Bankitalia: Perché la P.A. non “recluta” i migliori

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In questo studio, i ricercatori della Banca d’Italia spiegano perché la Pubblica Amministrazione non riesce a reclutare i migliori, sottolineano le carenze delle procedure concorsuali, l’invecchiamento degli organici a causa del blocco del turn over e la limitata incidenza degli incentivi ai fini del miglioramento del servizio.

-di Cristina Giorgiantonio, Tommaso Orlando, Giuliana Palumbo e Lucio Rizzica*-

Il pubblico impiego in Italia 

Secondo il più recente rapporto dell’OCSE sullo stato del settore pubblico nei paesi membri (OCSE, 2015), la PA impiega in media quasi un quinto della forza lavoro. Le differenze tra paesi sono tuttavia significative, poiché la dimensione del settore pubblico riflette l’ampiezza dei compiti a esso attribuiti dai singoli ordinamenti: se, da un lato, nei paesi scandinavi (Norvegia e Danimarca in testa) la percentuale della forza lavoro impiegata dal settore pubblico nel 2013 superava il 30 per cento, in alcuni paesi asiatici, ad esempio Giappone e Corea del Sud, essa non raggiunge il 10 per cento. In Italia, la PA impiega circa tre milioni e mezzo di lavoratori, pari al 16 per cento della forza lavoro, una quota minore di quella osservata in Francia e nel Regno Unito (21,5 per cento e 17,9 per cento rispettivamente) e in netta diminuzione rispetto al 2009 (-1,2 per cento6), così come nel Regno Unito (-1,5) e a differenza della Francia (-0,4). 

La composizione della forza lavoro 

Da un punto di vista qualitativo, i lavoratori pubblici italiani differiscono in diverse dimensioni da quelli del settore privato. Questa diversità non è, tuttavia, specifica del nostro paese: si tratta, al contrario, di un elemento comune a tutti gli Stati, come segnalato da una vasta evidenza empirica. Dal confronto internazionale emergono, però, alcune peculiarità del contesto italiano. Secondo la Rilevazione sulle Forze di Lavoro europee (EU-LFS, 2013), nel confronto con le cinque principali economie europee, l’Italia si caratterizza per i) una quota inferiore di donne nel settore pubblico, con un divario pubblico-privato positivo ma minore di quello medio dei paesi considerati; ii) una sovra-rappresentazione dei lavoratori più anziani nel settore pubblico, con un divario pubblico-privato largamente superiore a quello degli altri paesi e dovuto alla più elevata età media dei dipendenti pubblici italiani; iii) un alto divario pubblico-privato anche in termini di livelli di istruzione terziaria, riconducibile – però – a un dato particolarmente negativo del settore privato. Con specifico riferimento agli aspetti anagrafici, si nota come quasi il 45 per cento dei lavoratori della PA italiana abbia più di 50 anni; circa il 25 più di 55. Utilizzando i dati amministrativi del Conto annuale RGS, che si riferiscono al solo personale stabile, tali quote aumentano, rispettivamente, al 50 e al 30 per cento, con un’età media prossima ai 50 anni. Inoltre, l’età media dei dipendenti pubblici è aumentata del 13 per cento tra il 2001 e il 2014, a causa dei prolungati blocchi del turn over… 

Infine, per quanto riguarda i profili professionali selezionati, l’Italia si caratterizza per una preponderanza di laureati in discipline socio-umanistiche (“Scienze sociali, economia, legge” e “Studi umanistici e arti”), la cui quota è pari a circa il 48 per cento del totale dei laureati al servizio della PA. Si deve poi considerare che gran parte dei laureati in discipline scientifiche (circa il 9 per cento) e sanitarie (circa il 24 per cento) è assorbita dai comparti dell’Istruzione e della Sanità. Riducendo l’ambito di osservazione alla PA in senso stretto (Amministrazione pubblica, difesa e assicurazione sociale obbligatoria, secondo la classificazione ATECO), la quota dei laureati in discipline socio-umanistiche supera il 70 per cento. In particolare, il 29 per cento ha una laurea in giurisprudenza, il 17 per cento in economia e il 16 per cento in altre scienze sociali.

I sistemi di reclutamento e di selezione 

Ai sensi della Costituzione, la modalità ordinaria di accesso alla PA in Italia è rappresentata dalla procedura selettiva (c.d. concorso). Negli ultimi anni, tuttavia, la politica di reclutamento della PA italiana ha subito profondi mutamenti, determinati soprattutto da esigenze di contenimento della spesa. 

In primo luogo, si è assistito a un generalizzato inasprimento dei vincoli alle assunzioni, realizzato attraverso l’introduzione di limiti puntuali come i blocchi del turnover, che ha determinato una generale contrazione nel numero di dipendenti pubblici. Anche in conseguenza del fatto che, soprattutto nella prima fase, l’inasprimento dei vincoli ha interessato prevalentemente i rapporti a tempo indeterminato, le procedure concorsuali tradizionali hanno progressivamente perso rilievo come strumento di selezione del personale pubblico. Dall’Indagine LFS (2014) si desume, a tal proposito, un’incidenza maggioritaria degli assunti per concorso prima del 1994, a fronte, invece, di una minore presenza di vincitori di concorso negli ultimi due decenni. 

Le amministrazioni hanno reagito alla carenza di risorse derivante da questi vincoli con un più ampio ricorso a contratti di lavoro flessibile e, quindi, con un maggiore utilizzo di personale assunto mediante procedure selettive “semplificate” rispetto a quelle per i dipendenti di ruolo o, addirittura, in assenza delle stesse. Solo a partire dal 2003, anche i contratti flessibili sono stati interessati da limitazioni quantitative, nella forma di tetti massimi in percentuale rispetto alle spese degli anni precedenti relative al personale a tempo determinato o con contratto di collaborazione. Accanto a tali misure di contenimento, a partire dalla legge finanziaria per il 2007 sono stati approvati numerosi interventi legislativi di c.d. “stabilizzazione” dei lavoratori con contratti di lavoro flessibile, anche in funzione dell’ampio contenzioso generatosi in materia. 

L’andamento dello stock dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato riflette l’evoluzione normativa. Secondo i dati riportati nel Conto Annuale della Ragioneria dello Stato, infatti, il loro numero è cresciuto dal 2001 al 2006, raggiungendo un picco di oltre 490.000 unità negli anni 2006-200719. Esso si è, in seguito, progressivamente ridotto fino ad attestarsi poco sopra le 300.000 unità nel 2014, con una diminuzione particolarmente marcata negli anni 2006-2011. Tale riduzione riflette le politiche di stabilizzazione che, tra il 2007 e il 2012 hanno riguardato oltre 70.000 lavoratori. Quella a termine continua, però, a rappresentare la modalità prevalente di assunzione, riguardando, secondo nostre stime sui dati LFS, più di quattro su cinque dei nuovi ingressi nell’anno 2013 (tre su quattro se si escludono i comparti della Scuola e della Sanità). 

A fronte della contrazione della sua rilevanza quantitativa, l’istituto concorsuale è stato solo limitatamente interessato dalle riforme adottate a partire dalla seconda metà degli anni ’90, con la c.d. privatizzazione del pubblico impiego. La disciplina è contenuta nell’art. 35 del Testo unico sul pubblico impiego – TUPI (d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), che tuttavia si limita a fissare alcuni principi generali in materia di pubblicità, trasparenza, imparzialità e decentramento delle selezioni, rimandandone l’attuazione ad altre fonti normative. Tali modalità di attuazione non sono contenute in un provvedimento generale valido per tutto l’universo delle Amministrazioni pubbliche, ma sono demandate agli ordinamenti dei singoli enti che vi provvedono sulla base della propria potestà regolamentare. Tuttavia, è possibile individuare alcuni connotati trasversali e comuni alle procedure di reclutamento dei diversi enti. 

In primo luogo, i concorsi banditi dalle amministrazioni italiane si caratterizzano, di regola, per un elevato grado di “rigidità” e formalizzazione. Essi si articolano, infatti, in step procedurali ben individuati e rigidi, generalmente consistenti in prove scritte e orali, prevalentemente volte a testare conoscenze teorico-nozionistiche. Tali modalità di reclutamento, volte a garantire la selettività delle prove e l’uniformità nei criteri di valutazione, hanno ripercussioni sui costi di preparazione delle prove per i candidati, che risultano mediamente elevati. Secondo stime basate sull’indagine IBF (2014), tra gli assunti per concorso: i) ognuno ha studiato in media circa 5 mesi per sostenere la prova; ii) oltre il 45 per cento ha solo studiato in quel periodo, non svolgendo altra attività lavorativa. Considerando che nel 2014 oltre 280.000 individui hanno inviato domanda di partecipazione o sostenuto prove di un concorso pubblico (stime basate sui dati LFS), si può calcolare che ogni anno nell’economia italiana vengono impiegati oltre 1 milione di mesi per la preparazione di concorsi pubblici. Con un salario netto medio mensile pari a circa 1.300 euro, la stima del costo opportunità per il Paese è valutabile in circa 1.4 miliardi di euro l’anno. Inoltre, per quanto riguarda le caratteristiche e le capacità in base alle quali i candidati sono valutati e selezionati, risultano prevalenti, tra i vincitori di concorsi pubblici, le competenze “generalista-teoriche” rispetto a quelle “specialistico-operative”. Un’evidenza indiretta di ciò si può riscontrare nella preponderanza di laureati in discipline socio-umanistiche… 

Un elemento che caratterizza la gestione delle procedure concorsuali, e che influisce in maniera determinante sull’irregolarità della cadenza, è la tendenza ad approvare, al termine delle procedure, graduatorie che, di regola, contemplano numerosi candidati dichiarati “idonei, non vincitori” e la cui vigenza è prevista per vari anni. Nostre elaborazioni su dati provenienti dal monitoraggio sulle graduatorie concorsuali a cura del Dipartimento della Funzione pubblica mostrano come, in media, per ogni vincitore siano stati dichiarati idonei circa 7 candidati31. Tuttavia, al 30 aprile 2015, solo il 16 per cento di tali persone risultava assunto al servizio dell’amministrazione interessata. 

Le retribuzioni, i benefit e i percorsi di carriera 

…Oltre a riflettere poco le performance individuali, le compensazioni e le progressioni di carriera appaiono remunerare poco l’istruzione e le competenze. La stima dei rendimenti dell’istruzione dei lavoratori dipendenti in Italia, Spagna, Regno Unito, Francia e Germania, basata sui dati EU-SILC, mostra l’esistenza di un divario negativo tra l’Italia e gli altri paesi analizzati nell’ordine dei 2 punti percentuali. Tale divario è più ampio nel settore pubblico (2,6 p.p. nel pubblico e 1,9 p.p. nel privato), dove i rendimenti dell’istruzione sono comunque significativamente più bassi che nel settore privato per tutti i paesi europei. Analizzando poi separatamente i salari degli uomini e quelli delle donne, emerge come la differenza tra l’Italia e gli altri paesi analizzati in termini di rendimenti dell’istruzione nel settore pubblico sia molto elevata per gli uomini e, invece, nulla per le donne: ogni anno di istruzione in più aumenta il salario di un dipendente pubblico italiano di sesso maschile di 4 punti percentuali, contro i 7,6 punti percentuali di un dipendente del settore privato; il gap tra l’Italia e gli altri paesi è più che doppio nel settore pubblico rispetto al privato. Per quanto riguarda le donne, invece, le dipendenti pubbliche italiane hanno rendimenti dell’istruzione pari a quelli delle dipendenti pubbliche degli altri paesi europei, mentre nel settore privato questi sono sensibilmente inferiori (circa 2,7 punti percentuali in meno per ogni anno di istruzione aggiuntivo). 

Tali differenze nei rendimenti dell’istruzione si riflettono nei differenziali salariali tra settore pubblico e privato osservati per le diverse categorie di lavoratori. De Stefanis e Naddeo (2016), per esempio, mostrano che in Italia il differenziale salariale tra settore pubblico e privato37 è positivo solo per i lavoratori meno istruiti, mentre risulta negativo per i laureati o per i possessori di un titolo post-laurea. Solo per le donne, tra i lavoratori con un livello di istruzione elevato, il settore pubblico offrirebbe un premio salariale positivo, in linea con quanto evidenziato dalle nostre stime dei rendimenti dell’istruzione…

L’auto-selezione dei lavoratori nel settore pubblico 

…Attrarre i lavoratori più qualificati e motivati costituisce un obiettivo centrale per un sistema pubblico efficiente. Comprendere se e perché i lavoratori preferiscano il pubblico impiego può, quindi, essere utile al fine di analizzare l’attuale composizione della forza lavoro pubblica e ricavare indicazioni di policy relative al disegno dei contratti nel settore pubblico. 

Secondo il giudizio dei lavoratori, per come ricavabile dai dati dell’IBF 2014, il settore pubblico italiano risulta mediamente più attraente di quello privato, che più spesso sarebbe un’alternativa solo residuale: l’82 per cento dei dipendenti pubblici italiani dichiara di aver scelto esplicitamente di lavorare nel settore pubblico, mentre – tra i dipendenti del settore privato – la quota di coloro che hanno scelto di lavorare nel settore è del 40 per cento (il rimanente 60 per cento dichiara di non avere avuto alternative)…

…Stime basate sui dati dell’IBF 2014 mostrano che, per i dipendenti con un titolo di studio più elevato, l’attrattività del settore pubblico rispetto al privato si riduce significativamente in relazione ai livelli delle retribuzioni, alle prospettive di carriera e alla trasparenza delle procedure di selezione, mentre aumenta in relazione agli altri fattori. Inoltre, il divario tra pubblico e privato relativo alle prospettive di carriera (di segno negativo) e quello relativo alla coerenza tra lavoro e percorso di studi (di segno positivo) sono significativamente più ampi tra i lavoratori più istruiti e più capaci, intesi come quelli che hanno impiegato meno tempo a conseguire il proprio titolo di studio (Rizzica, 2016). Questi risultati mettono in luce sia la debolezza del settore pubblico nell’attrarre tali soggetti, legata all’incapacità, evidenziata già nel paragrafo 2.3, di premiare il merito e le competenze con percorsi di carriera dinamici; sia l’importanza di garantire la coerenza tra profili professionali e posizioni ricoperte…

…Le analisi empiriche confermano che sistemi di remunerazione che premiano i risultati individuali hanno effetti positivi in termini di auto-selezione dei lavoratori più capaci e istruiti. Parte della letteratura ha però evidenziato come l’introduzione di schemi incentivali forti potrebbe generare effetti di spiazzamento, limitando la capacità della PA di attrarre individui intrinsecamente motivati 

La selezione dei lavoratori 

…Le caratteristiche strutturali del sistema di reclutamento utilizzato dalla PA italiana… non sembrano adeguatamente favorire l’ingresso dei candidati migliori e con il profilo più indicato alle attuali esigenze delle amministrazioni. Sull’efficacia dei processi di reclutamento incidono, inoltre, alcune distorsioni del sistema, legate alla cadenza irregolare dei concorsi e alla perdurante vigenza di lunghe graduatorie di idonei. 

  1. Rigidità delle procedure di reclutamento. Come già evidenziato, la rigidità delle procedure e i contenuti su cui la selezione è basata comportano per il candidato costi elevati (in termini di tempo e di risorse) per la preparazione delle prove selettive. Tali costi possono disincentivare i candidati più capaci e con migliori prospettive sul mercato del lavoro dal partecipare alla selezione, generando piuttosto un vantaggio a favore di coloro che hanno più tempo da dedicare alla preparazione della prova (generalmente in non occupati). Nostre analisi sui dati dell’IBF 2014 mostrano che la probabilità di superare un concorso dipende in maniera sostanziale da quest’ultima variabile, piuttosto che da misure dell’abilità del candidato

    La prevalenza di quesiti teorico-nozionistici nelle prove selettive può, inoltre, inibire la capacità dei responsabili dell’organizzazione di valutare il possesso, da parte dei candidati, di caratteristiche pur rilevanti per le mansioni che saranno loro affidate, quali le ambizioni di carriera e la motivazione intrinseca. Se il possesso di competenze generalista-teoriche si presta a una verifica con modalità concorsuali di questo tipo, la valutazione di quelle specialistiche e delle soft skill richiama intuitivamente modalità d’esame protratte nel tempo, basate su un confronto diretto del candidato con l’ambiente operativo al quale egli è destinato. Con particolare riguardo a posizioni di natura specialistica e operativa, si evidenzia il rischio di esclusione di candidati che, in considerazione– ad esempio – di esperienze professionali pregresse, sarebbero potenzialmente validi, la cui partecipazione può essere inibita dalla presenza di requisiti basati su soli titoli accademici o su caratteristiche anagrafiche…

    ii) Orientamento all’assunzione di profili generalisti. L’assunzione di profili generalisti riflette le caratteristiche organizzative del settore pubblico italiano, tradizionalmente basato su un sistema di tipo career-based. Nell’ambito di tale modello l’ingresso nell’amministrazione avviene a inizio carriera, a seguito di una verifica delle credenziali accademiche del candidato e del superamento di un concorso che testa conoscenze di tipo prevalentemente nozionistico; i percorsi di carriera consistono in progressioni gerarchiche ed economiche all’interno della medesima organizzazione e le promozioni dovrebbero essere strutturate per compensare sia il merito, sia l’esperienza; i dipendenti possono cambiare più volte mansione e funzione durante la loro vita professionale. In tale contesto, il reclutamento di profili generalisti garantisce all’organizzazione una maggiore libertà di collocamento del personale a seguito dell’assunzione e facilita processi di apprendimento coerenti con carriere stabili e interne all’organizzazione stessa, nonché volti a internalizzare la logica del sistema di regole sulle quali essa si basa. Tuttavia, nell’attuale contesto, la preponderanza di tali profili mal si concilia con l’esigenza di disporre in misura sempre maggiore di risorse con un elevato livello di specializzazione, soprattutto per quanto concerne alcune posizioni. Questa evoluzione riguarda sia le funzioni tradizionali dell’amministrazione, che sono caratterizzate da un crescente grado di complessità (si pensi, ad esempio, alle funzioni di public procurement, specie laddove debbano essere avviate e gestite operazioni di partenariato pubblico-privato), sia le funzioni di controllo interno e di verifica dell’efficacia dell’attività amministrativa. Analogamente, l’effettività dei processi di digitalizzazione, l’efficace ricorso a strumenti volti ad assicurare la qualità formale e sostanziale della legislazione e l’analisi dell’impatto delle politiche pubbliche, richiedono la presenza di figure professionali in grado di gestirne l’elevato contenuto tecnico (come esperti informatici, analisti con avanzate capacità quantitative ed esperti di policy evaluation). 

    iii) Articolazione delle procedure su base decentrata. Un altro tratto caratterizzante delle modalità di selezione della forza lavoro pubblica è, come illustrato in precedenza, l’elevato grado di decentramento delle procedure concorsuali, sia in senso organizzativo (ad esempio, con la possibilità, per i singoli enti di uno stesso comparto o – addirittura – per singole unità dello stesso ente, di bandire concorsi in maniera indipendente), sia in senso geografico (si pensi, ad esempio, alla possibilità per i singoli comuni di gestire autonomamente la selezione di risorse per ruoli essenzialmente omogenei). In entrambi i casi, il decentramento può comportare una maggiore vulnerabilità delle procedure a rischi di natura clientelare. Specialmente in alcune realtà locali, l’apertura verso forme di selezione decentrata comporta un aumento del rischio di formazione di rapporti privilegiati irregolari, facilitata dal maggiore grado di autonomia selettiva (ad esempio, attraverso il ricorso a criteri più soggettivi)… Inoltre, rispetto a un modello accentrato, la gestione decentrata può condurre a un aumento dei costi per la PA, dovuto alla proliferazione di procedure concorsuali per una molteplicità di enti e un numero ridotto di posti per concorso. Accanto a tali limiti, il ricorso a procedure decentrate presenta il vantaggio di garantire alla singola organizzazione una maggiore facilità nel selezionare risorse a essa più direttamente utili in rapporto alle esigenze contingenti e, almeno teoricamente, secondo modalità più confacenti al tipo di ruolo da ricoprire. Tale aspetto è, ovviamente, più rilevante nei casi di decentramento organizzativo, piuttosto che geografico. 

    iv) Distorsioni del modello concorsuale italiano. Accanto alle caratteristiche strutturali dei processi di selezione della forza lavoro della PA sin qui discusse, si riscontrano alcune distorsioni del sistema, che potrebbero essere corrette indipendentemente dal modello concorsuale prescelto. Infatti, la PA italiana si caratterizza per una cospicua irregolarità nella cadenza delle procedure concorsuali e per la prassi dell’approvazione di graduatorie con lunghe liste di candidati dichiarati idonei… Più in generale, determinando l’allungamento dei tempi intercorrenti tra chiusura della procedura ed effettiva presa di servizio, la presenza di idonei rende il pubblico impiego meno appetibile, soprattutto per chi è al primo accesso al mercato del lavoro. 

Gli incentivi all’impegno dei lavoratori

L’analisi precedente ha messo in evidenza come le scelte in materia di compensazione dei dipendenti pubblici abbiano ricadute sulla capacità della PA di attrarre i lavoratori più abili. Come noto, ad esse è primariamente affidata la funzione di promuovere l’impegno individuale di quelli già in servizio, attraverso l’individuazione di una struttura di incentivi (politiche retributive e di carriera) che remuneri adeguatamente le competenze e l’impegno. 

      1. Incentivi espliciti …Come ampiamente evidenziato dalla letteratura economica, alcune caratteristiche specifiche delle organizzazioni pubbliche rendono difficile individuare, misurare e quindi retribuire la performance individuale del dipendente pubblico secondo parametri oggettivi esplicitati nel contratto di lavoro… Tuttavia, tali difficoltà non riguardano i vari comparti della PA in maniera uniforme. Alcuni corpi organizzativi del settore pubblico possono essere interessati in misura minore dai fenomeni prima elencati, ovvero la medesima organizzazione può essere soggetta a essi in maniera eterogenea nelle sue diverse funzioni. Diviene, dunque, essenziale differenziare la scelta delle politiche compensatorie a seconda del comparto amministrativo e delle attività svolte dalle singole strutture, evitando l’applicazione omogenea di un unico schema all’intero settore pubblico. Ad esempio, l’istituzione di sistemi incentivali espliciti è opportuna quando i risultatiindividuali del lavoratore sono ragionevolmente misurabili.
      2. ii) Incentivi compositi. Le difficoltà di utilizzo di incentivi espliciti fortemente legati ai risultati individuali suggeriscono l’opportunità di ricorrere a schemi compositi, che prevedano incentivi espliciti basati sui risultati organizzativi per la dirigenza e impliciti per i singoli dipendenti…

        iii) Ulteriori forme di incentivazione implicita. Oltre che dalle prospettive di carriera interna, l’impegno dei lavoratori può essere motivato da prospettive di carriera al di fuori dell’ente di appartenenza o della PA. Si tratta di career concern eterodiretti, in base ai quali il lavoratore si aspetta che i risultati professionali conseguiti nell’ambito dell’amministrazione di appartenenza possano avere valore di segnale credibile delle proprie competenze e capacità anche nei confronti di organizzazioni diverse 

Le riforme in corso: alcune valutazioni 

…La disciplina del pubblico impiego è al centro dell’azione di riforma della PA attualmente in corso, le cui direttrici fondamentali sono state individuate dalla legge delega 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. Riforma Madia). L’intervento reca una serie di criteri direttivi, che investono sia il tema dei meccanismi di accesso sia quello degli incentivi, la cui attuazione è rimessa all’adozione di successivi decreti legislativi. Tali disposizioni appaiono, nel complesso, indicare l’avvenuta individuazione, da parte del legislatore, della problematicità di aspetti analizzati anche in questo lavoro (precariato, graduatorie di idonei, responsabilizzazione della dirigenza, ecc.). Sebbene le novità introdotte dal legislatore muovano, in diverse dimensioni, in una direzione coerente con i risultati sopra esposti, la riforma non pare in grado di incidere su alcuni snodi cruciali. 

In tema di precariato, la delega opportunamente interviene prevedendo limitazioni alle forme di lavoro flessibile cui è possibile ricorrere nelle amministrazioni. Non vi è però un riferimento alla durata del rapporto di lavoro e alle modalità del suo eventuale rinnovo che possa indurre un utilizzo corretto dello strumento da parte delle amministrazioni…

. ..Inoltre, tra i criteri di delega, è previsto il riconoscimento nei concorsi pubblici della professionalità acquisita da coloro che hanno avuto rapporti di lavoro flessibile con amministrazioni pubbliche. Come evidenziato, logiche di mera stabilizzazione dei rapporti di lavoro flessibile, in analogia con quelle realizzate in passato, incidono negativamente sull’auto-selezione dei dipendenti pubblici. 

Sul fronte dei meccanismi di accesso, è prevista una revisione delle procedure concorsuali, in particolare: a) prevedendo lo svolgimento dei concorsi, per tutte le Amministrazioni pubbliche, in forma centralizzata o aggregata; b) privilegiando, ai fini della selezione dei candidati, le prove pratiche rispetto a quelle teoriche; c) stabilendo la definizione di limiti assoluti e percentuali, in relazione al numero dei posti banditi, per gli idonei non vincitori e la riduzione dei termini di validità delle graduatorie 

L’attuazione di tali misure assicurerebbe lo sfruttamento di economie di scala, una cadenza più regolare dei concorsi tramite la loro gestione accentrata e la riduzione della possibilità di approvare graduatorie con un elevato numero di idonei non vincitori, fattori che potrebbero favorire l’ingresso di candidati migliori. 

Si tratta, però, di interventi che non introducono sufficienti elementi di flessibilità e differenziazione delle prove concorsuali. In primo luogo, non emerge una differenziazione delle prove in relazione al profilo da assumere, che consenta di graduare la prova a seconda del livello e della complessità della posizione da ricoprire. In secondo luogo, lo svolgimento di concorsi solo in forma centralizzata o aggregata, efficiente per procedere all’assunzione di professionalità generaliste, potrebbe non assicurare la flessibilità necessaria per assumere professionalità specifiche e, come evidenziato nei paragrafi precedenti, non garantire un adeguato match tra profili professionali e mansioni da svolgere, generando effetti di auto-selezione avversa. Inoltre, il pur previsto maggiore orientamento verso le prove pratiche non sembra includere forme di selezione continuativa, sul modello della tenure track, in grado di consentire una migliore verifica del possesso, da parte dei candidati, di specifiche competenze tecnico-operative e di soft skill. 

La riduzione della possibilità di assumere gli idonei non vincitori, dovrebbe essere accompagnata dalla previsione di una cadenza regolare delle procedure concorsuali, almeno di quelle accentrate, e dall’adozione di misure adeguate in materia di programmazione delle assunzioni, che consentano di prevedere gli effettivi fabbisogni e adeguatamente distribuire sul piano temporale gli ingressi. 

Anche per quanto riguarda gli schemi incentivali, la legge delega non appare in grado di modificare l’impianto complessivo del sistema. È vero, infatti, che la corretta attuazione dei principi in materia di valutazione dei dipendenti pubblici80 potrebbe consentire progressi in merito alla individuazione di criteri e modalità di valutazione della performance nonché una migliore distinzione tra performance organizzativa e individuale, allo stato alquanto confusa. Tuttavia, sembra permanere un approccio omogeneo, uniforme e fortemente procedimentale per i vari comparti. 

Inoltre, il sistema rimane fondamentalmente basato su incentivi del tipo PRP. Infatti la delega, in relazione al personale non direttivo, ignora pressoché integralmente il tema degli incentivi impliciti e, in particolare, della valorizzazione dei percorsi di carriera. Come evidenziato, quest’ultima richiederebbe un rafforzamento della funzione dirigenziale. Sul punto, i principi stabiliti nella delega, pur promuovendo una maggiore trasparenza e concorrenza nel conferimento degli incarichi, come anche una maggiore responsabilizzazione sulla base dei risultati conseguiti, potrebbero scontrarsi con alcune difficoltà sul piano dell’attuazione in concreto. Infatti, non sembrano adeguatamente affrontati i profili inerenti l’individuazione di obiettivi chiari e misurabili per i manager, il rafforzamento delle loro prerogative gestionali, dalle quali il raggiungimento di quegli obiettivi può largamente dipendere, e lo snellimento dei numerosi obblighi procedurali che gravano sull’attività dei dirigenti… Vi è, quindi, il rischio di perpetuare l’approccio pubblicistico-burocratico della Riforma Brunetta, volto a procedimentalizzare l’esercizio dei poteri gestionali da parte dei dirigenti, senza apprezzabili risultati sul piano della performance del sistema. 

Infine, l’impatto e l’efficacia degli incentivi basati sui career concern potrebbe essere accresciuta, come peraltro già realizzato in altri ordinamenti, ampliando e valorizzando maggiormente le possibilità di ingressi “laterali” a metà carriera, sull’esempio dei modelli position- based. Ciò potrebbe anche assicurare una maggiore mobilità tra amministrazioni appartenenti a comparti diversi e tra settore pubblico e settore privato. 

* Stralci da Questioni di Economia e Finanza – Occasional Papers della Banca d’Italia dal titolo: “Incentivi e selezione nel pubblico impiego”, luglio 2016, numero 342

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