Cosí la recessione ha seminato miseria

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-di SANDRO ROAZZI-

La povertà in Italia mostra numeri di cui non si può certo andare fieri. Nel 2015 gli individui in condizioni di povertà assoluta sono più di quattro milioni e mezzo, il valore più alto dal 2005. Le famiglie ammontano ad un milione e mezzo. Questa Italia decritta dall’Istat è un angosciante mosaico continuo di diseguaglianze. Ad uscire con le ossa rotte dalla recessione sono soprattutto le famiglie numerose, quelle con 4 componenti, le famiglie composte di soli stranieri alla prese con la crisi che ha frustrato l’attesa per un futuro migliore e sul piano territoriale quelle che abitano nei grandi centri. La povertà assoluta è sempre più di casa nelle famiglie con un occupato, in particolare se operaio, mentre è più contenuta in quelle dove la figura di riferimento è un dirigente, un quadro o un impiegato. Ancora una volta piove sul bagnato per le persone fra i 45 e i 54 anni di età, coloro che rischiano di rimanere senza lavoro e senza pensione e che hanno percentuali preoccupanti fra i disoccupati di lunga durata. Più stabile appare la situazione degli anziani che continuano ad assolvere al compito di puntello delle famiglie, malgrado spesso siano sotto schiaffo.


Colpisce il fatto che negli ultimi tre anni la situazione non sia cambiata. Come se si fosse formato nella recessione uno zoccolo duro dell’indigenza nell’ndifferenza: orfano di interventi tempestivi , orfano di tutele efficaci, orfano di rappresentanza sociale incisiva. Tutto questo non ammette giustificazioni credibili da parte, diciamolo chiaro, di Istituzioni, partiti ed anche forze sociali. Lo spiega la soglia di povertà assoluta che è mobile, ma in ogni caso specchio di cifre esemplarmente misere: per un adulto che vive al nord da solo sfiora gli 820 euro, 552,39 euro se vive al sud.

Del resto è stabile anche la povertà relativa che per una famiglia di due componenti nel 2015 è pari ad una spesa media per persona di circa 1050 euro. Naturalmente non poteva mancare la spaccatura più tradizionale del Paese fra nord e sud: secondo l’Istat le famiglie sicuramente povere sono il 5,2% ma nel Mezzogiorno la quota sale all’11,3%. Le famiglie non povere, ma che non vuol dire che non fatichino in parte ad arrivare alla fine del mese, sono nel nord il 90,3%, percentuale che nel sud scende significativamente al 67,6%. Un Paese con tanti e tali squilibri dovrebbe almeno non permettersi gli sprechi. Ed invece no, secondo una denuncia della Confcommercio essi ammontano nella spesa locale a ben 74,3 miliardi di euro, il 42% di quella complessiva. Inutile dire cosa si potrebbe fare solo con una piccola parte di tali risorse. Certo si potrà dire che in questa valutazioni debbono rientrare anche le stime sul lavoro nero ed irregolare. E sul fatto che le riforme avviate potranno modificare questo scenario.

Resta però l’amarezza per un Paese che ha lasciato fare alla recessione il più perfido dei suoi compiti: quello di seminare impunemente miseria. Questo impoverimento del resto ha accresciuto il timore verso il futuro, ha accelerato la perdita di status sociale ed economico di fasce di e ceto medio ai margini della povertà, ha prodotto gravi fenomeni di esclusione, vedi i giovani, che non sarà facile recuperare. Sarebbe auspicabile che questo problema di civiltà e di vita fosse affrontato senza speculazioni o divisioni. Per questi milioni di poveri oggi la politica è davvero un Ufo.

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