforzata anche dalla seconda guerra Cecena del 1999. È nota come Guerra del Caucaso Settentrionale, combattuta in territorio ceceno dall’esercito della Federazione russa per ripristinare il controllo dei territori conquistati dai separatisti. L’esercito della Federazione Russa e i suoi alleati lealisti ceceni indebolirono notevolmente le file dei ribelli. Putin riuscì a riconquistare il totale controllo sul territorio ceceno. Nessuno all’epoca immaginava che la guerra, rapida e vincente, sarebbe diventata la molla che avrebbe proiettato il primo ministro, stabilmente, verso la stanza presidenziale.

Insomma, fu la forza, pubblicamente esibita, la chiave del suo trionfo politico e ogni successivo successo è passato attraverso l’uso di quella chiave. La rinascita della Russia grande e gloriosa gli serve per lanciare ai paesi vicini, ai popoli confinanti, un messaggio semplice, chiaro e forte: senza il suo coinvolgimento le relazioni internazionali non possono garantire la costruzione di un mondo armonioso e pacifico.

Probabilmente Putin sarà candidato “imbattibile” anche in occasione delle prossime elezioni del marzo 2018. D’altro canto, mancano i candidati alternativi da sottoporre alla scelta degli elettori. Tra i “papabili”, l’unico che aveva qualche possibilità di insidiare lo “zar” era Alexei Navalny, attivista e blogger. Putin lo ha “azzoppato” lo scorso febbraio quando sulla testa dell’oppositore è calata la condanna di un tribunale.

Risultato: sia il campo che il pallone restano totalmente nelle sue mani.

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