M5S, alle radici del voto di cambiamento

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-di ANTONELLO DI MARIO*-

Chi si aspetta qualche “scivolone” nella composizione dei governi cittadini a guida Movimento 5 Stelle non si faccia illusioni. Nelle amministrazioni interessate, a partire da quelle delle grandi città, in prevalenza, entreranno tecnici e professionisti competenti, soprattutto giovani. Il “target” ideale, rappresentato dall’elezione di Virginia Raggi a sindaco di Roma e di Chiara Appendino a primo cittadino di Torino, verrà consolidato anche nella selezione dei nuovi assessori. Per quanto riguarda la questione dell’incarico “a tempo”, come annunciato da Raggi durante la campagna elettorale, è ipotizzabile che l’arco temporale della “prestazione civica” dei prescelti non duri solo un semestre, ma almeno un paio d’anni, se non dovessero intervenire altre motivazioni riguardanti il rapporto di fiducia dell’assessore col movimento.


Quasi un “rimpasto” che rientra nei tradizionali poteri dei sindaci eletti direttamente. Il Movimento 5 Stelle ha ben chiaro che la buona amministrazione delle città nei prossimi mesi significa il trampolino di lancio verso la guida del governo nazionale. Soprattutto ora che, da parti qualificate dell’esecutivo, si sottolinea la tendenza a non voler ulteriormente cambiare la legge elettorale, il cosiddetto “Italicum”. La valutazione esposta dal premier Matteo Renzi sul risultato dei ballottaggi amministrativi di domenica scorsa ancora risuona nelle orecchie di quelli che erano i grillini e che ora è più idoneo identificare come pentastellati: “Non si è trattato di un voto di protesta, ma di cambiamento”. E’ evidente che anche il Presidente del Consiglio ha capito che, come stanno le cose, quel movimento è al momento il solo “competitor” del Partito Democratico per la futura contesa di Palazzo Chigi, a scadenza naturale della legislatura parlamentare, o con elezioni anticipate che potrebbero far seguito al referendum costituzionale del prossimo ottobre.

Tutto questo discorso per sottolineare che il movimento, nato dopo una chiacchierata a Livorno tra Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio nell’aprile del 2004 è sempre più cosa diversa da quello di oggi. Certo, rimane il ruolo centrale della Casaleggio & Associati Srl, costituita proprio in quell’anno. Ma la piattaforma Rousseau sta man mano sostituendo la funzione del sito “BeppeGrillo.it” come catalizzatrice del consenso. Lo stesso comico genovese riveste attualmente più la figura d’icona, mentre il figlio di Gianroberto, Davide Casaleggio, controlla completamente la nuova piattaforma e l’associazione omonima che raccoglie i fondi a sostegno delle iniziative pubbliche. Sarà proprio Davide, insieme agli emergenti dell’attuale Direttorio, come Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Roberto Fico, a dare l’impronta ai criteri per scegliere i nuovi candidati che vorranno sedere sugli scranni del prossimo gruppo parlamentare a Montecitorio. Insomma, meno disoccupati e casalinghe M5S in Parlamento; più docenti e dirigenti d’azienda, possibilmente non troppo in là negli anni. Sarà dura per i vertici del Partito democratico fare altrettanto.

C’era riuscito Matteo Renzi, alle elezioni europee del 2014; il Pd che superava il 41% dei consensi nazionali e distanziava il M5S di quasi venti punti percentuali. Basti pensare che solo alle “Politiche” del 2013 i grillini avevano messo insieme più di nove milioni di voti, una cifra superiore al consenso tributato a Forza Italia, quando Silvio Berlusconi scese in campo e sconfisse la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto nella primavera del 1994. Per capire chi sia Davide Casaleggio, laureato in Economia aziendale all’Università Bocconi di Milano, basta leggere l’e-book “Tu sei rete. La rivoluzione del business, del marketing e della politica attraverso le reti sociali” edito da “BeppeGrillo.it” nell’ottobre del 2013, ma scritto dall’autore diversi anni prima. Qui emerge la teoria “formiche-formicaio”; “I cittadini non possono essere comandati come soldati, ma possono essere spinti verso una precisa direzione” e “Le formiche seguono una serie di regole applicate al singolo, attraverso le quali si determina una struttura molto organizzata, ma non centralizzata”. Ma affinché questo sistema retto dal marketing politico-digitale resista è necessario che “il sistema inizi ad acquisire la sua identità e a influenzare i suoi componenti. Le singole parti, tuttavia, non rivelano da sole il disegno complessivo. È necessario che i componenti siano in numero elevato, che si incontrino casualmente e non abbiano consapevolezza delle caratteristiche del sistema nel suo complesso. Una formica non deve sapere come funziona il formicaio, altrimenti, tutte le formiche ambirebbero a ricoprire i ruoli migliori e meno faticosi, creando un problema di coordinamento”.

E’ questa la logica che ha guidato i contenuti del “BeppeGrillo.it” che ha aperto i battenti il 16 gennaio 2005 e che è diventato uno tra i più letti al mondo. Su quel sito si faceva pubblicità ai “meetup” delle varie città, generando un meccanismo partecipativo efficacissimo, in modo che chiunque potesse partecipare ai dibattiti in rete, anche come semplice uditore, attraverso lo “streaming”. La generazione attuale dei candidati pentastellati ha dimostrato di usare il mezzo digitale potenziando questo aspetto, ma insistendo soprattutto sull’organizzazione attraverso la rete di incontri capillari sul territorio. Così sono state conquistate in meno di due anni le periferie delle città che una volta votavano il Pci: approcci on-line, fasi di ascolto sul posto, incontri nei punti più disparati dei quartieri con la presentazione di piattaforme basate su progetti relativi al rispetto della legalità, all’ambiente, all’energia, ai trasporti, alla connettività digitale.

Come scrivevamo qualche capoverso prima Matteo Renzi (che nativo digitale non era, ma che presentandosi come “rottamatore” costituiva una concreta novità sorretta anche dalla Rete) riuscì ad impartire un sonoro ridimensionamento alle ultime consultazioni europee. Ma da allora sono passati due anni e quello che è accaduto lo ha spiegato bene Romano Prodi, in un’intervista rilasciata oggi alla “Repubblica”: “Non si tratta – ha ammesso a Michele Smargiassi- di cambiare i politici ma di cambiare politiche. Cambiare i politici è condizione necessaria ma non sufficiente”. Ed ha subito dopo avvertito: “Se non cambi le politiche, il politico cambiato invecchia anche in un paio d’anni… C’è sempre un’usura, e corre veloce. La mancanza di risposte efficaci logora. E al momento si sente la mancanza di risposte che affrontino il problema delle paure e delle cause reali delle paure”.

Intanto, oltre che alle politiche è interessante immaginare come una moltitudine di interlocutori nei comuni dovrà reinventarsi per cercare il giusto approccio con i nuovi amministratori del M5S. Salteranno di sicuro tante prassi, convenzioni, burocrazie e certezze acquisite. In tante realtà locali si registrerà una forte discontinuità col passato. Qualcuno cercherà di capire chi sono i nuovi venuti, magari leggendo “Veni, vidi, Web” dello scomparso Casaleggio. Qualcun altro, invece,si guarderà intorno per verificare se i servizi ai cittadini stanno davvero migliorando come se ci fosse la bacchetta magica. Di certo il cambiamento capitato in molti comuni italiani il 19 giugno dimostra perlomeno una tendenza. In una fase di crisi economica vince le elezioni chi inquadra i problemi e riesce a risolverli. Quando questo non succede compiutamente e viene a mancare la speranza, allora avanti il prossimo! E’ la storia del mondo: vale per chiunque si candidi a rappresentare gli altri, che si tratti di partiti, o movimenti.
*giornalista, autore di “Grillo nella Rete” (Pironti Editore)

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