Fedeli, se una laurea non può essere un caso nazionale

imagoeconomica_806430

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

Valeria Fedeli è stata nominata Ministro dell’Istruzione Università e Ricerca del governo Gentiloni. Neanche 48 ore dalla nomina è scoppiata la polemica. Contro di lei si è scatenato da un lato l’integralismo cattolico modello family day, dall’altro i “notai” del web che riescono a cogliere la pagliuzza nell’occhio del vicino soprassedendo sulla trave nel proprio (da non escludere, peraltro, un po’ di “fuoco amico”). Le accuse sono due. La prima innesca la deflagrazione: la neo- ministra non ha la laurea e ha mentito affermando di averla. Tecnicamente diciamo che non è proprio così. Sul suo sito personale si legge: «Finite le scuole mi sono trasferita a Milano per iscrivermi dove ho conseguito il diploma di laurea in Scienze Sociali, presso UNSAS». Ovvero la scuola per assistenti sociali di Torino, che non conferisce propriamente una laurea bensì un diploma. Lo staff della Fedeli spiega il qui pro quo. Tale diploma sarebbe stato equiparato a una laurea triennale, quindi ad un diploma di laurea.

Avviato il cannoneggiamento, intervengono i mezzi “pesanti”: Mario Adinolfi, esponente di quel popolo del Family Day che non sembra scaldare il cuore nemmeno di Papa Francesco che nella sua Chiesa accoglierebbe tutti perché in fondo in questo paese (e nel mondo) vale la famosa frase di Andreotti: “Non sono un santo, non sono un diavolo ma solo un medio peccatore”. Adinolfi, però, si ritiene fuori dalla media puntando alla santità. E, infatti, ha costruito il movimento “No gender nelle scuole – Popolo della famiglia”. E qui casca l’asino e, quindi, anche la Fedeli che in materia di diritti la pensa in maniera (encomiabilmente) diversa da Adinolfi.

La neo-ministra dell’istruzione è stata una delle più grandi sostenitrici dell’insegnamento di genere, nel momento dell’approvazione della riforma della Buona scuola. Sostegno da intendere come lei stessa affermò come “la piena attuazione dell’articolo 3 della Costituzione italiana, che dice di non discriminare in base alla religione o all’orientamento sessuale”. La colpa quindi sarebbe quella di introdurre una legge che ha lo scopo di insegnare ai nostri figli che non esistono differenze, sessuali e psichiche, tra maschi e femmine.

Per il Popolo della Famiglia, dunque, la nomina della Ministra (o Ministro che dir si voglia, giusto così per non turbare nessuno) sarebbe “una dichiarazione di guerra”. Massimo Gandolfini, portavoce del Family Day, rincara la dose considerando la nomina di Valeria Fedeli come “ l’ennesima offesa nei confronti del popolo del Family Day”. Addirittura come “una provocazione, se non una vendetta” gridando al “pericolo per i nostri figli, cavie di sperimentazioni ideologiche”.

Accuse anche da Eugenia Roccella, parlamentare di Idea (che in Parlamento conta solo 8 rappresentanti) perché Valeria Fedeli “ha lo scopo di integrare l’offerta formativa dei curricula scolastici, di ogni ordine e grado, con l’insegnamento a carattere interdisciplinare dell’educazione di genere come materia, e agendo anche con l’aggiornamento dei libri di testo e dei materiali didattici”. Conclusione: “Uno schiaffo al popolo del Family Day e al Comitato Difendiamo i nostri figli”. Ovviamente ci sono anche i figli degli altri, di quelli che con il Popolo della Famiglia non vogliono avere nulla a che spartire e che si guarderanno bene dal frequentare queste piazze così piene di virtù e santità: il contagio potrebbe essere pericoloso, qualcuno nel mondo deve pure peccare.

Diciamolo con chiarezza: la Fedeli è il bersaglio migliore perché è donna e il sessismo non è che sia una cifra completamente estranea agli Adinolfi e ai suoi sostenitori (anche quando vestono abiti femminili). Appare poi piuttosto strano che la questione venga sollevata ora e non lo sia stata quando la ministra venne eletta vice-presidente vicaria del Senato. Ma l’implacabile Adinolfi forte del suo straordinario successo alle ultime elezioni capitolini (0,6 per cento: un popolo bonsai), ritiene con l’accompagnamento delle Roccelle e delle Meloni, la nomina della Fedeli una offesa insopportabile. Ma di offese insopportabili nella vita pubblica italiana ve ne sono altre e molto più gravi. Ad esempio, che ne dice la Meloni della vicenda losca in cui è finito impigliato un suo antichissimo compagno di partito (sin dai tempi di Alleanza Nazionale) Amedeo Laboccetta indagato per una storia di quattrini evasi al fisco e di macchinette mangiasoldi (le slot machine) distribuite con grande liberalità nel paese ed evidentemente molto meno educative e molto più pericolose delle idee della Fedeli?

E la Roccella che è passata direttamente dal radicalismo all’integralismo, non dovrebbe meditare su quel che diceva all’epoca del caso Englaro (“c’è la possibilità di fare ispezioni nella clinica di Udine verificheremo le condizioni della clinica e della sua possibilità di agire nella legalità, cosa di cui non siamo certi”) spalleggiando un presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, che si abbandonava a volgari affermazioni sulla capacità procreatrice di una povera ragazza in coma irreversibile da anni?

Per quanto riguarda il titolo di studio, come si dice al sud: meglio evitare di sputare in cielo perché l’essenza salivare ti può ritornare sulla faccia. Ne sa qualcosa Luigi Di Maio, esponente di punta del Movimento 5 stelle, che puntò il dito contro Beatrice Lorenzin perché mancante di titolo accademico. Verifica veloce del suo titolo? Maturità classica. Ha provato a fare Ingegneria senza risultati apprezzabili; ha riprovato con Giurisprudenza e l’epilogo è stato ugualmente sconfortante.

Questo paese è stato costruito da uomini che non avevano titolo di studio e che sono stati in grado di lasciarci la Costituzione che il 4 dicembre è stata confermata nelle urne. Giuseppe Di Vittorio aveva fatto a stento le elementari. Tra di noi vi sono splendidi autodidatti che si sono costruiti una solida cultura armati di passione per lo studio, pazienza e feroce applicazione. Al contrario, circolano liberamente concittadini che hanno conquistato ardimentosamente una laurea per diventare nel tempo analfabeti di ritorno nel senso che messi nella terribile condizione di scrivere una lettera, incespicano nei congiuntivi e prendono a randellate la consecutio temporum.

La legge e le regole della partecipazione non vietano a chi ha conquistato un livello di competenza adeguato, seppur non santificato da un titolo di studio, di svolgere un ruolo pubblico, di governo. Benedetto Croce non si è mai laureato eppure è stato ministro della pubblica istruzione con Giovanni Giolitti capo del governo dal 1920 al 1921 e sulla scuola ha inciso in misura determinante visto che Giovanni Gentile per la sua riforma si è in larga misura ispirato a quella del vecchio sodale filosofico. Le persone, poi, vanno giudicate per quel che fanno e non per quel che noi pensiamo che faranno (o non faranno). E se poi è tanto forte l’impulso a contestare una nomina, allora proviamo a porre la questione sui contenuti, cioè sul livello di competenza a ricoprire quell’incarico. E, in ogni caso, Adinolfi si tranquillizzi: oltre al suo 0,6 per cento c’è anche un 99,4 che probabilmente, parafrasando Rhett Butler di “Via col Vento”, di lui francamente se ne infischia.

Valentina Bombardieri

3 thoughts on “Fedeli, se una laurea non può essere un caso nazionale

  1. Si possono scrivere decine di pagine inventando deboli motivazioni e scrivendo di altro, ma una bugiarda resta semplicemente una BUGIARDA!

  2. Paragonare Benedetto Croce alla signora sindacalista moglie di un sindacalista mi sembra davvero un po troppo

  3. sembra assodato che oltre a non avere la laurea non ha nemmeno conseguito il diploma di maturitá. Ma sul suo sito e sul sito del senato aveva scritto “laureata in servizi sociali”. Come fa a rimanere ministro dell’istruzione? con quale autorevolezza andrá a parlare con gli studenti?

Rispondi