“Questo libro nasce una sera d’estate su una terrazza affacciata sul mare. Quando Landolfi decise che era arrivato il momento di cimentarsi con la cronaca degli eventi vissuti in prima persona nel corso degli anni trascorsi nel Psi… Non è quindi una raccolta esaustiva degli scritti di Landolfi e nemmeno un libro di memorie come lo aveva concepito il suo autore. È il pensiero autentico di un autentico socialista che provò a raccontarci qualcosa della nostra storia”. Con questa breve introduzione comincia il libro (edito da Rubbettino) “il socialista con gli occhiali”. La sobria introduzione alla lettura è stata messa a punto dalle curatrici dell’opera, la moglie di Antonio Landolfi, Adriana Martinelli, e le figlie, Laura e Flavia. Un piccolo atto d’amore condito di passione per la politica: del protagonista e di chi gli ha vissuto accanto, condividendo i momenti felici e quelli più tormentati.
L’opera era nata con un intento memorialistico ma la scomparsa dell’autore ne ha impedito la completa realizzazione e le curatrici l’hanno trasformata, come loro stesso sottolineano in apertura, nell’occasione per rendere pubblico il “pensiero autentico di un autentico socialista”, un pensiero e una vita in qualche maniera sintetizzata nella citazione di Filippo Turati che introduce gli scritti: “Le libertà sono tutte solidali. Non se ne offende una senza offenderle tutte”. Il libro è arricchito anche dagli interventi di Giorgio Benvenuto, Claudio Signorile e Luigi Covatta. E si chiude con un ricordo di Giuseppe Tamburrano in cui si saldano ricordi (“Nella divisione in correnti… Antonio si schierò con Mancini, con cui oltre agli indirizzi politici, coltivava sentimenti di amicizia”), idealità (“l’ultima volta che ho visto Antonio è stato al circolo di “Giustizia e Libertà”… Mi accorsi che c’era qualcosa di anomalo nelle sue parole… Fu il suo testamento politico”), affetto e nostalgia (“Lo accompagnammo a casa; nel salutarci cercò come sempre una battuta e un “ciao!”. Mi dissero che stava molto male… Antonio si è perso un mondo di affetti teneri, tutti al femminile. Ma si è risparmiato la pena quotidiana di vedere il suo mondo di ideali sempre più povero”).
Ecco perché la presentazione di questo libro, domani pomeriggio 10 novembre, alle 17 nella sede dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, in piazza dell’Enciclopedia Italiana 4, sarà l’occasione per raccontare un mondo, il suo passato, il suo presente e il suo futuro. Al dibattito che sarà coordinato da Massimo Bordin, parteciperanno Gennaro Acquaviva, Giorgio Benvenuto, Luciano Pellicani (che firma la prefazione del libro), Paolo Pirani, Claudio Signorile e Giuseppe Tamburrano.
Politica e corruzione
-di ANTONIO LANDOLFI*-
…Sistema economico e sistema politico hanno contribuito ad accentuare il degrado del livello morale nei comportamenti degli operatori. Perché?
Partirei dal ragionamento, che mi pare di estremo interesse, del professor Gian Mario Cazzaniga sulla formazione della classe politica e in particolare sui processi che sono stati e sono tuttora presenti nel nostro Paese. A tal proposito ricordo quanto sosteneva il professor Sabino Cassese, come amministrativista e come ministro della funzione pubblica. Dico questo perché quando è stato eletto nel 1992 al Parlamento italiano, il “Sole 24 Ore” pubblicò, il 13 aprile, un’indagine sulla professionalità di deputati e senatori, da cui si evinceva che circa il 60 % aveva in qualche modo un rapporto con la funzione pubblica, intesa come quella che va dagli infermieri degli ospedali ai professori universitari e ai magistrati. Precedentemente, in un dibattito a Milano con Padre Bartolomeo Sorge, organizzato dai centri di formazione politica dei gesuiti – unici insieme alla scuola di formazione Pci-Pds delle Frattocchie, a essersi occupati di questo problema in Italia -, furono offerti dei dati di una ricerca (condotta appunto dai gesuiti di Milano) da cui risultava che, a livello locale e regionale, questo rapporto fra classe dirigente e funzione pubblica arrivava addirittura all’80%…
Si registrava dunque una simbiosi fra pubblica amministrazione, funzione pubblica e classe politica, che è una delle caratteristiche significanti della vita pubblica italiana degli ultimi decenni, e che ha finito anche per accentuare il processo di separazione fra classe politica e società civile.
Finito il grande tempo dell’ebbrezza ideologica, in cui si passava dal “borghese spostato” al “rivoluzionario di professione” e all’ “intellettuale organico”, si sposava la causa politica senza badare al retroterra sociale e professionale, quindi è accaduto che l’operaio, l’artigiano, il professionista, l’uomo di cultura difficilmente si sono identificati con il personale politico e hanno scelto di seguire l’attività politica propria. Abbiamo avuto tanti professori prestati dall’università alla politica, tanti primari che approfittavano della posizione nell’Unità Sanitaria Locale per farsi eleggere nei consigli comunali o regionali, tanti consiglieri comunali che hanno goduto della legge Storti dei lontani anni Cinquanta, che ricostruisce le carriere dei pubblici dipendenti, cosicché l’identificazione fra funzione pubblica e classe politica significava una politica senza rischio, con la rete di protezione:: si diventava deputati, poi si usciva dal Parlamento per riprendere tranquillamente la propria carriera.
Questo dato è stato particolarmente significativo perché corrispondeva, o è stato contestuale, a un altro fatto di ordine economico e sociale: la crescita e l’espansione anche abnorme dello stato sociale nel nostro Paese, come in altri del mondo occidentale, ha creato quello che è stato chiamato da un sociologo francese il privilegio socialista,vale a dire l’ “ipoteca socialista” sulla struttura sociale.
…Punto centrale del discorso è: in quale modo sono state gestite le risorse trasferite dai privati alla collettività? Di fatto quest’immensa “ipoteca socialista” è stata governata da una classe politica che ha avuto notevoli punti di identificazione con la pubblica amministrazione. È questo uno degli elementi che, per chi ha conosciuto la realtà di atto della vita politica non soltanto a livello centrale, ma anche a livello locale, ha caratterizzato maggiormente quella che io chiamo la fisiologia della corruzione, la monetizzazione dell’agire pubblico e del rapporto pubblico-privato, fra classe politica e classe amministrativa ancora più impressionante di quello patologico, poiché l’illecito ha incluso solo una zona minoritaria di un processo che ha fagocitato larga parte dell’agire pubblico…
…Occorre dunque un primo luogo riguardare a questo fenomeno della monetizzazione dell’agire pubblico, con le conseguenze che esso ha anche sulla velocità di circolazione della ricchezza monetizzata, sia attraverso la fisiologia della corruzione che attraverso la sua patologia, accentuando quel processo, che già ha avuto luogo una volta in tutto il mondo occidentale, di divaricazione fra l’economia produttiva e l’economia monetaria, ossia fra i flussi di ricchezza investiti in attività produttiva e quelli che invece si liberano dall’attività produttiva e creano capacità di intervento in settori della speculazione. Pensiamo alla speculazione valutaria che è uno degli elementi più ricorrenti nel campo della monetizzazione dell’agire pubblico: si sa che molti parlamentari sono amici dei “loro” dirigenti nelle banche pubbliche (veri e propri insiders) e ne ricavano quasi quotidianamente informazioni sugli investimenti azionari e valutari. Questo, dal punto di vista dell’economia, è un processo non solo immorale ma anche foriero di conseguenze perverse sullo stesso processo economico.
L’ultima considerazione che vorrei fare è la seguente: non è giunto il momento di rifletere sull’esigenza di creare una separazione chirurgica fra i gemelli siamesi della pubblica amministrazione e della classe politica? Non è giunto il momento, anche sulla base dei principi del mercato inteso – come Carli dichiarava nella famosa intervista del 1978 – non solo come sistema di comportamenti ma anche di norme regolative, di stabilire una serie di principi imprescindibili in questa direzione? Penso ad esempio alla reintroduzione di quell’elemento di rischio che distingueva la politica dalla sicurezza della carriera pubblica mediante la rinuncia definitiva, per chi voglia intraprendere la carriera politica tanto a livello locale quanto a livello nazionale o europeo, al proprio posto nella pubblica amministrazione…
…A tutto questo complesso macroscopico di fenomeni, si andava accompagnando nel corso degli anni il diffondersi di tutta una serie di comportamenti che divenivano usuali, consuetudinari, considerati scontati, insomma “fisiologici”, pur essendo in realtà anch’essi considerabili riconducibili alla complessiva patologia della corruzione…
…Forse il caso più eclatante fu quello meno conosciuto ma anche , alla fine, notevolmente diffuso ce prese il nome di “tangente d’onore”.
Si trattò di una forma forse più ingegnosa e insospettabile di scambio illecito usato nell’ambito di “tangentopoli”, all’insegna di una creatività addirittura genialoide, di una inventività fertile nella frode della leggi.
Ne venni a conoscenza del tutto casualmente, a seguito del racconto di un mio amico.
Riporto qui di seguito, per sommi capi, l’incredibile narrazione del mio conoscente.
“Un giorno d’estate fui raggiunto dalla telefonata di un amico appartenente al mio stesso partito, ma residente in un’altra città, che si trovava a Roma, in un noto albergo del centro, frequentato abitualmente da parlamentari e altri esponenti di quella forza politica. Si sapeva che, nelle sale dell’hotel, oltre alle solite cene e riunioni politiche, venivano ospitati anche tavoli da gioco, in particolare di poker, che si dicevano ad alta tensione, vale a dire con un giro di denaro notevolmente elevato.
Questo mio amico mi chiedeva di partecipare a una di queste partite quello stesso pomeriggio in quanto uno degli invitati era improvvisamente venuto a mancare, ed era assolutamente necessario che l’appuntamento non saltasse perché gli altri erano venuti apposta da fuori Roma.
La cosa mi parve un po’ strana ed esitai a dare una risposta. Poi, non volendo mostrami scortese e non avendo altri impegni, finii per accettare. Il solerte invitante venne a prendermi in macchina, forse temendo che all’ultimo momento ci ripensassi, e strada facendo mi disse di non preoccuparmi se si giocava un po’ alto perché se io avessi perso lui e l’altro compagno avrebbero coperto il mio impegno visto che ero stato così disponibile, Io gli domandai come mai era così sicuro che loro due avrebbero vinto e lui mi rispose che doveva nascere ancora chi vinceva al poker contro di loro. Tuttavia, alle mie rimostranze e alla mia minaccia di non voler partecipare a una partita truccata, mi rassicurò, dicendomi che tutto si sarebbe svolto regolarmente. E che avrei avuto il modo di rendermene conto. Aggiungendo ovviamente la sua parola di gentiluomo. Insomma avevano bisogno di un’altra persona al fine di far numero e sedersi al tavolo verde”.
Il racconto così proseguì: “In effetti il gioco fu molto elevato. A farlo decollare era proprio il quarto uomo, quello per ci la partita si doveva fare a ogni costo, un ingegnere settentrionale che, da quel che capii, si occupava di edilizia. E che alla fine perse una cifra considerevole, di alcune decine di milioni di vecchio conio. A questo punto mi aspettavo che firmasse i soliti assegni agli altri due giocatori, essendo andato io perfettamente in parità. Ma con mia sorpresa mi accorsi che egli apriva la borsa che aveva portato con sé per estrarre i contanti. Poi, dopo un brindisi di commiato e una amichevole stretta di mano, l’ingegnere si eclissava mentre gli altri due mi accompagnavano fino a casa”.
Non scambiammo parola su quanto era accaduto. Il fatto parlava da solo.
Il poker era stato un astuto espediente per cancellare le tracce di un reato di corruzione.
* Dal libro di Antonio Landolfi: “Il Socialista con gli occhiali. Scritti per un’autobiografia politica di Antonio Landolfi” a cura di Adriana Martinelli, Laura Landolfi, Flavia Landolfi, Rubbettino, 2016, pagg. 73-80, euro 16,00