L’Europa di fronte ai “nuovi” Stati Uniti

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 – di SANDRO ROAZZI –

Alla fine il miglior sondaggista è stato il vecchio pistolero, poche parole ma cervello fino, Clint Eastwood che descrivera  Trump come “uno tosto”  mentre si diceva stufo del “politicamente corretto”. Trump diventa la seconda sorpresa dell’anno dopo Brexit, ed anche questa volta, passato lo stupore,  ci si accorge che al dunque le condizioni per la affermazione c’erano. Trump, sul piano economico almeno, arriva nel momento in cui la prima stagione della globalizzazione è alle corde, sfibrata dalla recessione,  imbastardita dall’egoismo dei mercati,  confusa dagli andamenti del petrolio,  del ciclo economico cinese, delle contraddizioni brasiliane,  degli altolà russi. Per non parlare di immigrazione,  di terrorismo.  E con la prepotente avanzata di un mondo tecnologico che divora senza pietà alcuna ceti sociali, lavori,  produzioni.

La stessa idea di democrazia convive ormai con esperienze autocratiche che sfruttano la crescita delle diseguaglianze sociali per affermarsi mentre si  frantumano solidarietà e interessi comuni. Se Trump ha vinto , insomma, non è un “miracolo” evocato dai suoi sostenitori nella notte del voto, ma si spiega con le incertezze ed i malesseri che circolano e che spingono settori delle società in palese disagio senza, per ora, speranze di uscirne, ad aggrapparsi a chi li seduce con il rifiuto  del “politicamente corretto”, facendoli sentire importanti, ”riconoscibili”, promettendo loro che non resternano più soli.

Eppure per  prevedere cosa avverrà per ora almeno ci vorrebbero i… libri sibillini.  Intanto perché in campo ci sono altri poteri, come le banche centrali e i colossi multinazionali. Poi perché stiamo pur sempre parlando della potenza egemone nel mondo (…condannata ad esserlo per molto ancora) e che ha quindi contrappesi da considerare e interessi da tutelare cui nessuno puo’ sottrarsi ( si pensi al sostegno dell’enorme debito Usa). Infine perché se protezionismo e isolazionismo hanno segnato  la campagna elettorale di Trump più di una volta,  generando inquietudini, è pur vero che governare è tutta un’altra storia in un mondo nel quale l’economia vive di intrecci internazionali complicati da sciogliere, meno che mai  con un colpo di bacchetta magica. Contraccolpi vanno messi in conto, ovviamente.Ma anche partite interessanti come il rapporto fra politica e finanza negli Usa di Trump con le conseguenze internazionali inevitabili.

Finora nessuno ha fatto davvero i conti con lo strapotere finanziario e con le magagne che nasconde e che intossicano a piu’ riprese la vita economica. E una riflessione andrebbe fatta anche su quali classi dirigenti stanno prevalendo oggi che la globalizzazione sta esaurendo, a quanto pare, il primo stadio della sua esistenza. Trump ha cercato in particolare convergenze con un mondo del lavoro spaventato e disilluso. Ma non è solo un fenomeno statunitense, si pensi ai movimenti populisti in Europa che si muovono in modo non certo più… raffinato per drenare consenso e che viaggiano su ricette di politica economica non dissimili.  Forse il guaio è che si scambia la ricerca di nuova sicurezza per una strategia di politica economica.  E, sappiamo che così non è.

Però  il fare i conti con l’onda d’urto della futura Presidenza Trump anche in questa direzione potrebbe rivelare l’esigenza di accettare sfide  non del tutto negative.  Soprattutto per un’Europa ormai palesemente incapace di elaborare un modus vivendi davvero comune sul piano economico, gravata da regole anacronistiche e bloccata sul piano culturale e sociale. La presidenza Trump, oggetto misterioso adesso, potrebbe perfino evidenziare ancor di più la debolezza degli attuali  gruppi dirigenti, certo,   ma potrebbe far scattare anche una reazione in grado di evitare che l’euro vada in malora e la costruzione europea si trasormi una volta per tutte  in  un rudere. In caso contrario assisteremmo all’accelerazione di spinte disgregatrici già in atto e che potrebbero generare anche nei Paesi più forti come la Germania un futuro non certo a tinte rosee soprattutto per le giovani generazioni.   Ma non sarà perché Trump è  diventato il 45mo Presidente Usa, questo sarebbe solo un alibi.  Inutile, come il piangersi addosso o il ritorno al vecchio vizio europeo di affrontarsi a colpi di nazionalismi.  Europa, svegliati. Non sono gli americani a rischiare di più, sei proprio tu.

antoniomaglie

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