Tasse calate, dice Renzi. Ma nessuno se ne è accorto.

 

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-di ANTONIO MAGLIE-

Le tasse sono una cosa seria, soprattutto per chi le paga, cioè in larga misura per i lavoratori dipendenti e i pensionati che sono i più grandi finanziatori dello Stato per via della ritenuta alla fonte. Ieri il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha confermato di voler continuare sulla strada della riduzione della pressione fiscale. In realtà, al momento, gli unici che hanno goduto di qualche sgravio sono gli imprenditori (che a essere sinceri non sembrano aver messo a disposizione della collettività il beneficio ottenuto con un sostanzioso aumento degli investimenti) mentre i comuni mortali, cioè i cittadini, delle riduzioni così tanto pubblicizzate da Renzi non si sono ancora resi conto, a cominciare proprio dai pensionati per i quali non vale nemmeno la storia degli ottanta euro che, comunque, non è semplice catalogare come intervento fiscale (anche perché in realtà tale non è).


A parte l’aspetto curioso di un presidente del consiglio che polemizza con un pezzo del suo partito sul tema (Silvio Berlusconi con i medesimi argomenti di solito questionava con i “comunisti”, cioè con la sinistra, con i suoi oppositori), comportamento che volendo si configura come una bella mitragliata contro la propria trincea, bisogna dire che la pressione fiscale in realtà non è diminuita di nulla o quasi.

Lo hanno sottolineato, con una certa determinazione, le associazioni dei consumatori che attraverso Rosario Trefiletti ed Elio Lanutti hanno fatto presente che, in base ai dati dell’Istat (pertanto ufficiali e noti anche a Palazzo Chigi) la pressione fiscale nel suo complesso in Italia è cresciuta dal 2011 al 2015 dal 41,6 per cento al 43,7. Se la matematica non è un’opinione, allora, la conclusione è che la famosa riduzione pubblicizzata dal presidente del consiglio non c’è stata. E, probabilmente, non c’è stata perché questo Paese ha bisogno di una vera riforma fiscale che parta dal riequilibrio di un dato sconfortante e cioè che solo il sessanta per cento del popolo (contribuente) italiano paga le tasse sino all’ultima lira (o, meglio, euro); gli altri evadono o in parte o in toto.

E, allora, quando si parla di riduzione del carico fiscale bisognerebbe partire da quel sessanta per cento per vedere come e qualmente si possa alleggerire il carico che grava su quella platea per distribuirlo meglio su quell’altra parte di platea che assiste e limita al minimo i movimenti del proprio portafoglio. Il resto sono solo chiacchiere.

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