Trump parla ai “suoi”, Hillary agli Usa e al mondo

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-di LUIGI TROIANI-

Avevo scritto per “L’Articolo 1” in tempi non sospetti (fine febbraio): “Appare davvero impossibile che nei decisivi tre dibattiti televisivi previsti, una navigata del calibro di Hillary possa farsi fare le scarpe dallo sbruffone Trump. E si azzardi, il supermiliardario, a esibirsi in qualcuna delle sue sparate contro donne o immigrati. Gli crollerebbe tutto addosso”. E’ andata così e anche peggio, perché il candidato repubblicano, nel dibattito della notte ha incassato da Clinton l’epiteto di “persona più pericolosa a correre per la presidenza nella storia moderna degli Stati Uniti”, per poi deragliare con il rifiuto di accettare il verdetto delle urne in caso di sconfitta. A questo punto, salvo incidenti di percorso dell’ultimo miglio, l’8 novembre dovrebbe coronarsi il sogno di ogni americano progressista: che la Casa Bianca alloggi, dopo un nero, una donna.
Trump ha mostrato di non capire la differenza tra il parlare al suo pubblico nei comizi e conferire con la nazione e il mondo in un dibattito televisivo. Altrimenti non avrebbe continuato a battere la grancassa della “stampa corrotta” e della “grande cospirazione”, ad annoiare l’uditorio sulle mail clintoniane, a non rispondere mai a tono alle domande. Soprattutto non avrebbe violato il patto nazionale non scritto, da tutti rispettato, di inchinarsi al presidente eletto, benché avversario nella competizione.

Di fronte ad atteggiamenti del genere, puntualmente ribaditi, ci si può chiedere se ci sia incapacità o scelta. Nel primo caso si avrebbe a che fare con un’intelligenza torpida che ha tuttora in mente di governare l’America: peccatuccio veniale di sovrastima. Nel secondo, la questione sarebbe angosciosa, perché ci si troverebbe dentro una sorta di incubo cospiratorio ed eversivo appoggiato nel domestico da lobby pro-armi (quando Clinton gli ha chiesto conto di 33.000 civili statunitensi che muoiono annualmente per colpi da armi d’assalto, Trump ha evocato il secondo emendamento, e tanto basti!) e da tutto il peggio della destra profonda americana, in politica internazionale da una sorta di progetto condominiale TrumPutin (vedasi la cyberwar russa contro i democratici). A presidenza eventualmente persa, il traguardo sarebbero le elezioni di mid-term. Si terrebbe sotto schiaffo una Clinton delegittimata via social e media alleati, in attesa di passi falsi che spianerebbero la strada al successo elettorale trumpista al Congresso. Impensabile che il partito Repubblicano (vedansi le dissociazioni del governatore Mike Pence, candidato vice presidente) si adegui.

La frase con cui Trump ha chiuso il dibattito della notte è la chiave di lettura della campagna. Dopo aver sputato su Obamacare (la riforma sanitaria) e le politiche socio-economiche dell’attuale Casa Bianca, Trump avverte: “Non possiamo infliggerci altri quattro anni di Barack Obama, ed è questo che vi toccherà se la scegliete”. Clinton non si è stancata di ripetere che si muove nel tracciato della presidenza Obama, e che come lui vuole portare “amore e gentilezza” in un paese da sempre troppo duro, “unendo” una società da sempre divisa. Un ringraziamento ad ambedue i contendenti per il dibattito della scorsa notte: si sono finalmente confrontati sui rispettivi programmi, spegnendo le luci rosse XXX, che facevano sconsigliare i loro incontri ai minori.

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