-di VALENTINA BOMBARDIERI-
Bruxelles si è svegliata sotto assedio. Come Parigi. Di nuovo e ancora una tragica contabilità: 31 morti e 250 feriti. Numeri destinati a salire. Colpiti l’aeroporto e la stazione della metropolitana di Maalbek. Nello scalo l’allarme è scattato alle 8: è stata distrutta la sala partenze internazionali vicino ai banchi dell’American Airlines, nel terminal A. Tutti i vetri della struttura sono scoppiati. In tarda mattinata l’Isis ha rivendicato la paternità degli attentati. La capitale europea, dove quattro giorni fa è stato arrestato l’ultimo degli attentatori di Parigi, Salah Abdeslam è paralizzata. L’esercito in strada per permettere il passaggio delle ambulanze. Metropolitana e stazione centrale chiuse. Livello di allerta massimo in tutto il paese. Abdeslam Najim Laachraoui, identificato pochi giorni fa ancora latitante: è l’uomo che, secondo gli investigatori, ha confezionato le cinture esplosive per la strage di Parigi del 13 novembre.
La paura dilaga in Europa. La paura di condurre una vita normale. Questi attentati lasciano il segno. New York, Madrid, Londra, Parigi e Bruxelles sono luoghi, date, persone che lasciano un segno indelebile. Capisci che il terrorismo è dietro la porta. È a casa nostra. Non più lontano, non più un servizio di coda al telegiornale. Nella triste convinzione, forse europea che i morti non sono tutti uguali, ma che si distinguono dalla bandiera del paese in cui sono stati uccisi. Ora il terrorismo è una cosa vera, si tocca con mano. Fa vittime a un concerto, magari proprio a quel concerto che aspettavi da mesi, quel concerto di quel gruppo che ti piace tanto.
Il problema vero di questi atti barbari è la paura che ne deriva. La paura che ti paralizza, che non ti fa visitare i musei, ti impedisce la passeggiata in centro, la visione di un film al cinema o la partecipazione a un concerto. La paura dei luoghi affollati e chiusi. Delle metropolitane. La paura del diverso. Di chi ha la barba lunga o un turbante in testa o di chi è accanto a te con il capo coperto.
L’unica cosa che le persone possono fare è non avere paura. L’aeroporto è un simbolo di libertà, capacità di conoscere genti e culture. Non avere paura è l’unica soluzione. È l’unica risposta che possiamo dare a chi vuole toglierci la libertà. Accettare chi è diverso: per aspetto, lingua, religione. Siamo tutti uguali, anche se ci vogliono convincere del contrario a colpi di attentati, di bare e funerali di stato. E’ questa la nostra trincea: quella di una cultura che dialoga, che parla con le idee non con il rumore delle cinture esplosive; è il rumore della vita contro il silenzio della morte.