Il libro di Miniati e Concetta, “giovane” laureata a 84 anni

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-di ANTONIO MAGLIE-

L’applauso è scattato spontaneo. La neo-laureata ha sorriso soddisfatta. Dottoressa in scienze filosofiche con il massimo dei voti: 110 e lode. La maniera più visibile per sottolineare che si può essere giovani anche a ottantaquattro anni. Perché Concetta Perrone fa parte di quei 3,4 milioni di ultraottantenni italiani che smentiscono l’idea che il dinamismo, fisico o intellettuale che sia, abbia una data di scadenza: si può essere vitali sempre, seppur in maniera e misura diversa. Forse ha ragione il rettore dell’Università del Salento, Vincenzo Zara, che consegnandole il sigillo dell’Università del Salento, ha commentato: “Lei è la testimonianza del fatto che la filosofia fa bene alla salute”. Probabilmente non solo la filosofia. La dottoressa Concetta Perrone è la conferma che il mondo sta cambiando, un po’ per nostra volontà (i processi di invecchiamento grazie alla scienza e ai nuovi stili di vita non sono più quelli di cinquant’anni fa) un po’ per motivi contingenti (le tendenze demografiche, la terza rivoluzione industriale, la stessa crisi economica).

Mentre Concetta discuteva a Lecce la sua tesi significativamente dedicata al “ruolo dell’anziano nella società”, in una delle bellissime sale della Fondazione Marco Besso, a Roma, veniva dibattuto lo stesso tema prendendo spunto dal libro di Silvano Miniati “Una ragione c’è. Ricordarsi di quando gli anziani erano considerati una risorsa preziosa” (Biblioteca Fondazione Nenni e Buozzi). Una occasione certo per parlare della funzione degli anziani nella società, ma anche nel sindacato. Funzione attivissima negli anni Ottanta, Novanta e, ancora, all’inizio del Duemila. Ma, come ha sottolineato Francesco Florenzano, presidente di Upter, quei movimenti così stimolanti nel tempo si sono affievoliti sino a scomparire. E il motivo per Florenzano è chiaro: la mancanza di luoghi in cui confrontarsi, immaginare il futuro e il cambiamento; lentamente ha prevalso l’dea che siamo tutti vittime ma non responsabili di quel che accade; ci siamo isolati e avendo perso questa dimensione collettiva, consegniamo a internet i nostri umori malmostosi semmai accompagnandoli con qualche insulto che a volte sembra essere la vera cifra di questa nuova forma di comunicazione. Si è affermata l’idea che nessuno di noi conti nulla e che conti soltanto l’economia.

Congedandosi dalla neo-laureata, il rettore dell’ateneo leccese l’ha invitata a lavorare su nuovi progetti per trasmettere ai giovani l’amore per la cultura. In fondo, qualcosa di non molto dissimile da quanto sottolineato in apertura di dibattito da Sandro Roazzi citando Catone per il tramite di Cicerone, che parlando della condizione degli anziani con una metafora marinara sottolineava come su una nave i membri più giovani svolgono tutti un lavoro ma i meno giovani che sembrano non far nulla in realtà assolvono a compiti anche più importanti. La società ha subito negli ultimi decenni profonde trasformazioni che, però, non sono state colte nella loro complessità, distratti come erano le élite governanti dalla periodica discussione sulla riforma delle pensioni, con effetti-annuncio che, ha sottolineato il professor Gianni Geroldi, economista e docente di economia della previdenza e dei sistemi pensionistici, crea solo uno stato d’ansia permanente e collettivo. Geroldi ha sottolineato come il sistema di welfare che noi conosciamo sia piuttosto recente, legato alla rivoluzione industriale e basato sulla segmentazione della vita umana: un primo periodo dedicato alla formazione, un secondo allo studio, un terzo al riposo. Ma oggi questa segmentazione non è più così chiara tanto è vero che da tempo si parla ai apprendimento permanente, di formazione continua. Ma di qui possono derivare due nuovi obiettivi per le forze sociali impegnate a trasformare il welfare. Il primo riguarda gli orari lavorativi che, considerato l’allungamento della vita e la necessità di creare spazi per l’apprendimento continuo, non possono più essere intensi come nel passato. Il secondo, la ricerca di nuovi modelli lavorativi per trovare spazi di impiego agli anziani che non siano legati solo al no-profit.

Ma a questo punto il discorso sugli anziani si incrocia con quello delle strategie sindacali. Piero Lauriola che da membro della direzione nazionale della Uil è stato tra i più stretti collaboratori di Miniati, si è posto una domanda: ma degli anziani si può fare a meno? La sua risposta è, ovviamente, negativa ma il dirigente sindacale ha sottolineato come nel tempo si sia affermata una lettura (promossa anche da illustri ex presidenti del Consiglio che pure non sono propriamente imberbi, come Mario Monti) che mette in contrapposizione le generazioni e che accusa i “vecchi” di “rubare” il futuro ai giovani, di aver manomesso l’ascensore sociale. Accuse evidentemente infondate perché quelle manomissioni sono stati realizzate dalle potenti élite che hanno sfruttato posizioni di rendita, a cominciare da quelle finanziarie. Insomma, sono politico-economiche le cause di questo “blocco” non generazionali.

E Luigi Pieraccini che per molti anni è stato segretario generale dei pensionati in Emilia Romagna e oggi è sindaco di Castrocaro Terme, ha spiegato come oggi il sindacato sia schiacciato su un ruolo puramente difensivo (e non sempre la difesa riesce nel migliore dei modi): diritti che apparivano consolidati oggi sono rimessi in discussione. Soprattutto è mutato l’orizzonte in cui si svolge l’azione politica e sindacale: se nel passato si intravvedeva un futuro migliore, oggi si fatica a scorgere elementi di novità di segno positivo. Silvano Miniati illustrando le ragioni che lo hanno indotto a scrivere questo libro, ha voluto ricordare il processo unitario che venne avviato dai sindacati dei pensionati e che si fermò a pochi metri dal traguardo per un diktat dell’allora segretario della Cgil, Sergio Cofferati. Ma ha anche sottolineato il fastidio con il quale i vertici della Confederazione hanno spesso vissuto il protagonismo dei pensionati. Giorgio Benvenuto, presidente della Fondazione Nenni e Buozzi, ha concluso affermando che non bisogna rassegnarsi a giocare in difesa, né bisogna accettare la filosofia prevalente che trasforma i pensionati (ma non solo loro) in bersagli. Bisogna uscire dalla camicia di forza delle contrapposizioni per ritrovare la strada della coesione e del patto generazionale.

antoniomaglie

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