Trump divorzia dall’Europa e dalla democrazia

TRUMP

-di ANTONIO MAGLIE-

In fondo ai divorzi lui è abituato ma quello che ha appena annunciato in una intervista dopo la Convention di Cleveland che lo ha candidato alla corsa per la Casa Bianca è veramente clamoroso e rompe con una lunga tradizione di scelte politiche e pratiche. Soprattutto, apre prospettive a dir poco preoccupanti. Perché oltre al processo di “dissoluzione” dell’Europa, il candidato repubblicano annuncia anche un altro processo di dissoluzione: quello della Nato. Che i suoi rapporti con Putin sarebbero stati diversi (con la Russia lui intratterrebbe o avrebbe intrattenuto proficui rapporti di affari) rispetto a quelli intercorsi con gli Stati Uniti di Obama, era noto. Ma lo “strappo” che annuncia all’interno dell’Alleanza Atlantica non solo sembra garantire notevoli spazi di manovra nel vecchio continente (soprattutto nelle aree un tempo sotto l’influenza sovietica) a Vladimir Putin ma rompe vecchi principi di solidarietà che caratterizzavano la Nato e che hanno spinto alcuni paesi a cercare un riparo sotto l’ombrello atlantico dopo la fine del Patto di Varsavia.

Dice Trump in una intervista al “New York Times”: “Se la Russia attaccasse i paesi baltici non interverrei automaticamente in loro difesa”, come prevedono le regole della Nato. La sua decisione dipenderebbe dal contributo che i Paesi eventualmente attaccati forniscono all’Alleanza. Il contrasto di un eventuale processo espansionistico dipenderebbe, come dire, da un principio commerciale: più mi dai e più mi impegno. L’annuncio, insomma, di un ridimensionamento dell’attenzione verso l’Europa quasi in una logica di nuova spartizione delle aree di influenza. Una notizia non rassicurante per Estonia, Lettonia e Lituania per le quali l’adesione alla Nato era la garanzia di un futuro che non avrebbe avuto i caratteri di un drammatico passato.

Concetto ulteriormente precisato nel momento in cui viene ribaltata la teoria delle vecchie amministrazioni repubblicane (quelle di George W. Bush) che volevano trasferire la democrazia sulla bocca dei cannoni (in realtà si inseguiva ben altro). Considerata l’instabilità prodotta da guerre abbastanza avventate, la cosa potrebbe rassicurarci. Ma in questo caso non si tratta di una teoria “militare”, ma di una scelta politica e, per alcuni versi, etica perché ha come punto di riferimento quello che sta avvenendo in Turchia. L’America di Trump di fronte a questo azzeramento di principi democratici, in presenza di un vero e proprio contro-golpe, alla repressione violenta dell’opposizione (non solo di quella rappresentata da Gulen), alla abolizione dei diritti civili per giunta in un Paese centrale per la Nato (Ankara mette a disposizione numericamente il secondo esercito), resterebbe inerte.

Spiega, infatti: “Se sarò eletto presidente non farò pressioni sulla Turchia o su altri alleati autoritari che conducono purghe sui loro avversari politici o riducono le libertà civili. Gli Stati Uniti devono risolvere i loro problemi prima di cercare di cambiare il comportamento di altri Paesi”. Una vera e propria teoria neo-isolazionista, dimentica della storia ma anche delle responsabilità (comprese quelle negative) che incombono sugli Stati Uniti. Il paese che si è definito (a volte con un eccesso di rettorica) il “faro della democrazia” se finisse nelle mani di Trump spegnerebbe la propria luce. Prima di tutto, gli affari propri.

antoniomaglie

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