Pasolini, lezione eterna di una mente scomoda

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-di VALENTINA BOMBARDIERI- 

“Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. Amo il sole, l’erba, la gioventù. L’amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro.”  Queste le parole di Pier Paolo Pasolini nel libro “Il cinema in forma di poesia”.

La sua vita finì il 2 novembre 1975. Venne ucciso durante la notte e le circostanze rimangono avvolte ancora nel mistero. Al di là della condanna di colui che venne giudicato come colpevole: Pino Pelosi, un ragazzo di Guidonia ancora diciasettenne. Nel 1975 confessò, per ritirare la confessione nel 2005 affermando che l’omicidio sarebbe stato commesso da altre tre persone.  Non si è mai fatto luce sulla vicenda come dei molti attentati che avvennero in quegli anni.

Pasolini amava la vita. A lui hanno strappato la vita e al mondo il suo poeta. Scrittore, poeta, sceneggiatore, regista. Un uomo controtendenza e radicale. Ci ha lasciato un debito che difficilmente verrà saldato. Condannato durante la sua esistenza dalle persecuzioni della classe borghese collezionò nella sua vita un numero impressionante di condanne penali per presunte offese alla religione di Stato e al comune senso del pudore, oltraggi contenuti, secondo i suoi detrattori, nelle sue opere a carattere letterario e nei suoi film.

Un uomo che rimane ancora senza il meritato riconoscimento. Basti pensare che il film cult di Pasolini “Salò o le 120 giornate di Sodoma” non è mai stato trasmesso da una tv nazionale.  Era un ragazzo sveglio, incline alla critica. Ha saputo comprendere e trasmettere il molteplice e complesso svilupparsi delle dinamiche sociali, politiche ed economiche.

“Il mio pessimismo mi spinge a vedere un futuro nero, intollerabile a uno sguardo umanistico, dominato da un neo-imperialismo dalle forme in realtà imprevedibili”; “l’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo”; “il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo”. Queste le sue parole, che anni dopo conservano ancora una impressionante attualità. Ha intuito quanto il progresso sarebbe finito in un magma postmoderno e consumistico.

Un artista a tutto tondo, che è diventato un mito. Un uomo che non ha mai avuto paura di sporcarsi le mani. Criticava gli studenti figli di papà che si scontravano con le forze dell’ordine proletarie a Valle Giulia, che andava in Africa o in India o nello Yemen.

“Abbiamo perso prima di tutto un poeta “, diceva Alberto Moravia ai funerali di Pier Paolo Pasolini. Chissà quale contributo avrebbe portato alla società italiana degli anni ’80. Sicuri che non avrebbe perso la lucidità e la coerenza, doti che hanno contraddistinto la sua vita.

Valentina Bombardieri

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