Dorme la ragione, muore un nigeriano

Nigeriano

-di ANGELO GENTILE-

Ci sono fatti di cronaca che svelano i molteplici malanni che affliggono la società italiana. E’ evidente che sulle menti più “deboli” certa propaganda anti-immigrati può produrre effetti letali. A Fermo un ultrà della locale squadra di calcio incrocia per strada un nigeriano che ha richiesto asilo politico. Al fianco dell’uomo, la moglie. Sono sfuggiti alle violenze di Boko Haram; hanno attraversato l’Africa e il Mediterraneo sfidando tutto, compreso un aborto subito dalla donna nel corso dell’attraversamento del canale di Sicilia. Ma l’ultrà a tutto questo non è interessato, vuole solo affermare la sua molto presunta “superiorità razziale”. E così urla alla moglie ventiquattrenne di Emmanuel Chidi Namdi: “Scimmia africana”. Lui non accetta quella terribile provocazione razzista, si ribella per difendere la sua Chinyery.

E’ stanco di violenze: le ha subite in Libia in quel suo viaggio verso la speranza. L’ultrà si scatena. Lo picchia sino a mandarlo in coma irreversibile. La sua corsa verso il futuro si fermerà definitivamente in ospedale insieme al suo cuore. Era riuscito a sfuggire a uno degli assalti di Boko Haram alle chiese cristiane, aveva visto morire i suoi genitori, quelli della moglie e una figlioletta. Non è riuscito a vedere l’alba di una nuova vita, quella che sperava di conquistare nel momento in cui fosse riuscito a ottenere lo stato di rifugiato. Quando la ragione si addormenta, gli incubi possono coglierti anche laddove dovresti sentirti al sicuro, cioè in Italia lontano dalle violenze islamiste. Purtroppo, però, troppo vicino alle mostruosità razziste alimentate dalla paura “dell’invasione”. 

Una storia brutta che svela un paio di risvolti oscuri della nostra società. Il più evidente è tutto in quella frase gettata in faccia alla giovane Chinyery. Il razzismo, l’incapacità di fare i conti con un problema, le ondate migratorie, che andrebbe affrontato in maniera seria, senza mai dimenticare l’umanità. Ma anche quegli umori malmostosi che hanno trasformato alcuni spicchi degli stadi, alcuni settori delle tifoserie più accese, in vere e proprie “zone franche” dove tutto sembra ammesso e dove tutto appare lecito. I pesanti umori razzisti che in maniera più o meno latente attraversano la società italiana sono emersi da molto tempo proprio in quelle “zone franche”: se solo la questione fosse stata affrontata tempestivamente forse oggi avremmo qualche problema in meno, forse oggi Emmanuel sarebbe ancora vivo. 

E se da un lato abbiamo la necessità di risvegliare la ragione nelle nostre strade e nelle nostre piazze, facendo capire, soprattutto ai più giovani, che non ci sono “razze superiori”, che non ci sono immigrati che ci tolgono il lavoro, che, semmai, ci sono concittadini nati in qualche sperduto posto dell’Africa che con la loro presenza attutiscono le conseguenze negative della crisi demografica. Ma c’è anche un altro problema da risolvere. 

Mentre Emmanuel si spegneva, a Roma, la Guardia di Finanza provvedeva a mettere sotto sequestro un patrimonio di circa due milioni di euro attribuibile a Fabrizio Piscitelli, meglio noto con il nome di Diabolik tra gli ultrà della Lazio. A parere degli inquirenti, quei valori sarebbero il frutto di un vasto e proficuo traffico di sostanze stupefacenti. E il ruolo di “capo-tifoso”, a parere degli investigatori, sarebbe stato funzionale all’attività illecita poiché, scrivono, con “società commerciali gestite e collegate alla tifoseria laziale” venivano veicolati “cospicui guadagni, anche illeciti”. Gli stadi dovrebbero essere un luogo di divertimento, aperto a tutti, soprattutto ai più giovani che attraverso lo sport potrebbero anche apprendere la cultura delle regole, le ragioni della lealtà, il rispetto degli avversari. Non possono essere né palestre per razzisti né anfratti in cui, attraverso commerci poco commendevoli, si accumulano sostanziose fortune nel disprezzo delle leggi e delle persone.

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