Ma è nata la Chiesa di Francesco?

-di ANTONIO MAGLIE-

“Si richiede alla politica una maggiore attenzione per prevenire e risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti. Ma il potere collegato con la finanza è quello che più resiste a tale sforzo, e i disegni politici spesso non hanno ampiezza di vedute”. Sembra il passaggio di un discorso di un “riformista rivoluzionario” alla maniera di Riccardo Lombardi. In realtà è solo un brano dell’enciclica di Papa Francesco, “Laudato si’”. E’ stata definita l’enciclica “verde”, “ecologica ma le definizioni giornalistiche, per quanto efficaci, spesso per motivi di sintesi tradiscono il senso vero di un pensiero. L’aspetto ecologico in quello che è ancora oggi il frutto più articolato ed elaborato del pensiero del Papa argentino con origini piemontesi, occupa una parte rilevante dell’enciclica ma non ne esaurisce la “ratio”. Perché quel documento si inserisce a pieno titolo in quell’ampio fiume che partendo da Leone XIII con la Rerum Novarum, arriva sino ai giorni nostri passando per la straordinaria Mater et Magistra di Giovanni Paolo II, e che prende il nome di “dottrina sociale della Chiesa”. Lo dice lo stesso Francesco, in un altro passaggio: “Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”.
Domenica Francesco festeggerà il suo terzo anno da Papa. In un laico, la cosa potrebbe, anche legittimamente, sollecitare solo indifferenza. Cadendo, per giunta, dopo la battaglia sulle Unioni Civili e le pesanti ingerenze della gerarchia (che ha rilanciato in prima linea una figura come quella di Camillo Ruini che sembrava far parte di un passato non rimpianto e ormai archiviato), si potrebbe anche essere tentati di affermare che in fondo nulla è mutato sotto la volta michelangiolesca della Cappella Sistina. Sarebbe, però, un atteggiamento superficiale e improvvidamente liquidatorio. Perché in questo Papa comunque si avverte un bisogno di rinnovamento. Il fatto è che non si riesce ancora a capire se si tratta di una appena formale dichiarazione di intenti con l’obiettivo di ripulire l’immagine ferita della Chiesa (una sorta di veloce pronto soccorso) o se si tratta di un anelito reale per adeguarla a un mondo che non cammina semplicemente ma corre e in questa corsa il Vaticano appare più lento di una tartaruga finendo, così, per perdere anche appeal nella società, sul “mercato” della spiritualità oggi inseguita nel mondo battendo strade diverse da via della Conciliazione, indicate da “navigatori” che il più delle volte allontanano e non avvicinano al colonnato del Bernini.
Una cosa è certa: nella sua dichiarata umiltà, il gesuita Bergoglio è una mente raffinata. Ed estremamente abile nell’uso degli strumenti della comunicazione. Al di là delle critiche, pure condivisibili, espresse nella sua enciclica: “La vera sapienza, frutto della riflessione, del dialogo e dell’incontro generoso fra le persone, non si acquisisce con una mera accumulazione di dati che finisce per saturare e confondere, in una specie di inquinamento mentale. Nello stesso tempo, le relazioni con gli altri, con tutte le sfide che implicano, tendono a essere sostituite da un tipo di comunicazione mediata da internet. Ciò permette di selezionare o eliminare le relazioni secondo il nostro arbitrio, e così si genera spesso un nuovo tipo di emozioni artificiali, che hanno a che vedere più con dispositivi e schermi che con le persone e la natura… Per questo non dovrebbe stupire il fatto che insieme alla crescente offerta di questi prodotti, vada crescendo una profonda e malinconica insoddisfazione nelle relazioni interpersonali, o un dannoso isolamento”. Il suo libro-intervista negli scaffali dei supermercati spiega che la critica ai “prodotti” è una cosa, l’uso un’altra e la Chiesa, nella versione di Bergoglio, pur denunciando la “malinconica insoddisfazione” che a volte producono, è intenzionata a utilizzarli.
Non si può non essere d’accordo con lui quando afferma: “La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri… L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati”. Il fatto è che Bergoglio da un lato appare un corpo estraneo, dall’altro, con la sua estraneità, perfettamente funzionale a questa Chiesa che parla di poveri, compie anche delle scelte interessanti in tal senso ma poi finisce per rimanere stordita sotto il peso di ampi e ricchi attici ristrutturati all’insaputa dei porporati inquilini. Chiede scusa alle vittime dei preti pedofili ma appare troppo silente davanti alle dichiarazioni rese dal Cardinale George Pell, in video-conferenza da Roma, alla commissione governativa australiana. Bergoglio a proposito dell’omosessualità si schermisce dicendo “chi sono io per giudicare” però a parte qualche correzione di rotta non sottolinea la distanza con gli “estremisti” del Family Day, a cominciare da Massimo Gandolfini che, a differenza del Papa, non solo giudica ma, nel passato, ha proposto anche interventi “terapeutici”. Bergoglio invita i preti a ospitare gli immigrati e un parroco gli risponde che piuttosto dà fuoco alla canonica e poi, per non smentirsi, rifiuta la benedizione a una donna morta tragicamente solo perché non ancora cattolica (e originariamente musulmana) mentre a Roma un suo collega mesi prima l’ha allegramente e senza imbarazzi elargita a un esponente dei Casamonica (per giunta impartendola nella stessa chiesa che l’aveva rifiutata a Piergiorgio Welby).
Qual è la Chiesa vera? Quella carica di pietà dei “vescovi di strada” o quella ancora troppo ricca che si impegna anche in opere di bene che finiscono per apparire come la semplice variante di una sorta di capitalismo compassionevole in chiave religiosa? In questi tre anni Bergoglio ha trasformato se stesso in una “icona pop” scatenando persino un mercato dei suoi falsi santini. Lo stesso Giubileoappare uno strumento inadeguato rispetto a quegli intenti riformistici che il Papa venuto “dalla fine del mondo” dice di voler perseguire perché questa Chiesa per riformarsi nel profondo avrebbe bisogno di un Concilio che riannodi le fila con l’altro Concilio annacquato e tradito. Si avverte uno scarto quasi insanabile tra propositi e realizzazioni; è come se Bergoglio fosse fermo su un confine ideale: di qua Giovanni XXIII, di là Giovanni Paolo II (non a caso li ha voluti santi tutti e due). Ma rispetto al primo è di gran lunga indietro, difettoso nel coraggio e nella spinta rivoluzionaria; rispetto al secondo troppo avanti e perciò “frenato” da una Chiesa costruita e plasmata in una certa maniera negli ultimi trentacinque anni attraverso due pontificati. Nel primo caso le sue realizzazioni finiscono per apparire modeste rispetto alle intenzioni. Nel secondo, suscitano le resistenze dei Ruini e dei Bagnasco. Con la conseguenza che, cambiando qualche termine, potrebbe essere applicata anche a lui questa impeccabile analisi contenuta nella sua enciclica: “La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei vertici mondiali sull’ambiente”. Rischia anche lui quella fine all’interno di una Chiesa sempre più enigmatica.

antoniomaglie

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