Oltre 12 milioni senza contratto: la produzione cala

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-di SANDRO ROAZZI-

Frenata su tutta la linea della produzione industriale (congiunturale e tendenziale entrambe al -0,6%). Il mese su mese, in realtà, in questo primo scorcio del 2016 era stato altalenante, bene gennaio (+1,6% rispetto al deludente -0,6% del dicembre 2015, male febbraio, lenta risalita a marzo ed aprile, ora un nuovo scivolone). Meglio il confronto con il 2015 dal punto di vista tendenziale, tutti segni più fino allo stop di maggio. Un mese che ancora non ha in pancia l’esito Brexit ed è quindi tutto da vedere come la nostra industria si comporterà in questi turbolenti frangenti.

Semmai c’è da notare come una maggiore influenza negativa possa essere giunta dalle incertezze dello scenario internazionale con il nostro export sopratutto verso i Paesi extracomunitari che zoppica. Tanto che nel primo trimestre di quest’anno accusa un calo congiunturale di quasi il 3% spalmato su quasi tutti i beni. Pesa l’embargo con la Russia che non a caso sempre più voci chiedono di annullare, come pure le difficoltà che si incontrano negli scambi commerciali con economia importanti di Asia ed il Sud America. Quello che colpisce però è che l’indice destagionalizzato mensile registra tutte variazioni negative, anche se il settore auto continua marciare per la sua strada. Un solo segnale positivo, sul piano tendenziale, viene invece dalla produzione dei beni intermedi che probabilmente indica la tenuta della produzione rivolta immediatamente alla domanda interna, un po’ poco per stare tranquilli. Non si può certo gettare tutta la colpa di questo stato di cose sul fenomeno delle delocalizzazioni delle attività produttive all’estero; la stessa situazione delle scorte, mentre ripartono lentamente i consumi, non può spiegare questo rallentamento.

Purtroppo non c’è tregua, i mesi che abbiamo davanti saranno cruciali: l’industria si troverà condizionata dal dopo Brexit e dalle difficoltà del sistema bancario. Per non parlare dei contratti da rinnovare nel 2016 che riguardano secondo un particolareggiato studio Uil 7 milioni e 600 mila lavoratori che diventano 9 milioni se si considerano anche i contratti non rinnovati negli anni precedenti. Ai quali vanno aggiunti però anche quelli di oltre 3 milioni e duecentomila lavoratori del pubblico impiego, fermi da sei anni. Un contesto che, se non trova soluzione, priva l’attività economica della necessaria tranquillità sociale. E non si può non aggiungere la… vita difficile di comparti produttivi maturi, da quelli dell’attività estrattiva a tessile-abbigliamento che pure racchiude in sé la perla del made in Italy.
La continuazione della ripresa della domanda interna a questo punto resta essenziale ed il sostegno ai redditi la ricetta di politica economica più utile nell’immediato, peccato però che per misure di questo tipo occorrerà attendere la nuova legge di stabilità ed il 2017, sempre che il quadro politico ed economico tenga, da noi ed in Europa. Qualcosa però manca e non dipende dalle turbolenze in atto: una politica industriale rivolta al futuro, l’unica certezza che oggi possiamo produrre in casa.

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