Parigi, Bruxelles, incubo senza fine

-di ANTONIO MAGLIE-

E’ un’altra giornata di lutti e dolore. Le bombe di Bruxelles richiamano alla mente le ore terribili del Bataclan imponendo ancora una volta il rito macabro della contabilità funeraria. L’Europa appare nuda come il famoso re e indifesa, impaurita e profondamente divisa: poteva e doveva essere un fattore di stabilità al centro di un’area attraversata storicamente da forti tensioni, al contrario si ritrova a dover innalzare quotidianamente i livelli di allarme. La retorica di circostanza induce molti a urlare la solita frase: siamo in guerra. Sì, ma contro chi e accanto a chi. L’Isis, si dice, cioè un nemico inafferrabile, che si è fatto stato ma sembra ora aver avviato una sorta di transumanza terroristica spostando le sue “batterie” di attentatori (suicidi e non) in territori più accoglienti (dalla Siria alla Libia). Ma in realtà siamo in guerra con una instabilità che nessuno, dall’11 settembre in poi, è riuscito a governare. Privo della vecchia, quasi rassicurante “guerra fredda”, il Mondo e, soprattutto, i Grandi del Mondo si sono ritrovati senza punti fermi, senza nuove teorie per attutire le tensioni.

Ai tempi del “Muro”, quel maestro di realpolitik che è stato Henry Kissinger teorizzò la logica dei conflitti regionali: meglio un piccolo scontro in un angolo del pianeta, lontano dal cuore dell’Occidente e dagli occhi indiscreti, che un confronto mondiale alimentato con armi che avrebbero portato alla distruzione totale. La grande inquietudine della guerra globale è stata sostituita dalla più “modesta” incertezza quotidiana; la bomba atomica era una minaccia apparentemente lontana, la cintura esplosiva, al contrario, è un incubo che ci assale tutte le volte che prendiamo una metropolitana. Vivevamo nella “certezza” di un equilibrio precario ma che da quella precarietà traeva elementi di robustezza; l’equilibrio ora non è più precario perché, per quanti sforzi faccia Putin, il confronto tra blocchi è roba del passato; in compenso, però, appare segnato da una profonda incertezza, dalla paura delle “schegge impazzite”. All’equilibrio del terrore si è sostituito il terrore senza equilibrio: perciò può manifestarsi in qualsiasi momento, in qualsiasi ora, in un ristorante del centro di Parigi, in una stazione della metropolitana di Bruxelles. Siamo indifesi perché l’attacco può coglierci in una fase tranquilla, sostanzialmente monotona, della nostra routine quotidiana. Il leader mondiale che impazzisce e schiaccia il bottone rosso è un personaggio da film, ma l’esaltato che aziona una cintura esplosiva o va in giro con un kalashnikov sparando sui passanti è molto più reale di una invenzione pulp di Quentin Tarantino.

La chiusura della Guerra Fredda avrebbe dovuto consegnarci un mondo pacificato. Al contrario, ci ha messo tra le mani un pianeta ricco di guerre calde, alcune dichiarate, altre combattute a prescindere dalle dichiarazioni ufficiali. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, gli Stati Uniti e il suo presidente di allora, George W. Bush, hanno immaginato che sarebbe bastata una guerra ai talebani in Afghanistan e l’invasione dell’Iraq per rimettere le cose a posto: la teoria della democrazia esportata sulla bocca dei fucili ha prodotto la proliferazione di forme teocratiche malsane e criminali e le primavere arabe si sono trasformate in piovosi autunni. Usciti di scena “i nostri” si sono moltiplicati i focolai, l’integralismo musulmano ha trovato terreno fertile per la sua predicazione nelle banlieue sgangherate ai margini delle nostre città e negli angoli dimenticati del pianeta; un mondo sempre più diseguale ha facilitato la propaganda che pesca nella disperazione sociale garantendo paradisi più artificiali di quelli prodotti dall’uso della droga (che, peraltro, finanzia buona parte di queste guerre). E’ sempre più evidente che davanti a nemici sfuggenti, occulti e occultati difficilmente riusciremo a difenderci solo con le armi: abbiamo bisogno di un grande progetto politico europeo e mondiale perché possiamo anche militarizzare le nostra società, ma i risultati li raggiungeremo solo quando riusciremo a definire un nuovo equilibrio, socio-economico, prima ancora che militare. Potremo vincere la Guerra solo “spegnendo” le ragioni delle guerre.

antoniomaglie

Rispondi