L’intellettuale stritolato dalla globalizzazione

MusiCares Person Of The Year Tribute To Bob Dylan - Show

-di MAURIZIO FANTONI MINNELLA-

A che cosa dobbiamo la scomparsa della figura dell’intellettuale, importante lascito della Rivoluzione Francese e del concetto di laicità da essa derivato o, ancor meglio, la sua capitolazione dalle funzioni e finalità per cui era nata? Si dovrà innanzitutto partire dalla tanto annunciata finis historiae preconizzata dall’economista e politologo americano Francis Fukuyama in un saggio divenuto famoso, presente anche in lingua italiana (1992) che chiudeva il secolo passato con un certo trionfalismo più tardi smentito dall’estrema conflittualità rinascente dalle rovine del regime comunista (ex Jugoslavia), dai nuovi nazionalismi aggressivi, formatisi dopo il 1989 e dai guasti prodotti dall’economia globale (con un progressivo e allarmante allargarsi del divario tra ricchezza e povertà).

Ma se lo storicismo presupponeva un’idea costante di progresso umano e quindi la presenza di avanguardie coscienti e attive nel tracciare l’evoluzione del linguaggio e del gusto, il suo presunto esaurimento conduceva diritto verso il ripristino di forme classiche e tradizionali. Sorgeva quindi la necessità di un ritorno, per così dire, alla tradizione, nelle arti come nella musica, nella letteratura e nel cinema. E’ evidente che in tal senso la funzione del critico come figura di mediazione e orientamento risultava decisamente ridimensionata e sempre più ossequiente rispetto alle scelte del mercato. Inoltre il nuovo assetto globale imponeva una netta separazione tra i singoli poteri e le masse popolari, ossia procedendo verso una progressiva eliminazione dell’anello intermedio, il critico per quanto riguarda l’industria culturale e l’intellettuale militante rispetto all’orientamento del pensiero critico e sociale, pur tuttavia considerando alcune eccezioni, voci come, ad esempio, quello di un Zygmunt Bauman o di un economista come Thomas Picketty o di un filosofo eclettico come lo sloveno Slavoj Žižek. Viene, dunque, creandosi una sorta di bipolarismo perverso: cultura accademica – cultura di massa, perverso proprio perché incapace di far crescere e di sviluppare quell’idea di conoscenza e di sperimentazione vitale, dialettica che segnò fortemente gli anni sessanta e settanta del XX° secolo.

Stiamo assistendo impotenti (con le armi spuntate!) al declino di un’idea e di un metodo critico che garantivano una diffusione relativamente ampia dell’esperienza culturale a 360 gradi, ma oggi si rivela assai più importante la strategia di marketing che il prodotto stesso. Un fenomeno che non possiamo definire necessariamente italiano, direi piuttosto europeo, laddove all’Europa della lingue delle culture intese come diversità nell’unità, si è prepotentemente sostituita un’Europa dei mercati, tanto più triste quanto agguerrita e un’altra non meno inquietante delle “piccole patrie” rancorose e piene di livore. Difficile definire una possibile terza via se non attraverso un nuovo umanesimo sociale.

Ma torniamo un poco indietro a come e perché la cultura oggi si è purtroppo allineata a una sorta di diktat morbido ma non per questo meno insidioso, (il cosiddetto “nazionalpopolare” di gramsciana memoria, privato però della sua componente dialettica e rovesciato rispetto a quella politica!), secondo cui, rispondendo a logiche di mercato, si vorrebbe portare la creatività individuale a livello dei gusti del pubblico talora più corrivi e non il contrario, ossia come si è fatto in passato, avvicinando il grande pubblico, attraverso la libera circolazione delle idee, a una molteplicità di espressioni artistiche e culturali, fatto impensabile in passato di cui spesso veniva colta la complessità o se ne apprezzava la semplicità ma senza alcuna banalizzazione.

Nella stampa generalista e di settore si fa gara a chi è più bravo nel deridere opere cinematografiche del passato e del presente ritenute difficili o di critica (“meglio saggi” come La polizia s’incazza che L’immagine tempo di Gilles Deleuze, tanto per fare un esempio!, e magari dimostrare quanto siamo stupidi oggi per certe opere dotte…). Ecco, l’idea di relegare la cultura alta nel chiuso del mondo accademico, permette finalmente a questi sedicenti intellettuali e opinion man allineati, di fare ammenda di tanti, troppi anni trascorsi a sopportare per poi glorificare opere difficili, in nome di un’idea di cultura e di egemonia culturale di sinistra (ecco di nuovo apparire il fantasma gramsciano!). Se di egemonia si dovrà parlare, questa è diventata appannaggio di élites culturali ed economiche potenti e sempre più invasive. Appare chiaro come, nel tentativo sbrigativo e fin troppo semplicistico di liberarsi di un secolo scomodo, si intenda, al tempo stesso superare, per non dire, seppellire, un’eredità culturale e dialettica di grande vitalità che oggi si rivelerebbe scomoda o d’intralcio al perfetto funzionamento del mercato e delle sue logiche. La fine del ‘900, che da molti veniva intesa come il definitivo superamento dei conflitti sociali e di quelli tra le nazioni, lo è stata anche di tutte le possibili avanguardie, impegnate nella ricerca di nuovi linguaggi espressivi.

Non è dunque casuale che l’iper soggettivismo e l’intersoggettività intesi come modalità e insieme finalità proprie dei cosiddetti social network, abbia contribuito ad incrinare la fiducia verso l’oggettività dei criteri di giudizio sui quali si è basato sino ad ora l’esercizio della critica come strumento necessario ad orientare la migliore comprensione di un’opera.

Su un piano strettamente culturale, il recupero acritico del passato è evidente; non ovviamente il passato che abbiamo da poco lasciato alle spalle ma quello più remoto e rassicurante, pre-novecentesco. Nella letteratura, nella musica come nel cinema, si prediligono l’intreccio romanzesco (l’onnipresente storytelling) con evidente richiamo alla tradizione del romanzo classico ottocentesco, alle convenzioni e quindi certezze di un sistema tonale a suo tempo messo in crisi dal suo stesso esaurimento, alla drammaturgia attoriale e hollywoodiana propria del cinema classico, quasi a voler cancellare i segni di quella modernità linguistica che caratterizzò quasi un intero secolo. E’ tuttavia curioso notare come la recente riscoperta del film documentario possa forse costituire un’eccezione, un cortocircuito salutare rispetto alla drammaturgia dominante, senza che ve ne sia una specifica ragione.

Ma veniamo al singolo dettaglio: perché, ad esempio, il testo di una normale canzone deve essere ritenuto forzatamente in poesia? E perché a quella stessa canzone vogliamo affidare un intero modo espressivo oppure l’universo? Perché un romanzo giallo deve contenere una visione del mondo ed essere il solo modo efficace di analisi sociale? Perché ciò che chiamiamo comunicazione, è diventata la parola chiave che da semplice strumento, secondo la vecchia e mai tramontata teoria macluhaniana, diventa il nuovo oggetto del desiderio. Tutto dovrà sembrare necessariamente più semplice, comunicativo, alla portata di tutti, per la felicità di tutti!.. La recente consegna del premio Nobel per la letteratura al “menestrello” Bob Dylan, al secolo Robert Allen Zimmerman, non può che indurre all’interrogativo su che cosa si intenda oggi per letteratura, allargandone lo spettro alla canzone d’autore, ma pur sempre canzone, ossia un contenuto testuale strettamente intrecciato a quello più specificatamente musicale e quindi difficilmente giudicabile come testo poetico e quindi, letterario. Difficile, se non impossibile, accettare l’opinione di una Fernanda Pivano secondo cui Fabrizio De Andrè sarebbe il più importante poeta italiano del ventesimo secolo! Lo stesso cantautore genovese si mostrò alquanto riluttante nel crederlo!…

A cosa dobbiamo, infine, questa ondata di populismo culturale se non ad un nuovo pensiero egemone di stampo nordamericano? Che poi tanto nuovo non è. Se un tempo gli Stati Uniti ci trasmettevano il proprio way of life e insieme il suo contraltare culturale (o sottoculturale) libertario, oggi non è più così: l’egemonia in un società globale non può ammettere contraddizioni o errori nel lento ma inesorabile cammino verso il controllo definitivo degli individui, in un unico mega-pensiero globale.

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

Rispondi