Perché Papa Francesco ha ragione (sulle cose essenziali)

ansa - braghieri - POPE: GENERAL AUDIENCE

-di EDOARDO CRISAFULLI-

Dire che tutte le religioni predicano la pace è a dir poco azzardato. L’affermazione però calma le teste calde ed ha quindi una sua utilità politica. Sul piano scientifico ci sarebbe molto da eccepire. Chiunque abbia una qualche familiarità con i testi canonici dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam, sa che vi troverà appigli a sufficienza per scatenare una campagna di “pulizia etnica” contro gli infedeli o gli eretici di turno. La verità è che l’ascia di guerra l’hanno sotterrata solo le religiose secolarizzate, quelle che hanno rinunciato all’utopia della città sacra e alla violenza sopraffattrice.

Si può dissentire su alcune cose che Papa Francesco dice sull’islam. Ma qui, più che le dispute accademiche, ci preme la politica – quella “buona, giusta, pulita”. E su due punti essenzialmente politici Papa Francesco ha ragione: (1) la lotta al fondamentalismo islamico non va trasformata in una guerra all’islam in quanto tale – ciò sarebbe sbagliato e autolesionistico. (2) La Chiesa cattolica deve continuare a battere il sentiero del dialogo interreligioso, interloquendo con chi ci sta: e cioè con i cosiddetti musulmani moderati. 

Questo pontefice, che piace tanto alla sinistra e dà invece l’orticaria alla destra xenofoba e ai cattolici reazionari, non si è inventato nulla: la sua azione pastorale è in linea con lo spirito e la dottrina del Concilio Vaticano II. Coloro – e non sono pochi – che vorrebbero un papa con gli occhi torvi e la bava alla bocca, un papa che brandisce la croce in una mano e la spada nell’altra, un crociato redivivo insomma, o sono ignoranti o fanno i furbi. La Chiesa cattolica non può più scatenare né crociate né cacce alle streghe Per farlo, dovrebbe sconfessare quella che è forse la più straordinaria dichiarazione della cattolicità moderna, quel frutto maturo e dolcissimo del Concilio che si chiama Nostra Aetate (1965). Lì si ribadisce che il Cristo “è via, verità e vita”. E tuttavia – qui sta il nucleo rivoluzionario – “la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo” nell’ebraismo, nell’islam, nell’induismo e nel buddismo. Benché tali religioni differiscano dal cristianesimo, esse “non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”. Questo è un relativismo all’acqua di rose, per così dire: non inficia la verità del cristianesimo. Eppure è un gesto di rottura epocale: annunzia la fine di quel fideismo totalizzante che ha permeato la nostra tradizione religiosa per oltre un millennio. Senza la Nostra Aetate – firmata da Paolo VI ma ispirata da Giovanni XXIII, il primo papa laico dell’evo moderno – il dialogo interreligioso sarebbe inconcepibile, un’eresia inammissibile. Come puoi tendere la mano a un ebreo, a un musulmano, a un buddista, a un induista, se pensi che solo tu, cristiano, possiedi la verità e che quindi solo tu, cristiano, salverai la tua anima, ricongiungendoti alla tua morte all’unico Dio, che è il tuo? Come puoi esserci pace in terra, se sei convinto della tua superiorità e rivendichi il sacrosanto diritto/dovere di imporre il tuo credo ai recalcitranti, ai dissenzienti e agli infedeli? 

Non lo si ripeterà mai abbastanza: è saggio e giusto riconoscere nella fede altrui una scintilla di verità. Questa posizione teologica, peraltro, è in piena sintonia con la civiltà liberale. È germogliata grazie alla semina dei laici, degli illuministi, a cui dobbiamo due importantissime idee politico-filosofiche: la verità nasce dal conflitto pacifico fra opinioni contrastanti; le nazioni libere e civili incoraggiano la coesistenza di fedi diverse. Il dialogo interreligioso è la via maestra da imboccare e percorrere fino in fondo. Che quella via sia irta di buche, ostacoli e trappole è ovvio: ognuno, in cuor suo, è convinto di adorare il dio vero. Non illudiamoci, dunque: i fedeli di religioni diverse tendono a essere in competizione fra loro. Anche il credente più aperto mentalmente deve compiere uno sforzo enorme per aprirsi all’altro, al diverso da sé. E spesso fallisce: anche se tu tendi la mano c’è dall’altra parte chi si rifiuta di stringertela. Il conflitto più duro avviene nelle coscienze, quando ci si confronta col dettato – severo, categorico – dei testi sacri. 

Ma c’è una battaglia più lacerante, è quella pubblica che si manifesta in comunità divise e confuse dall’offensiva fondamentalista. È qui che dobbiamo intervenire. C’è una lotta di egemonie fra chi è favorevole al dialogo, a un multiculturalismo ragionevole, e chi agogna lo scontro aperto, rifiutando ogni forma di diversità. I fondamentalisti islamici hanno alleati in Occidente: sono i reazionari disgustati dal Concilio Vaticano II. Per questa genia anche una goccia di relativismo è veleno iniettato nel corpo della Chiesa. Sanno che nervi scoperti toccare, questi duri e puri che bollano come traditori di Cristo e dell’intera civiltà occidentale chiunque non abbia il fucile puntato contro l’islam. La loro parola d’ordine è brutalmente semplice: in nome del concetto di responsabilità collettiva, rendiamo ai musulmani pan per focaccia. Nessun dialogo, nessuna apertura, nessuna stretta di mano: sono tutti potenziali terroristi.

Fra i sostenitori di questa teoria vendicativa di esemplare raffinatezza, spicca l’incorruttibile Magdi Cristiano Allam, convertitosi qualche anno fa al cattolicesimo (la cerimonia fu officiata in pompa magna da Benedetto XVI). Non c’è rimasto molto, in seno a Santa Romana Chiesa. Dopo pochi anni l’ha abbandonata con lo stesso strepitio emesso quando vi è entrato a gamba tesa. Non mi pronuncio sulla sincerità delle conversioni: la fede appartiene alla sfera la più intima dell’animo umano. Nessuno ha il diritto di scandagliare l’altrui coscienza, per pescare nel torbido. Certo è che Magdi Allam sulla sua conversione pubblica ha costruito una fortunata carriera giornalistica e politica. E’ altrettanto certo che la sua fede aveva i piedi di argilla: è bastato che un papa mite ed ecumenico, Papa Francesco, varcasse il soglio pontificio, perché lui, il neoconvertito, scalpitasse per andarsene altrove, a respirare aria più pura e rinvigorente. 

In una lettera pubblicata sul Giornale il 25 marzo 2013 (“Perché me ne vado da questa Chiesa debole con l’islam”), il baldanzoso ex guerriero di Cristo spiega le sue ragioni. Allam era stato folgorato da Benedetto XVI, alias Ratzinger. Questo Papa, ai suoi occhi, aveva le credenziali giuste: conservatore di prim’ordine ed ex Sant’ Uffizio, esordì denunciando la “dittatura del relativismo” in Occidente, cioè il demoniaco politeismo dei valori della civiltà moderna. Ma Ratzinger non si è fatto paladino di una restaurazione autoritaria che rinverdisse i fasti della Santa Inquisizione. Di qui la cocente delusione. Ora Allam capisce che la Chiesa cattolica “è fisiologicamente relativista”. Prova di ciò sta nel fatto che legittima l’islam “come vera religione”, mentre questa sarebbe in realtà null’altro che “un’ideologia intrinsecamente violenta”. La Chiesa, assurdamente, riconosce a Maometto lo status di “vero profeta” e considera il Corano “un testo sacro”. E invece dovrebbe metterlo “al bando”, il testo che racchiude la rivelazione islamica, condannando al tempo stesso la sharia “quale crimine contro l’umanità’”. Allam è furibondo. L’apertura all’islam – “una follia suicida” – indusse il mitico Giovanni Paolo II a baciare il Corano il 14 maggio 1999, e il suo beniamino Benedetto XVI a porre la mano su quel testo sacro, “pregando in direzione della Mecca all’interno della Moschea Blu di Istanbul il 30 novembre 2006”. Chi l’ha fatta più grossa è Papa Francesco, il più molle e relativista. L’attuale pontefice ha addirittura esaltato coloro che dovremmo considerare nostri nemici, i musulmani “che adorano il Dio unico, vivente e misericordioso”. 

Parole insensate in libertà: né Woytila, né Ratzinger, né Bergoglio hanno mostrato arrendevolezza verso l’islam. Sono, semplicemente, i figli coerenti della Chiesa post-conciliare, che ha abbandonato la folle pretesa di abbracciare, da sola, l’universo mondo delle verità morali e di fede. I conservatori Woytila e Ratzinger hanno tentato di smussare gli spigoli della rivoluzione modernista. Più di così non potevano fare. Non avrebbero potuto neppure depotenziarla, quella rivoluzione. Una volta affermato il principio che c’è un pulviscolo di verità nell’islam, o rinneghi quanto detto dai tuoi predecessori, creando una frattura nella cattolicità, oppure dovrai un giorno baciare il Corano ed entrare da fratello nella Moschea Blu di Istanbul. Da questo punto di vista, il senso del celebre discorso (12 settembre 2016) di Ratzinger a Regensburg (Ratisbona) – “Fede, ragione e università” – è stato equivocato: la critica all’islam ivi contenuta, la si condivida o meno, non collide con lo spirito dialogante inaugurato dal Concilio Vaticano, spirito che viene infatti riaffermato quando si sottolinea la necessità “di un vero dialogo delle culture e delle religioni”. Un linguaggio, questo, che è difficile categorizzare come intollerante. Dialogo significa confronto, dissenso rispettoso ma franco, non rinuncia alle proprie opinioni.

Allo stesso modo, le parole concilianti di Papa Francesco sono prese proprio dall’innovativa dichiarazione Nostra Aetate: “La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini.” Il testo, che tutti i cattolici dovrebbero conoscere, continua così: i musulmani “cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione.” 

Non tragga in inganno il linguaggio laico dei diritti umani che trapela dalla lettera di Allam (“pari dignità fra uomo e donna, libertà religiosa”). E’ tutta una messinscena per accalappiare qualche illuminista, o presunto tale, e trascinarlo sul piede di guerra. Non c’è nulla di più distante dall’illuminismo che fomentare una guerra santa, di religione. Non c’è nulla di più alieno a Voltaire del rifiuto categorico del relativismo che avrebbe infettato la Chiesa cattolica. 

Quella lettera è il manifesto di chi desidera lo scontro di civiltà. Il sogno di Allam – un incubo per noi laici – è resuscitare la religione guerriera dei nostri Avi. Una religione ruvida e arcaica che sapeva come parare i colpi dell’avversario, e ancor meglio come restituirli con violenza moltiplicata. Un sogno impossibile, come ho già osservato, ma che ha il vantaggio di far guadagnar a chi lo evoca una folla di seguaci. Basta pescare negli ambienti in cui pullulano gli intolleranti, gli esaltati e i biliosi pronti a menar le mani. Folle illusione quella di chi vuol mettere indietro le lancette dell’orologio e tornare come se nulla fosse al Sillabo di Pio IX (1864). Di solito associamo questo documento alla condanna del liberalismo e dello Stato secolare. Esso formula anche un rifiuto esplicito del dialogo interreligioso, che si basa sulla perversa idea liberal-modernista per cui tutte le religioni si equivalgono. Giacché una sola è quella giusta, e garantisce la salvezza dell’anima: la fede cristiana. Coerentemente con tale assunto, il Sillabocondanna chiunque neghi il dogma “extra ecclesiam nulla salus”. Un dogma, questo, ribadito con forza dal Catechismo di Pio X (1905): “No, fuori della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana nessuno può salvarsi, come niuno poté salvarsi dal diluvio fuori dell’Arca di Noè”. 

Leggendo queste parole si capisce la forza dirompente del Concilio Vaticano II, evento cardine del cattolicesimo (non del cristianesimo tout court: il seme libertario lo aveva già piantato la Riforma protestante). Giovanni XXIII ha spinto la Chiesa cattolica a riconciliarsi con la civiltà moderna e ad abbracciare i principi della democrazia e del liberalismo che essa stessa aveva demonizzato fino a pochi decenni prima. Così il ‘papa buono’ ha disinnescato la bomba jihadista cristiana. Cari xenofobi e falsi laici, non siamo noi cristiani che dobbiamo scimmiottare le frange più estreme dell’islamismo politico; è piuttosto l’islam tradizionalista che deve seguire l’esempio civile e saggio del Concilio Vaticano II. 

I seminatori di zizzania e i fomentatori di odio religioso non hanno speranze. La violenza fanatica che, per stupido e insensato contrappasso, vorrebbero scagliare in faccia all’islam, è figlia di un padre che si chiama verità assoluta. Questo padre – non già il tal o tal altro versetto o passo evangelico – è la radice del male, la fonte di tanta violenza disumana nel corso della storia. La presunzione di possedere l’unica, incontrovertibile verità giustifica la missione di imporla ai recalcitranti manu militari. Di qui i numerosi massacri compiuti in nome della religione dell’amore. E’ illuminante quello che scrive Amoz Oz nel romanzo Giuda: “Il mondo è storto e bacato e pieno di sofferenze, ma chiunque venga a redimerlo provoca quasi subito fiumi di sangue”. E’ proprio l’amore ipertrofico “per il genere umano”, un tipo di amore condito di fanatismo e zelo missionario, ad avere “un sapore antico di fiumi di sangue”.

Senza il parricidio compiuto da Giovanni XXIII, Woytila non avrebbe potuto baciare il Corano, né apostrofare gli ebrei “nostri fratelli maggiori” (prima del Concilio, erano “perfidi giudei” per la cui conversione occorreva pregare). E lo stesso vale per i pontefici che l’hanno succeduto. Allam, rassegnati: tu e i tuoi compagni di cordata siete orfani di un padre che non tornerà più in vita. La jihad cristiana è stata uccisa dalla modernità illuministica, e le esequie le ha officiate nei lontani anni Sessanta del secolo scorso quella figura straordinaria di Pontefice che risponde al nome di Angelo Giuseppe Roncalli.

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