Elezioni, il Pd perde Roma e Torino; Renzi ko, trionfa Grillo

5-stelle

-di ANTONIO MAGLIE-

Virginia Raggi umilia Roberto Giachetti a Roma; Piero Fassino tracolla davanti a Chiara Appendino lasciandole la poltrona di sindaco di Torino; Giuseppe Sala alla fine riesce a conquistare Milano superando con una certa fatica Stefano Parisi; Virginio Merola a Bologna riesce a ottenere la conferma superando agevolmente Lucia Borgonzoni; tutto facile per Luigi De Magistris che si conferma a Napoli ai danni di Gianni Lettieri che non è riuscito a recuperare l’oceanico svantaggio. I numeri condannano senza appello le scelte romane e torinesi del Pd; premiano in misura straordinaria quelle del Movimento 5 stelle. La Raggi ha conquistato il Campidoglio con il 67,4 per cento contro il 32,6 di Giachetti. Chiara Appendino non solo ha recuperato i dieci punti di distanza accumulati nel primo turno rispetto a Fassino ma ha, a sua volta, imposto un distacco di ben nove punti (54,5 contro 45,5). Sala a Milano l’ha spuntata alla fine su Sala: 51,7 contro 48,3. Merola riesce a confermarsi a Bologna ai danni della Borgonzoni (55 contro il 45). De Magistris a Napoli ha travolto Lettieri: 66,8 per cento contro il 33,2). Il Pd perde anche a Trieste dove Cosolini non riesce a ottenere la conferma cedendo la poltrona a Dipiazza (52,6 contro il 47,4).

Ma viene confermato anche il dato del distacco dalla politica. L’astensionismo cresce rispetto al primo turno: rispetto al primo turno si è perso per strada un nove per cento abbondante di elettorato (50,54 contro il 59,9 del 5 giugno). Il cedimento è stato clamoroso a Napoli dove l’affluenza è crollata dal 54,11 al 36,99. La disaffezione è chiara a Roma (50,19 contro il 57,02), a Bologna (53,15 contro il 59,65), a Torino (54,41 contro il 57,17) e a Milano (dal 54,65 al 51,8).

Ci sarà tempo per valutare i risultati sulla base dei flussi. Ma è evidente che nelle urne si è di fatto realizzata l’alleanza tra i pentastellati e la destra, una convergenza confermata dal risultato di Torino. Matteo Renzi non può certo essere soddisfatto perché, al di là della perdita di due città importanti, è la sua strategia che è stata bocciata nelle urne. L’opa che il presidente del consiglio aveva pensato di poter lanciare dopo il risultato delle Europee di due anni fa nei confronti dell’elettorato berlusconiano “in libertà” con il tramonto dell’ex cavaliere, è stata bruciata in una serata: quell’elettorato non è affascinato dall’offerta politica del Pd. In compenso chi aveva premiato negli anni quell’offerta, in parte ha voltato le spalle al partito renziano non capendo bene quale fosse la prospettiva: una moderna forza riformista o quel partito della nazione in cui dovevano convivere Orfini e Verdini.

Sull’altare di questo progetto, il presidente del consiglio ha deciso di tagliarsi i ponti alle sue spalle con i vecchi alleati per imbarcarsi in avventure che si sono dimostrate fallimentari. La sua idea che possa bastare un “capo”, per quanto di talento, per dare sostanza a un progetto politico, rinunciando al radicamento, ai riferimenti sociali, ai principi ideali, al patrimonio valoriale tipico di un partito che dovrebbe avere il gene del cambiamento nel suo dna, è naufragata nelle strade di Roma e Torino e ha sofferto non poco in quelle di Milano. L’elettorato che guarda o può guardare a quell’area non chiede al partito e al suo leader la retorica delle riforme ma una vera cultura delle riforme fatta di programmi e scelte che puntino a riequilibrare una società fortemente squilibrata. Lo aveva segnalato in una intervista il governatore piemontese ed ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino: a furia di inseguire un nuovo indefinito, Renzi aveva dimenticato di fare i conti con quella parte di società, peraltro molto ampia, che soffre, che fatica.

La speranza è che questa nottata induca il presidente del consiglio a un bagno di umiltà, esercizio a lui poco congeniale. Anche perché gli ultimi sondaggi dicono che a questo punto anche l’esito del referendum costituzionale è decisamente incerto. Il “nuovismo” privo di un progetto coerente non garantisce utili elettorali. I partiti di sinistra o di centro-sinistra non possono essere effimeramente trasversali come il Movimento 5 stelle che con la genericità della sue proposte strizza l’occhio un po’ di qua e un po’ di là sfruttando l’insoddisfazione dell’elettorato, la rabbia accumulata con l’esplosione continua di scandali e il disvelamento di pratiche amministrative bacate, le paure legate a vicende contingenti come l’impetuosità dei flussi migratori.

Ha vinto il Movimento 5 stelle, ha vinto Beppe Grillo. Un successo a Roma ampiamente previsto dopo le inchieste di Mafia Capitale e la scarsa qualità dell’amministrazione di Ignazio Marino. La Raggi si ritrova tra le mani una grande patata bollente, abitata da tre milioni di anime che hanno visto peggiorare continuamente la propria qualità della vita. Le sue priorità appaiono vaghe se non confuse, un po’ deboli come la sua memoria. Ma questa città ha conosciuto negli ultimi quaranta-cinquant’anni molti pessimi sindaci: non dovrebbe essere complicato fare un po’ meglio. L’importante è che la città venga effettivamente governata dal Campidoglio, che gli staff milanesi e genovesi restino alla larga da Piazza Venezia perché i cittadini romani non meritano l’umiliazione di essere governati per interposta persona. Ma la vera sorpresa è l’Appendino che a Torino ha travolto Fassino. Un evento, comunque, non totalmente inatteso perché tutti sapevano bene che se il sindaco uscente non ce l’avesse fatta al primo turno, al ballottaggio avrebbe potuto soffrire la strana alleanza nelle urne tra “no-Tav” e leghisti alla Borghezio.

antoniomaglie

2 thoughts on “Elezioni, il Pd perde Roma e Torino; Renzi ko, trionfa Grillo

  1. Sono d’accordo su gran parte delle considerazioni ma non mi convincono alcune analisi e, sopratutto, la supposta saldatura tra destra e cinquestelle. Sarà davvero interessante conoscere i dati numerici effettivi dei voti; sarà da verificare il flusso dei voti dal primo turno al ballottaggio nei diversi comuni. Il fatto che le due sindache cinquestelle elette abbiano indicato due assessori all’urbanistica espressioni della cultura del primato dell’interesse pubblico, del bene comune e dell’ambiente rispetto al primati del mercato e dei palazzinari. Il rigore e la competenza di Paolo Berdini è noto e lo posso personalmente testimoniare avendolo avuto per cinque anni al fianco nel mio lavoro di Assessore nella Giunta Badaloni. Solo un arrogante come Esposito può parlarne come uno dell’urbanistica 0. Si apre una fase nuova e di grande interesse. Potranno proporsi molte contraddizioni; ma potremo affrontarle in modo nuovo. L’importante è non lasciarsi prendere dalla logica dei supponenti commentatori che tendono a riportare il tutto dentro la logica asfissiante della politica politicante. E’ significativo che qualcuno, commentando i risultati, abbia cominciato a fare riferimento alla sofferenza sociale, alla disoccupazione, specialmente giovanile, al degrado e alla differenziazione prodotta dal neoliberismo e dalle politiche di austerità nelle città.
    Avremo modo di parlarne. Grazie per i molti spunti.

  2. L’astensionismo partenopeo al ballottaggio è probabilmente da imputare a quella parte dell’elettorato PD che si è rifiutata di votare Lettieri, come da indicazione di partito con tanto di letterine adpersonam, turandosi il naso.

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