Quarant’anni fa moriva Mao: nei Diari di Nenni quella Cina

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Esattamente quarant’anni fa, il 9 settembre 1976, Mao Tse-tung (o Mao Zedong che di si voglia) moriva in Cina all’età di quasi ottantaré anni (li avrebbe compiuti il 26 dicembre). Il paese che oggi conosciamo è diverso da quello che lui ha lasciato, decisamente più chiuso e misterioso, sicuramente molto, molto meno ricco. Negli anni della contestazione giovanile, nel ’68, in Italia la sua figura assunse una straordinaria rilevanza affascinando studenti e intellettuali (tra gli altri, anche Dario Fo). Lui, qualche tempo prima, nel 1966, aveva lanciato “la rivoluzione culturale” con il potere che finì per essere esercitato direttamente dalla Guardie Rosse con conseguenze decisamente nefaste (numerosi dissidenti finirono in prigione vittime di una feroce repressione, una parte del patrimonio culturale ritenuto di derivazione borghese venne distrutto). Lo stesso ispiratore principale, cioè Mao, cominciando a temere le degenerazioni del movimento, lo dichiarò concluso nel 1969, anche se ufficialmente lo si considera terminato nel 1976, con la morte di Mao. Cosa resta dell’uomo che creò la Repubblica Popolare Cinese dal punto di vista del messaggio politico? Non molto, probabilmente qualche foto ingiallita e qualche nostalgico poco disponibile alla rassegnazione. Ciò non toglie che sia stata una figura centrale del Novecento e per questo vogliamo, in questo “anniversario tondo” ricordarlo. In primo luogo con alcune pagine inedite del Diario di Nenni in Cina. Riguardano la visita compiuta nel 1971: la nostra Fondazione è al lavoro per riorganizzare il materiale che a breve verrà dato alle stampe. E con gli stralci di un libro di Joseph Smith che insegna American Diplomatic History all’università di Exeter il Gran Bretagna. Le pagine del diario di Nenni ci offrono un panorama del clima e la descrizione di protagonisti come Ciu En-lai (o Zhou Enlai) che Nenni incontrò e morì solo qualche mese prima di Mao, nel gennaio del 1976. Gli stralci del libro “La guerra fredda 1945-1991” ci spiegano la nascita della Repubblica Popolare Cinese inquadrandolo nel clima del confronto Est-Ovest che avrebbe caratterizzato quasi mezzo secolo della nostra storia. Abbiamo anche recuperato un passo dell’intervista che concesse a Oriana Fallaci e che venne pubblicata in un libro significativamente dal titolo: “Intervista con la storia”.

La Cina all’epoca di Mao secondo Nenni

8 novembre (lunedì)

(Shangai- Pechino)

Congedo da Shangai. Un dato che mi ha colpito ieri sera. Una folla immensa sulle strade poi verso le 8, 8 e ½ la città quasi vuota. Il miracolo della rivoluzione e la trasformazione del costume della città. Tutto fermo dopo le 10 e mezzo, cinema, teatri. Questa è stata una delle più famose città del vizio , della prostituzione , dell’orgia: legioni di prostitute, venditori e fumatori d’oppio, criminali, mendicanti, molti, molti bambini che tendevano la mano e si offrivano ai depravati sessuali.

Quella contro il vizio è stata in una città come Shangai una delle battaglie più dure. Da anni è una battaglia vinta.

Ciò conferma che una società socialista è sempre una società casta.

Il tempo accenna a cambiare. Già ieri era coperto. Oggi pure lo è. Ma non fa freddo per niente e l’atmosfera è quella di Roma.

Partito per Pechino alle ore 12 e mezzo su un vecchio quadrimotore britannico, ormai superato. Ma la Cina non ha aviazione civile pur essendo il paese che per la sua vastità ne ha bisogno più di ogni altro. Si viaggia in treno e basta. I treni sono piuttosto lenti e non elettrificati. Quello preso ieri per Shanghai veniva da Canton: tanti chilometri 38 ore di viaggio. Quello che va a Pechino 1200 km, 21/22 ore di viaggio.

Il “Viscount” mette meno di tre ore da Shanghai a Pechino. I viaggiatori sono pochi.

Finché è stato possibile vedere bene l’occhio abbraccia l’estensione quasi infinita delle risaie . Dal treno perciò potei meglio osservare la campagna. Non un metro quadrato che non sia minuziosamente coltivato. Si vede insomma che prima hanno pensato al riso per tutti, poi come e quando si potrà, verranno gli aerei civili, le auto, le autostrade E’ vero che hanno anche pensato prima alla bomba atomica Ma forse si è trattato più di un riflesso difensivo che di orgoglio.

Siamo arrivati alle 15,30. Ero atteso dal vice ministro degli esteri Lin Yao-Wen, dal nostro incaricato di affari Restivo che ci aveva preceduti da Shangai, personale dell’ambasciata e la corrispondente dell’Ansa, signora Ada Princigalli.

Il vice ministro mi ha portato il saluto del governo e mi ha accompagnato all’albergo il “Peking Hotel China” lo stesso, credo, dove 16 anni or sono alloggiai con Carmen. Mi avevano detto che a Pechino faceva freddo. Il tempo invece è bello, assolato, appena fresco. Ed io che ho trascinato fin qui un equipaggiamento da montagna!

Si entra in città lungo un magnifico viale di 30 km. Sboccante sulla famosa piazza della Pace celeste, la piazza della rivoluzione per eccellenza, dove avvengono le grandi manifestazioni di popolo, dove il 1° ottobre del ’55 assistetti alle celebrazioni del quinto anniversario della fondazione della Repubblica Popolare, la festa soppressa quest’anno per ragioni in parte rimaste misteriose e che ancora durano.

Ho chiesto il perché della soppressione. Mi hanno risposto che nessuno dei motivi addotti dalla stampa occidentale è fondato e che la decisione era presa da tempo. Sarà…

Poco tempo stasera per riscoprire Pechino. Alle 19 siamo attesi nel Palazzo del Congresso del Popolo sede dell’Assemblea Popolare cinese, la terza, già scaduta ma rinnovata e sede della presidenza del Consiglio .

Il banchetto è offerto dal vice presidente del Comitato permanente dell’Assemblea, il mio vecchio compagno Kuo-Mo Jo dei tempi del Movimento dei partigiani della pace.

E’ lui che mi aveva invitato 16 anni or sono. Con lui ci eravamo incontrati a Varsavia, a Berlino, a Parigi.

L’ho trovato assai malandato in salute (ha un anno meno di me) ma sveglio di mente. Siamo una quarantina di commensali.

Il benvenuto mi è stato rivolto da Kuo-Mo Jo in un breve e succoso brindisi assai lusinghiero nei miei confronti. Ho risposto anch’io con un breve ringraziamento e un saluto a lui, all’Assemblea nazionale, al popolo cinese, a Mao Tse- Tung, al governo che ho ringraziato dell’invito.

Ho indicato nell’ingresso della Cina all’ONU una data fondamentale inizio di una fase nuova nella vita della organizzazione delle Nazioni Unite con un ruolo per la Cina al quale mi sono augurato che noi possiamo associarci, ognuno nel suo campo, ognuno nei suoi limiti.

Dopo il pranzo ho dato uno sguardo ai saloni dell’Assemblea. C’è un teatro con 10.000 posti a sedere; una sala dei banchetti per settemila commensali, saloni per ognuna delle rappresentanze delle province dei grandi comuni, delle regioni autonome (29).

Tutto alla misura della Cina. Un esempio: uno dei tappeti pesa tre tonnellate.

Il palazzo è stato costruito nel 1959 in un anno per celebrare il decimo anniversario della liberazione.

Si associano i due fattori, della grandiosità e della bellezza degli ornamenti

11 novembre

(giovedì)

Stasera ho avuto un lungo, anzi un lunghissimo incontro con Ciu En – lai. E’ durato dalle 19 alle 23,30 in due tempi: dalle 19 alle 21 a tu per tu (presenti ben inteso i segretari e traduttori del presidente del consiglio), dalle 21 in poi attorno alla tavola da pranzo a cui aveva invitato Vany, Daniele, Gozzano e il nostro incaricato d’affari Restivo e la moglie. E’ questa la prima presa di contatto della nostra Ambasciata col Presidente del Consiglio. C’era stato un certo gelo aggravato dall’episodio di un messaggio di Colombo a Ciu En lai finito nei cassetti.

Ciu En lai ha 73 anni. L’ho trovato affaticato. Dicono che dorme 3-4 ore al giorno, cioè troppo poco. Ha sulle spalle un carico impressionante. Mi è venuto incontro sorridente e con le mani tese meravigliato per la mia “giovinezza”. La ritrovo –ha detto- tale e quale come se fosse appena uscito dal colloquio di sedici anni or sono. Si aiuta col poco francese che ricorda per poi affidarsi subito al traduttore, il mio accompagnatore Liu, molto bravo. A Parigi (mi dirà poi) c’è stato per tre anni dal ’20 al ’23 quando io non ero ancora in esilio.

Durante quattro ore ha parlato prevalentemente lui, tornando con insistenza sui motivi ai quali è maggiormente interessato: l’imperialismo americano e quello giapponese; il voto all’ONU sull’ammissione della Cina e le analisi che comporta sui movimenti di forza e di opinione che sono in atto; la politica sovietica che è il sottinteso (? e forse l’affanno?) di ogni sua critica allo status-quo.

Il dialogo è stato necessariamente alquanto disordinato, come sempre quando gli interlocutori si

muovono in una loro logica particolare, con problemi e con preoccupazioni particolari. Preferisco perciò riproporlo per argomenti e materia.

Voto italiano all’ONU

Il giudizio del Primo Ministro è positivo. Conosciamo la situazione. Sappiamo a quali pressioni americane e a quali intrighi l’Italia è stata sottoposta. Sappiamo anche che hanno pesato sul voto considerazioni di politica interna. Siamo grati a Lei di avere sostenuto in modo integrale la nostra giusta tesi, come Le fummo grati a suo tempo di avere avviato il procedimento per il riconoscimento del nostro governo.

Anche l’astensione dell’Italia sulla pregiudiziale procedurale (la cosiddetta questione importante) è da noi considerata come un atto di amicizia.

Israele

In proposito una lettera della compagna Golda Meir aveva chiesto il mio intervento presso il Governo di Pechino. Il Primo Ministro mi dice, spiacente di non poter dare una risposta positiva alla mia richiesta. Nei confronti di Israele si rifà ad una opposizione di principio circa il diritto stesso di esistenza dello stato Israeliano. Alla mia osservazione che ogni dubbio in proposito è di fatto superato dallo stato delle cose creato dal voto unanime dato a suo tempo dalle Nazioni Unite alla fondazione dello stato di Israele, risponde che da allora esiste una questione medio-orientale complicata dall’intervento degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica a favore di Israele i primi, degli arabi i secondi. Da allora si sono verificati tutta una serie di atti, e di prese di posizione arbitrarie e contraddittorie. Mosca ha dato armi all’Egitto ma nello stesso tempo ha paralizzato e trattenuto Nasser nel momento il più favorevole e trattiene oggi il suo successore.

Concorda col mio giudizio circa il carattere contraddittorio della mozione di novembre 1967 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, ma è una contraddizione che risale ad una posizione di principio sbagliata. Pechino rimane fedele a questa posizione di principio, praticamente abbandonata dai russi : la Palestina ai palestinesi .

Avendo io ricordato che dietro lo stato di Israele ci sono i sei milioni di ebrei sterminati da Hitler e le persecuzioni e intolleranze degli ebrei, il Primo Ministro risponde che è solidale con gli ebrei perseguitati. (Marx era ebreo), senza comunque accettare la conseguenza che per ogni popolo nomade, per ogni minoranza perseguitata esista il diritto ad un suo proprio “foyer” nazionale. Diversamente sorgerebbero molti problemi analoghi in Cina, in Russia, in molti altri paesi. Quanto alla richiesta di Golda Meir, per una ripresa di contatti diritti o indiretti, gli dispiace di deludermi ma la risposta non può che essere negativa.

“Nella situazione attuale non è possibile.”

Si riserva del resto di esaminare meglio l’intero problema del Medio Oriente in rapporto alle nuove responsabilità della Cina nella Assemblea e nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Mediterraneo

Sui riflessi mediterranei del conflitto sul Medio Oriente e sulle interferenze americane e sovietiche in questo mare europeo si rende conto della validità delle mie preoccupazioni. Ma la soluzione va cercata fuori e contro le interferenze americane e sovietiche. Cita l’esempio dei paesi dell’America Latina che hanno interdetto l’accesso alle acque territoriali per un raggio di 200 miglia marine ( Misura del resto relativa ai diritti di pesca e di sfruttamento del fondo marino). In ogni caso il problema è diverso nel Mediterraneo, dove l’Unione Sovietica rivendica un diritto di presenza che nasce dal fatto che il Mar Nero ha nel Mediterraneo il suo solo sbocco del quale, sarebbe una appendice e dove gli Stati Uniti giustificano la loro presenza in funzione di una eguale esigenza atlantica. (Le scatole cinesi).

In oltre proprio nel Mediterraneo si manifestano i contrasti più forti tra i paesi che vi si affacciano, con la Francia che rivendica un primato che non ha, la Spagna di Franco e la Grecia dei colonnelli alimentano le sopravvivenze fasciste comuni a tutto il Mediterraneo mentre Marocco, Tunisia, Algeria agiscono su posizioni di reciproco sospetto.

L’unità politica dell’Europa

Il Primo Ministro trova interessante la mia tesi che perché i paesi europei non soggiacciano gli uni all’influenza americana, gli altri all’influenza sovietica, occorre che l’Europa trovi la sua unità politica come col MEC ha realizzato un minimo di integrazione economica.

Ma se- chiede Ciu En lai- è così difficile una intesa mediterranea come potrà raggiungersi una intesa europea? E poi di quale Europa si parla? E come allontanare l’Unione Sovietica dall’Europa orientale e l’America da quella occidentale?

Problemi rispondo per certo difficili ma vitali per chi rifiuta l’egemonia delle due super potenze. Si rafforza in America il tradizionale isolazionismo. Il presidente Nixon mi disse nel febbraio 1969, durante il suo soggiorno a Roma, che sarebbe stato l’uomo più popolare dell’America se fosse tornato a Washington dicendo : “Basta con l’Europa, risolva da sola i suoi problemi”. Forse nel prossimo maggio, venendo a Pechino, Nixon dirà al Primo Ministro che avrebbe il successo elettorale in tasca se tornando in America dicesse :”Basta con l’Asia, risolva l’Asia i suoi problemi da sola.”

La risposta di Ciu En lai è che queste sono parole benché parole dietro le quali è in atto una situazione in movimento.

L’Europa da integrare politicamente è per ora quella occidentale e dell’americanismo.

Quanto all’Europa dell’Est anche nel suo seno operano fermenti di indipendenza e autodeterminazione che verrebbero aiutati dall’Unità politica dell’Europa occidentale.

Mosca lo sa e perciò preferisce avere a che fare con i singoli paesi europei e non con una Europa unita.

Il Primo Ministro non nega l’importanza del problema. Ma l’Europa è lontana (Egli forse pensa al proverbio cinese: ma l’acqua lontana serve poco per un fuoco vicino) e i problemi asiatici sono per esso prevalenti.

Indocina

I problemi del Sud Est asiatico sono prevalenti per la Cina. Anche in questa zona del mondo l’Unione Sovietica da aiuti ma nello stesso tempo lega le mani ai vietnamiti, ai laotiani, ai cambogiani. La Cina conta di aiutare senza legare le mani a chi vuole battersi. Questa è la sua funzione.

La Cina all’ONU

Il mondo attende con curiosità la Cina alla prova dell’ONU. Da un punto di vista generale Ciu En lai descrive la posizione cinese all’ONU nel modo seguente: Non siamo né vogliamo essere la terza o la quarta o la quinta grande potenza. Non agiamo al modo di super potenza. Siamo una grande nazione, siamo una nazione nucleare, ma siamo anche una nazione ancora per un lungo tempo sottosviluppata. Non intendiamo attaccare nessuno. Se attaccati sappiamo di essere alla lunga invincibili. La nostra stessa struttura interna è concepita in termini di capacità auto difensiva di ognuna delle nostre province o regioni o città. Respingiamo per principio lo sciovinismo di potenza.

Saremo all’ONU i difensori dei popoli che si battono contro l’imperialismo e il colonialismo in tutte le sue forme e manifestazioni.

Io :

è questa oggi, in Europa, la forza della Cina anche tra i comunisti di obbedienza sovietica. Il suo rifiuto dello sciovinismo di potenza la colloca naturalmente alla testa dei popoli in lotta per la loro indipendenza nazionale e politica.

Ciu En-lai :

Non deluderemo chi ha avuto ed ha fiducia in noi come l’Europa attende la Cina alla prova dell’ONU, così l’attende alla prova del confronto con l’America.

Cina, America, Giappone

Il discorso cade così su ciò che Pechino attende dall’incontro di Ciu En- lai con Nixon. Il Primo Ministro schiva la risposta diretta. Comunque mi è sembrato che egli abbia accolto con soddisfazione il mio riferimento alla polemica largamente diffusa che l’incontro di Pechino con Nixon segni l’inizio di una fase politica nuova. Non ci saranno miracoli, non ci saranno abbracci, non ci saranno soluzioni spettacolari. Si aprirà un nuovo periodo che comporterà duri scontri in un contesto più favorevole a soluzioni di pace.

Per noi, dice il Primo Ministro, contano i fatti e non le parole e sui fatti giudicheremo e agiremo. Ed è ovvio che il richiamo ai fatti si riferisce in particolare all’Indocina e al Giappone.

Il Primo Ministro cinese non ignora e non sopravvaluta le difficoltà attuali (d’ordine non solo monetario ma economiche e politiche) nei rapporti dell’America con il Giappone. Ma sembra temere (e non a torto) che il riarmo del Giappone possa divenire il terreno di una rinnovata intesa tra Washington e Tokio. E non mi nasconde, che il riarmo giapponese, comporti un serio e grave pericolo di guerra.

La questione di Taiwan

Alla fine del lungo colloquio il Primo Ministro dice di avere una questione grave da sottopormi e da sottoporre all’incaricato di affari del governo italiano.

La questione è quella di Taiwan (Formosa). Essa sembrerebbe risolta col voto dell’ONU- Ma Pechino è stata sorpresa dal fatto che Londra (che all’ONU ha votato contro l’America) afferma che c’è ancora un problema aperto di Taiwan . Così che Pechino teme che sia una iniziativa della “cricca” di Chang Kai-Scek per dare forma ad uno stato indipendente di Taiwan.

In tale direzione si muove il Giappone. Tale è stata e rimane la tesi americana. Tutto ciò è pericoloso e dannoso, ragione per la quale la Cina chiederà una precisa assunzione di responsabilità ai paesi che hanno rapporti diplomatici con Pechino.

Ho risposto che il nostro incaricato d’affari trasmetterà al governo il quesito or ora posto. Vedrà Ciu En- lai come affrontare questo problema con gli Stati Uniti e ciò in rapporto alla presenza della settima flotta americana davanti a Formosa. Per parte mia solleverò la questione davanti all’internazionale socialista ed eventualmente la porterò al suo Congresso di Vienna nel prossimo mese di febbraio.

Questa la parte generale del colloquio. Diluitosi in quattro ore di conversazioni sono emersi problemi minori.

Con una sorpresa, per esempio, mi sono sentito dire che è stata una sciagura per l’Italia, non avere avuto un De Gaulle. Ho fatto osservare che un De Gaulle italiano non c’è stato per due ragioni: perché non c’è e perché se ci fosse stato andrebbe duramente combattuto. Un De Gaulle italiano sarebbe un De Gaulle fascista non il capo della Resistenza, non l’importante profeta di una rinascita della grandezza francese.

Parlando della Spagna e dell’eroica difesa di Madrid, Ciu En- lai ha espresso un giudizio duro sulle democrazie occidentali che “tradirono” le attese del popolo spagnolo ma anche su l’Unione sovietica che aiutò gli spagnoli ma non oltre la preoccupazione di evitare ogni forma di compromissione. Per cui Mosca fu anche in Spagna un fattore di limitazione dell’iniziativa popolare. In verità la nostra sconfitta in Spagna derivò dall’accumulazione di molti fattori negativi, soprattutto dal fatto che non avevamo allora una nozione della guerra partigiana quale si manifestò più tardi in Francia ed in Italia sul fronte della guerra e quale si è manifestata da dieci anni in qua nel Vietnam.

Un accenno alle scissioni socialiste e comuniste ha portato il Primo Ministro ad esprimere un giudizio negativo sull’internazionalismo nelle sue forme organizzate. Fallita la prima, la seconda, la terza Internazionale. Ragion per cui i cinesi non propongono una nuova Internazionale ma rapporti bilaterali tra i movimenti operai dei diversi paesi.

A questo punto il discorso è scivolato sui contrasti tra l’Internazionale comunista e i comunisti cinesi nel 1927-28 e così ha condotto Ciu En- lai a dare un giudizio del tutto negativo su Togliatti, allora associato a Bukarin, ed allora e poi fiducioso più nella forza di stato dell’Unione Sovietica che nella azione rivoluzionaria dei popoli. Marx nel 1871 ebbe fiducia nella Comune di Parigi anche se era di origine e di ispirazione social-hòoyvulibertaria. Non così i dirigenti comunisti come Togliatti per i quali non c’è niente di valore senza il timbro sovietico.

Infine un accenno alle elezioni presidenziali in Italia. Il Primo Ministro ha voluto sapere quali candidati fossero già in lizza. Fanfani per certo, Moro potenzialmente, da non escludere Saragat benché si sia finora evitata la riconferma del presidente uscente, il periodo presidenziale di sette anni essendo di per sé medesimo assai lungo. Tuttavia non esistono incompatibilità costituzionali perché il presidente uscente possa riproporre la propria candidatura.

“ E Lei?” ha chiesto Ciu En-lai

“ Io ho ottant’anni “

“Però, ed è stata la battuta finale- non è escluso dalla vostra Costituzione che ad ottant’anni non si possa essere Presidente della Repubblica”.

Su questo “bon mot” si è chiuso il lungo colloquio.

Erano le 11,30. Il congedo è stato cordiale ed addirittura affettuoso.

In mattinata ero stato in gita alla Grande Muraglia, a 80 km da Pechino. Si tratta di una delle più grandi opere create dall’uomo a prezzo di inauditi sacrifici. Assieme alle Piramidi una testimonianza di forza e di capacità creativa.

Cominciata 5 secoli A.C. raggiungeva all’epoca della dinastia dei Ming la lunghezza di 7.000 km. E’ alta 7,80 m e larga 6,50m. Fu edificata con blocchi di roccia di 1000 kg l’uno. Costò migliaia e migliaia di vite umane. Essa ha garantito per secoli la sicurezza di Pechino da attacchi dal Nord.

La Grande Muraglia si snoda fino a vista d’occhio o di cannocchiale in una zona arida, dove il rimboschimento ordinato dal Governo incontra grandi ostacoli naturali. Il Nord è in Cina ciò che da noi è il Sud, cioè una zona senza acqua e dove, le rare piogge non riescono a vincere la siccità.

La sola coltivazione è perciò quella del grano. Per chilometri si snodano i campi seminati a grano. Più giù, verso la città e la sua periferia torna a trionfare il verde.

Le strade sono invase da colonne di carro a traino animale o di camion che portano in città un alimento prezioso i cavalli che le famiglie acquistano a centinaia di chili per il lungo incipiente inverno.

Inverno incipiente a termini di calendario perché la giornata oggi è stata splendida e nella zona montagnosa della Grande Muraglia assolutamente radiosa. Con un cielo limpido ed un venticello che pare una carezza.

Ho incontrato lungo il percorso varie comitive di ragazzi in marcia con tanto di zaino. Sono allievi delle scuole impegnati nella lunga marcia chiesta da Mao.

Viaggi ed escursioni di 15 –20 giorni per 300 km, un mezzo per irrobustire il fisico ed acquisire una più piena concezione della vita.

Vanno, come ho detto per centinaia di chilometri, dormono nei villaggi, aiutano i contadini nei loro lavori, hanno sulle labbra canzoni rivoluzionarie e nel cuore il desiderio di capire il mondo nel quale stanno per fare il loro ingresso.

Quando disse alla Fallaci: “Sì, Mao mi piace”

-di ORIANA FALLACI*-

Sputano sulla democrazia, senatore Nenni. Non di rado sputano sulla Resistenza. Attraverso Mao prendono come modello una società con la quale non abbiamo nulla in comune. Ora, lei che è stato in Cina e ha conosciuto Mao Tse-tung…

Sì, ma non è un rapido contatto con un paese sconosciuto a farci capire una rivoluzione, un sistema, un uomo. Io ho scarsa fiducia in certi viaggi. Vede, una volta Krusciov mi raccontò che Stalin sapeva ben poco della Russia e, di fronte alla mia meraviglia, spiegò: “Gli fabbricavamo noi dei film, e poi glieli proiettavamo. Scene di vita cittadina e campagnola: tutto artefatto”. E io risposi scherzando: “Le stesse cose che mostrate a noi quando veniamo in Russia”. È così. Non ne sappiamo molto dell’Unione Sovietica, anche dopo esserci stati. E non ne sappiamo di più sulla Cina dopo esserci stati. Ad esempio, come si fa a penetrare il mistero di quest’ultima fase della rivoluzione cinese? Nella misura in cui la si interpreta come una rivolta libertaria, sembra un fatto positivo. Ma si è trattato soltanto di una rivolta libertaria? Lo vedremo in futuro. Quanto a Mao Tse-tung, ecco: nel momento in cui si avvicina Mao Tse-tung, non si avvicina un uomo della strada che ha i lineamenti di Mao Tse-tung: si avvicina il creatore di una grande rivoluzione e siamo in uno stato d’animo del tutto particolare. Con Mao Tse-tung mi successe quello che m’era successo con Stalin. Visto a tu per tu, Stalin appariva un omino innocuo e cortese. Nella sua bonarietà dava addirittura un’impressione di sciatteria. Però non dimenticatevi che era Stalin, uno dei vincitori, se non il vincitore, della Seconda guerra mondiale, il gran capo della Russia.

Torniamo a Mao Tse-tung. Le piacque?

Certo! Forse resta il personaggio che mi è piaciuto di più. Ma, se dovessi motivare questa scelta, non ne sarei capace. Perché nasce da un istinto. Suppongo che mi sia piaciuto perché viene dal mondo contadino. E io son figlio di contadini, senza alcuna contaminazione cittadina o borghese. Mao, cosa vuol che le dica di Mao? Si stette insieme un pomeriggio che per metà se ne andò in traduzioni: ci si diceva le cose attraverso l’interprete. Neanche Ciu En-lai, che è stato minatore in Belgio e dovrebbe conoscere bene il francese, e di certo parla l’inglese, mi parlò senza interprete. Mao fu cordiale. Mi chiese perfino cosa fosse l’Operazione Nenni della quale, allora, si parlava molto sui giornali. Così gli spiegai che era un tentativo di apertura verso la Democrazia cristiana, per sollecitarne una svolta a sinistra, ma lui non espresse giudizi. Si capisce: certe cose non rientrano nella sua tematica. Poi si discusse dell’ingresso della Cina all’ONU, sul riconoscimento reciproco dei nostri due paesi, delle missioni cattoliche in Cina rispetto alle quali s’era parlato di massacri. Mi parve un uomo vivo. E io mi sento bene con gli uomini vivi. Il che vale anche e soprattutto per Krusciov. Vede, i dirigenti sovietici sono dei muri. Non introducono mai niente di umano nei loro discorsi: rifuggono dalla facezia, stanno sempre in cattedra. Krusciov invece non stava mai in cattedra: perfino dinanzi a un estraneo come me. Beveva, scherzava, prendeva in giro i suoi collaboratori. Parlando di Molotov mi disse: “Sa, quello è un mulo!”. Che fosse un mulo, del resto, lo avevo esperimentato io stesso quando ci eravamo visti per il problema di Trieste. Ma che c’entrano questi ricordi? Non dovevamo parlare dell’Italia e degli italiani?

*Oriana Fallaci: “Intervista con la Storia”, I edizione 1974, Rizzoli, pp.390

La nascita della Cina di Mao e gli Stati Uniti

-di JOSEPH SMITH*-

Per più di mille anni l’immenso impero cinese aveva esercitato il suo dominio sui paesi dell’Estremo Oriente; nel corso del XX secolo, tuttavia, la sua posizione egemonica venne brutalmente attaccata e formalmente indebolita dalle incursioni delle potenze occidentali. La rivoluzione del 1911 segnò la fine dell’impero cinese, ma la nuova repubblica non riuscì a dare stabilità politica ed economica al paese. Preoccupate dalle loro questioni interne, le nazioni europee non riuscirono a sfruttare la debolezza cinese; di conseguenza il Giappone ne fu il principale beneficiario. A partire dalla sua vittoria sulla Russia zarista del 1904-1905, il Giappone aveva esteso costantemente la sua influenza e i suoi domini territoriali sul continente asiatico. L’aggressione alla Manciuria nel 1931 si allargò sei anni più tardi a una generale contro la Cina… Ma i sogni egemonici giapponesi provocarono alla fine il diretto intervento militare degli Stati Uniti…. Gli Stati Uniti svilupparono anche un rapporto particolarmente cordiale con la Cina. Venne Perseguita una linea nota come politica della “porta aperta”, con la quale i commercianti americani si assicurarono un accesso a condizioni di parità agli immensi mercati cinesi in cambio dell’impegno del loro governo di assicurare sostegno diplomatico alle rivendicazioni di integrità territoriali e di indipendenza politica della Cina. All’interno degli Stati Uniti emerse una “lobby cinese” che si batteva a favore di più stretti legami politici ed economici. In verità, il pubblico americano non aveva bisogno di molti sforzi di persuasione, manifestando come faceva una sincera solidarietà al popolo cinese nella sua lotta contro l’imperialismo europeo e giapponese. Tuttavia, il desiderio di agire come protettore autodesignato della Cina produsse inevitabilmente tensione nei rapporti tra Stati Uniti e Giappone, che culminò nell’assalto a Pearl Habor nel 1941.

Nonostante la richiesta da parte dell’opinione pubblica di una rapida e massiccia rappresaglia contro il Giappone, l’amministrazione Roosevelt insistette per seguire nella seconda guerra mondiale una strategia di assoluta priorità europea… Gli Stati Uniti preferirono mobilitare la loro enorme potenza aerea e navale in una graduale campagna condotta isola dopo isola attraverso il Pacifico. La resistenza giapponese si rivelò però feroce e fanatica di conseguenza il mantenimento di un secondo fronte militare in Cina, divenne un importante elemento nella strategia per l’Estremo Oriente. Sostegno finanziario e militare venne accordato al governo nazionalista di Chiang Kai.-Shek…

Mantenendo un fermo controllo sul Giappone, la diplomazia americana mirava a modificare l’equilibrio di potere nella regione così che la Cina potesse riassumere un importante ruolo geopolitico. Durante la seconda guerra mondiale, Roosevelt aveva sempre insistito sulla necessità di trattare la Cina come una grande potenza… A suo giudizio una Cina forte e democratica avrebbe accelerato il cammino del progresso politico ede economico di tutto l?Estremo Oriente. Questa visione ottimistica, tuttavia, contrastava nettamente con la realtà di un paese impoverito e diviso da una feroce guerra civile.

Il Kuo-min-tang o partito nazionalista, aveva dominato la dina sin dagli anni Venti: gli Stati Uniti riconobbero ufficialmente il governo nazionalista del 1928 e si allearono con esso durante la seconda guerra mondiale. Il leader nazionalista Chiang Kai-Sheck era particolarmente popolare negli Stati Uniti dove la lobby cinese esaltava i suoi sforzi in difesa della libertà. Inoltre la conversione di Chiang al cattolicesimo e il fatto che sua moglie era stata educata negli Stati Uniti offrirono un ulteriore contributo alla sua immagine di campione dei valori occidentali. D’altra parte i nazionalisti erano tristemente noti per la loro corruzione e inefficienza: erano dominati da una cricca militare che col suo regime oppressivo aveva provocato una massiccia rivolta agraria guidata dai comunisti capeggiati da Mao Tse-tung…

Poco prima della conclusione della guerra col Giappone nell’agosto 1945, truppe sovietiche entrarono in Manciuraia in conformità con gli accordi raggiunti a Yalta da Roosevelt e Stalin. Nella stessa Cina, Mao controllava vaste aree del nordest e affermava di possedere un esercito di 500.000 uomini. La prospettiva di ulteriori avanzate comuniste spinse Truman a inviare 50.000 marines americani per aiutare i nazionalisti…

Nel dicembre del 1945 il presidente Truman inviò il generale Marshall in Cina col compito di mediatore nelle ostilità tra Chiang er Mao. Anche se venne rapidamente annunciato un cessate il fuoco, questo si rivelò un gesto puramente retorico dato che nazionalisti e comunisti nutrivano una totale reciproca sfiducia e non erano disposti a negoziare un compromesso politico di stampo occidentale, La futilità del tentativo di mediazione di Marshall e i limiti dell’influenza americana vennero messi in luce dalla decisione unilaterale di Chaing di lanciare un’offensiva militare contro i comunisti nel Nordest. Nel gennaio 1947 Marshall dichiarò la propria sconfitta…

L’amministrazione Truman desiderava essenzialmente districarsi dal groviglio cinese: i marines americani furono così ritirati nel 1947… Una complicazione politica scaturì tuttavia dall’abilità di Chiang di mobilitare il sostegno della “lobby cinese” a Washington: posando come “codifensore della democrazia”, Chiang fece astutamente appello all’aiuto americano “contro l’assalto e l’infiltrazione del comunismo nel mondo”. Pur non abbandonando Chiang, l’amministrazione Truman gli accordò solo aiuti economici e militari limitati…

Nel 1949 la situazione di stallo militare in Cina ebbe un drammatico sviluppo. I comunisti avanzarono dalla loro base in Manciuria e completarono la conquista del paese: nell’ottobre 1949 Mao Proclamò formalmente la costituzione della Repubblica Popolare Cinese e alla fine dell’anno Chiang si ritirò sull’isola di Formosa. L’amministrazione Truman fu sbalordita dalla piega degli eventi, ma non del tutto sorpresa. I funzionari americani ricevettero istruzioni di restare in Cina e si prospettò la possibilità di stabilire entro breve tempo rapporti diplomatici col nuovo regime.

* Dal libro di Joseph Smith: “La guerra fredda 1945-1991”, capitolo terzo “il conflitto in Asia”, pp. 69-74; il Mulino, 2012, pp 221, euro 14,00

 

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