-Intervista a Cesare Salvi di Mauro Milano-
Sabato era al Teatro Quirino, qui a Roma, per la presentazione di “Sinistra Italiana”?
Sabato ho partecipato volentieri alla presentazione di questo nuovo gruppo parlamentare. Nell’intenzione dei promotori, è un primo passaggio verso un’unificazione a Sinistra. Ancora non è completa, però, mancavano Possibile, il gruppo di Civati, L’altra Europa, Rifondazione. Sostanzialmente il rapporto di omogeneità è tra Sel e gli ex Pd.
In passato c’è stata tanta frammentazione, oggi è il momento della compattezza?
È un auspicio. In passato a Sinistra sono prevalsi gli elementi di divisione, tutti più o meno legati al governo. Rifondazione comunista ha subito due scissioni, per esempio: la prima per il voto sul governo Dini, la seconda sul governo Prodi. Noi, come Sinistra Democratica, non abbiamo aderito al Partito Democratico sulla base di una previsione fondata, l’inevitabile orientamento moderato che avrebbe assunto. Le scissioni sono tutte riuscite, mentre i tentativi di unione no. Sinistra Arcobaleno nel 2008, la Federazione della Sinistra più tardi, Rivoluzione Civile alle ultime elezioni politiche, non hanno dato vita ad un nuovo soggetto politico. Ora devono evitare gli stessi errori del passato.
Come vede il progetto?
Tutto ciò che unisce è un fatto positivo, ma ci sono problemi aperti, secondo me. Innazitutto i tempi: il percorso che prevedono è troppo lungo. C’è un’assemblea nazionale aperta di tre giorni, a gennaio, il nuovo soggetto nascerà in autunno.
Il secondo?
Sabato il tono era molto “antirenziano”, trattandosi di nuovi gruppi parlamentari con esponenti usciti dal PD era inevitabile. Vanno individuati però dei punti programmatici, delle battaglie da fare.
Quali?
Due o tre proposte per i cittadini, per l’opinione pubblica, in postivo. Da questo punto di vista c’è già un appuntamento importante che sarà il referendum costituzionale, che si prevede il prossimo ottobre. Ma vi sono anche iniziative referendarie che possono essere costruite da sinistra.
Quelle di Civati non sono riuscite…
Quelle no, ma adesso si sta lavorando su tre ipotesi di referendum: la riforma elettorale, per cui c’è anche una via giudiziaria, il ricorso alla Corte Costituzionale. Poi la legge sulla scuola e le leggi sul lavoro, che vengono chiamate “Jobs Act”. Sono tre cose collegate tra loro: la democrazia, il diritto all’istruzione e il diritto al lavoro. Ma si sa che per raccogliere firme ci vuole molto impegno, ci vuole la partecipazione di soggetti sociali. È un primo banco di prova, penso importante. Può dare una risposta significativa, rilevante.
Diceva di un terzo problema?
Sì, avere una posizione chiara sull’ Europa, dove c’è sofferenza diffusa rispetto alle politiche di austerità.
L’Europa sta andando a sinistra?
Finora la risposta prevalente è stata, purtroppo, più a Destra, penso al fronte nazionale in Francia e alla Lega qui, in Italia. Ma i segnali recenti vanno in una direzione diversa, la più significativa è per esempio la nuova leadership del Partito Laburista inglese, che sta trovando molte difficoltà… Il nuovo leader non è in sintonia con l’establishment del suo stesso partito ma è la prima volta dai tempi di Brandt e Palme che c’è un orientamento di sinistra nella Socialdemocrazia. Il problema della Sinistra europea è la debolezza che le socialdemocrazie hanno manifestato, la subalternità alla Destra dell’austerità, in Germania governano insieme senza grande differenziazione.
E a Sud?
In Grecia Tsipras ha subito una sconfitta, dopo la vittoria e le immagini forti di quest’estate. In Spagna, invece, Socialisti, Podemos e Izquierda Unida potrebbero avere la maggioranza, e collaborare insieme. Adesso c’è una situazione interessante anche in Portogallo. Il governo uscente di Centrodestra ha avuto la maggioranza relativa, e il Partito Socialista ha chiesto il governo, con il Blocco di Sinistra e il Partito Comunista, il leader ha detto: “È caduto il muro di Berlino”. Hanno trovato intralci con il Presidente della Repubblica, ma a gennaio ci saranno le presidenziali… Questi dati dimostrano che qualcosa si può muovere, ma in Italia la situazione è diversa, non ci sono condizioni di questo tipo.
Però ci può essere uno spazio elettorale?
Se ci sarà un salto di qualità sui temi che ricordavo, credo di sì. Penso che in Italia ci sia bisogno di Sinistra, temi contenuti nella nostra Carta costituzionale oggi sono sprovvisti di una politica che li faccia valere, perciò penso il progetto di “Sinistra italiana” vada visto con favore.
Comunque, uno spazio c’è, stando ai sondaggi, già da quest’estate davano una “cosa rossa” al 7%. Lo sbarramento è al 3%…
Lo sbarramento si supererà, ma bisogna essere un po’ più ambiziosi. Si deve intervenire sull’astensionismo. Gli istituti di ricerca ci dicono che l’elettorato di Sinistra non trova un punto di riferimento, infatti le punte più alte sono in Emilia Romagna.
Intanto in primavera si vota per le amministrative…
Ho l’impressione che la fondazione dal nuovo soggetto politico sia stata rinviata ad autunno perché ci sono divisioni su queste elezioni. C’è una parte che vuole presentare ovunque liste alternative ai Democratici, Sel vuole distinguere le varie realtà, invece. Questo è un primo problema, ma non dovrebbe indurre a temporeggiare, e vanno fatte delle scelte. Questo non è un buon segnale, ma spero che sia superato e l’operazione vada in porto.
Bersani la considera sbagliato uscire, ma altri non si trovano più nel Pd. D’Attorre ha parlato di scelta sofferta, ma necessaria. Secondo lei ne arriveranno altri?
Questo è difficile da dire. Bersani è stato drastico, ma il problema, al di là di chi aderisca e non aderisca tra i parlamentari, è il rapporto con i cittadini e i ceti popolari. Rischia altrimenti di apparire solo come un’operazione di ceto politico. Bisogna mettere da parte tutti i personalismi.
E la reazione di Renzi? Ha detto: “Non vinceranno mai, al massimo aiutano a far vincere la Destra” e che attaccano “la felicità”.
È un suo difetto un l’atteggiamento che lo rende divisivo. Riconoscere la leggitimità del dissenso, siamo in democrazia… Ma bisogna riconoscere questi smottamenti, prima di tutto elettorali, come l’astensionismo. Il premier vuole rifiutare i problemi, e usa etichettature, e non entra nel merito. Qualche volta può servire, per carità, ma a lungo andare non giova, perde elettorato. Si deve chiedere, prima: ma io ho fatto tutto quello che potevo fare per evitare che se ne andassero gli elettori come i dirigenti?
L’ha fatto?
No. Non ha fatto nessun tentativo in questo senso, e ciò non può non avere un peso.
Immaginando uno scenario elettorale, che ruolo avrebbe “Sinistra Italiana”?
Con l’Italicum c’è il doppio turno, e ciò che era unito può tornare diviso. Il movimento di Grillo ora è il vero contendente, più della Sinistra italiana, secondo me.
Il leader di Sel, Vendola, non c’era, ma in un messaggio ha parlato di Lavoro e diritti. Per lei che è stato Ministro del Lavoro, qual è la condizione di oggi in questo paese?
Guardiamo ai fatti. L’articolo 18 è stato praticamente eliminato, e ciò non è il contratto a tutele crescenti di cui parlava Ichino. Quelle formule prevedevano un certo numero di tempo, tre anni, poi un rapporto a tempo indeterminato con quell’articolo. Ora, salvo ritrovarsi tra i due turni, c’è solo un’indennità, come prima dello Statuto dei Lavoratori. Il decreto Poletti facilita il contratto a termine, è stata aumentata la precarizzazione, senza i risultati sperati. La disoccupazione, intanto, è sempre a due cifre, e quella giovanile altissima.
In conclusione, che cosa vuol dire, per lei, essere “di Sinistra”?
Credo che oggi sia difficile una risposta come quella che davamo in passato. Anche se alcuni aspetti del marxismo non vanno abbandonati, come la contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro. Oggi il problema sono i diritti, l’eguaglianza e la redistribuzione del reddito. Il diritto più importante di tutti per me dopo il lavoro dignitoso resta, per me, quello all’istruzione.