-di Vittorio Emiliani-
A chi ha vissuto da adulto o da giovane maturo, specie a Roma e nelle grandi o medie città del Centro-Nord, da piazza Fontana alla metà degli anni Ottanta, l’orrore quotidiano del terrorismo rosso e nero, o dello stragismo neofascista, sembra di rivedere un vecchio film. Che impegnò per oltre un decennio la forza della democrazia, rilevante allora, in una difesa delle persone – anche di quelle comuni – nelle strade e nelle piazze, sui treni, nei locali pubblici. Alla fine, si trattasse di Aldo Moro, del giudice Vittorio Occorso, dell’operaio Guido Rossa o di un semplice passante, essa era comunque difesa di una democrazia che i terroristi, soprattutto quelli delle Brigate Rosse, volevano costringere ad intaccare i principi costituzionali fondamentali, a dare vita per reazione ad uno Stato autoritario e repressivo. Non ci riuscirono perché la passione politica batté alla fine il piombo terrorista. Perché la forza della democrazia fu tale da consentire quella vittoria finale.
A Roma, anche per il Giubileo, sembra di essere tornati a quegli anni, con uno schieramento pure più forte di militari, oltre che di tecnologie allora assai meno valide e diffuse. Anche se l’Italia per ora non ha subito attentati, anche se la stessa capitale viene solo indicata, sin qui, quale bersaglio possibile, per la presenza del Vaticano, di un pontefice fortemente innovatore che ama il contatto diretto con la gente esponendosi a rischi maggiori in questo Giubileo straordinario. Sulla cui opportunità tuttavia non pochi laici hanno espresso ed esprimono fondate perplessità.
Oggi, come e più di tanti anni fa, è complesso coniugare una prevenzione agguerrita (nei controlli, nelle perquisizioni, nelle indagini) con l’invito a continuare a vivere una vita il più possibilmente normale, senza allarmare troppo i più giovani, gli studenti, che non hanno memoria di sorta di un passato che fu sanguinoso, per anni e anni, di controlli e di limitazioni che furono pesanti. Il problema di fondo per noi democratici rimane questo: non stare fermi, reagire, anche sul piano militare (lo dico senza inutili ipocrisie) perché non si può consentire l’esistenza di uno Stato che fa da base al Terrore, ma soprattutto sul piano culturale. In Europa gli interessi di un capitalismo spesso politicamente cieco hanno ingigantito flussi di immigrazione dal mondo arabo enormi pilotandoli in vere e proprie città-ghetto. Sono i giovani di seconda o terza generazione, frustrati da quella esclusione di massa, a fornire armati e kamikaze alla strategia del terrore. Sono gli stessi che possono parlare di un Belgistan dove questi immigrati dal Medio Oriente o dal Maghreb a volte si addensano fino a costituire il quaranta per cento della popolazione.
Se non decolla, assieme alla prevenzione e alla repressione del terrorismo, una grande e generosa politica di inclusione dei “diversi”, l’Europa continuerà ad essere attraversata e scossa, destabilizzata forse, da queste rivolte individuali, di gruppo, di rete che i mezzi di trasmissione e di comunicazione rendono meno individuabili. Dobbiamo essere fieri della nostra civiltà democratica. Dobbiamo affermarla nei nostri comportamenti. Dobbiamo abbattere noi per primi gli steccati, le discriminazioni, le esclusioni e però pretendere che il mondo islamico faccia altrettanto: nei confronti delle donne, nei confronti dei diversi, nei confronti di quanti hanno fedi religiose differenti o nessuna fede religiosa. Assieme ad uno sforzo – che speriamo europeo – militare e diplomatico, deve esserci questo non meno grande sforzo o salto culturale, a viso aperto, senza ambiguità né ammiccamenti di sorta. I musulmani in Italia sono circa un milione e mezzo, in percentuale, credo, più numerosi nelle città del Nord che nella capitale. Con alcune comunità islamiche, come i senegalesi ad esempio, il dialogo corre abbastanza facilmente. Con altre – che in maggioranza si chiudono a riccio nei confronti di modernizzazioni fondamentali del costume – assai meno o per niente.
Gli stranieri residenti a Roma, quelli di più recente insediamento, sono abbastanza distribuiti nel peraltro vastissimo Comune della capitale (quasi 130.000 ettari, otto volte Milano), nel senso che qui non si sono creati troppi “ghetti” di immigrati. L’Esquilino, è vero, è stato “conquistato” , ma a suon di contanti, dai cinesi (oltre 16.000). I quali peraltro sono soltanto la quarta comunità straniera di Roma preceduti dai Romeni (88.500), ortodossi, cattolici orientali, cattolici, dai Filippini (41.000) cattolici, e dai Bengalesi (29.000), islamici. Seguono i Peruviani, cattolici, poi gli Ucraini e i Polacchi, tutti cattolici in varie forme, quindi gli Indiani, in minoranza musulmani, e i Cingalesi, musulmani. La grande Moschea di Monte Antenne nata anni fa, non ha mai creato problemi. Ora numerose piccole moschee sorgono nelle periferie. Le tensioni esistenti paiono al momento sostenibili. Anche perché decine di migliaia di immigrati, fra i quali non pochi musulmani, si sono insediati e quindi sparsi nei Comuni di corona – in cittadine che hanno uno loro identità storica – allentando così la pressione diretta su Roma dove magari lavorano e però non risiedono.
A Roma la vita, diurna e notturna, fluisce – per quanto può in una metropoli con trasporti lenti e precari – in modo abbastanza normale. Incidono di più certi scioperi “selvaggi” degli autobus di periferia che non le misure preventive di polizia. La presenza, molto avvertibile, di militari, fino nelle acque del Tevere coi Lagunari, rassicura. I turisti restano numerosi anche se quelli che sono qui “per vedere il papa” incontrano barriere più selettive. Destinate ad aumentare nei prossimi giorni. Tuttavia è presumibile che non si raggiungano – dopo i fatti di Parigi e di Bruxelles – i 32 milioni di presenze rispetto ai 24 milioni del 2000. Molto dipenderà dall’evolversi della situazione irachena e siriana e dai suoi contraccolpi in Europa.
Fondamentale tuttavia sarà sempre più la reazione pubblica, positiva, che gli islamici romani e i loro Imam hanno dato e sicuramente daranno: per difendere una convivenza sin qui pacifica e il vero Islam. Non dimentichiamo un dato di fondo: Roma conta la più antica comunità ebraica fuori dalla Palestina, fin dai tempi di Cesare. Quindi ben prima della diaspora. Non ebrei romani pertanto, bensì, specie col Risorgimento, romani ebrei. Presenti nelle istituzioni, come elettori e come eletti fin dai tempi della breve quanto intensa Repubblica Romana del 1849. Tutti valori da ricordare ai più giovani.