Grazie, Irlanda!

legalizagay-Edoardo Crisafulli- 

Il sì al matrimonio gay in Irlanda lascia piacevolmente attoniti: la modernità avanza come un caterpillar. Il 61,1% di sì significa che un gran numero di cattolici praticanti (fra questi un bel po’ di elettori del centrodestra) si è espresso a favore dell’unione fra due persone dello stesso sesso, sancita legalmente. In democrazia una percentuale del genere assomiglia a una valanga. Il messaggio che proviene dall’Irlanda è rivoluzionario: anche un paese tradizionalmente cattolico può garantire l’intera gamma dei diritti civili, senza traumi e lacerazioni. Tra l’altro, il referendum irlandese è stato voluto nonostante il fatto che fosse stata già approvata una legge sulle unioni civili che tutelava le coppie omosessuali (in fatto di: proprietà casa, agevolazioni fiscali, eredità, immigrazione). Gli irlandesi sono andati avanti fino in fondo – e noi italiani, invece, procediamo “indietro tutta”!

Ho vissuto due anni a Dublino, nei primi anni novanta, e ricordo bene quanto la società irlandese fosse permeata da un cattolicesimo arcaico e superstizioso, che mi ricordava certe forme di devozione popolare tipiche del nostro Mezzogiorno (quante foto affumicate di Padre Pio ho intravisto nei pub irlandesi!). Un grumo limaccioso che pareva destinato a rimanere lì in eterno. Mi tornano in mente le discussioni accanite con i miei studenti in quella che un tempo era l’Università cattolica di Dublino, lo University College Dublin. Allora – sembra trascorsa un’eternità! –, era difficile far passare addirittura l’idea del divorzio, proibito per legge. “Marriage is for life”, mi ripetevano con dogmatica sicumera giovani ventenni. Pochi i dissenzienti, mosche bianche in quel grigiore bigotto. Il divorzio diventerà legge pochi anni dopo, nel 1996. Oggi anche i diritti delle coppie gay sono riconosciuti de jure. In soli vent’anni l’Irlanda si è modernizzata alla velocità della luce. E l’Italia è rimasta al palo! Ormai il nostro è uno dei pochi paesi occidentali arretrati, privo com’è di una legislazione a tutto campo sui diritti civili.

La prima proposta di legge per il riconoscimento delle coppie di fatto fu presentata nel 1988 dall’indimenticabile pasionaria Agata Alma Cappiello, parlamentare del PSI. Si avverte sempre di più la mancanza di un forte e radicato partito socialista, laico e libertario. La Rosa nel Pugno – l’unione di liberali, socialisti e radicali – è stato ahimé un fuoco di paglia. Eppure la modernità prorompe e irrompe, minacciando di travolgere ogni argine. Non sorprende che Alfano, leader del Nuovo centrodestra si dichiari favorevole alle unioni civili, ma nettamente contrario al matrimonio omosessuale, alla reversibilità della pensione e alle adozioni gay. Cos’ha in mente? Semplice: una legge all’acqua di rose che salvi le apparenze, senza cedere di un millimetro sulla questione di principio: l’equiparazione del matrimonio omo ed etero, bestemmia per i benpensanti. Stiamo in guardia: questa sarà la strategia del fronte conservatore in Italia nei prossimi mesi ed anni. Tutto per un pugno di voti, e per ottenere l’appoggio della corrente più oltranzista in Vaticano (Papa Francesco qualche timida apertura sull’omosessualità l’ha avuta). Oggi, dopo l’esito del referendum irlandese, non ci sono più scusanti e alibi: basta con gli orribili PACS e scemenze consimili: chiediamo pieni diritti, senza compromessi. Lo hanno fatto i più antichi difensori della fede cattolica nel Nord Europa, possiamo farlo anche noi in Italia.

Se vinciamo noi, i cattolici integralisti rimarranno liberi in tutto e per tutto; se vincono loro, noi laici saremo menomati nelle nostre libertà e nei nostri diritti. Questo è il punto cruciale, che i fondamentalisti di ogni religione si ostinano a non voler capire: per loro è inconcepibile che una società contempli l’intero spettro delle libertà individuali. Una sola morale deve prevalere, e va imposta dall’alto: la loro. La coppia gay ai loro occhi è una offesa al “comune senso del pudore”; è una sorta di pornografia legalizzata. Di più: è una minaccia all’ordine sociale costituito. Come se la famiglia “tradizionale” fosse così anemica, così impaurita, da disintegrarsi al solo apparire di baldanzose famiglie gay. Che dovrebbero dire, allora, gli atei e gli omosessuali? Non hanno anch’essi il diritto a sentirsi offesi da una morale religiosa che li discrimina, che considera immorale chi non crede in Dio e una perversione nel Creato chi non s’accoppia col sesso opposto? Eppure, nessuno pensa di bandire il cattolicesimo! Noi laici non pensiamo di possedere alcuna verità da imporre ai recalcitranti; desideriamo semplicemente vivere in una società moderna in cui i cattolici, i musulmani e gli atei siano tutti liberi di professare le loro convinzioni, nel rispetto delle leggi vigenti. Vogliamo abitare in una città secolare; quella sacra appartiene al tempo che fu. Ogni integralismo (il laicismo non fa eccezione: si pensi alla Costituzione ‘ateista’ nella vecchia Unione Sovietica) ha un concetto distorto dello Stato, visto come portatore e promotore prepotente di una certa idea di moralità, che si presume l’unica giusta. Noi liberal-socialisti pensiamo che lo Stato debba intervenire nell’economia, giammai nella sfera etica, che riguarda le scelte insindacabili compiute dall’individuo secondo coscienza. Lo Stato ha il compito di rimuovere gli ostacoli materiali che impediscono il libero sviluppo di ogni persona. Non può insinuarsi nella nostra dimensione più intima. Ogni volta che l’ha fatto, i cittadini si sono sentiti sudditi, schiacciati e calpestati. Per evitare che ciò accada, lo Stato ha l’obbligo di garantire il pluralismo in tutte le sue configurazioni: culturali, religiose, politiche. Di più non deve fare.

Il Concilio Vaticano II ha spalancato le porte alla modernità. In tanti hanno provato a richiuderle. Ma la libertà è rientrata dalla finestra. I residui di integralismo scompariranno dall’Occidente. È solo questione di tempo. Un bellissimo articolo di Vito Mancuso (“Cosa manca alle religioni per accettare l’omosessualità”, La Repubblica, 19 maggio 2015 ) ci fa capire la grandezza dell’esegesi modernista. Dice Mancuso che nella Bibbia ci sono testi che oggi avvertiamo come “eticamente insostenibili”: testi che incitano alla violenza, che reputano la donna un essere inferiore, che condannano l’omosessualità. L’integralista assolutizza quei testi canonici. Ma fermandosi alla lettera, ne tradisce lo spirito. Ha fissato le sue colonne d’Ercole, e non si sogna di oltrepassarle: non c’è filologia, non c’è ermeneutica. C’è solo la parola di Dio pura, incontaminata. Ecco perché l’integralista ragiona per analogie insensate (siccome i discepoli di Cristo erano tutti uomini…). Il modernista va oltre l’interpretazione letterale, perché sa che la Bibbia è espressione di un mondo storicamente determinato. Dietro la facciata c’è una struttura profonda: la caritas. Questo è il messaggio morale-religioso autentico, astorico e universale. Questa è la pepita luccicante che va estratta dal fango, e conservata. Solo ragionando così testi millenari possono dire ancora qualcosa a noi che viviamo in una realtà secolarizzata, in costante evoluzione. Mancuso aggiunge che l’omosessualità non è innaturale, perché “in natura si dà e si è sempre data”. È una variante rispetto alla fisiologia di fondo, che è l’eterosessualità. Omosessuali si è. Punto e basta. L’omosessualità non è frutto di una scelta, quindi è per forza di cose un fenomento naturale. In ogni caso, non può essere né una malattia da curare né un peccato da espiare. Eccola la straordinaria agilità mentale del modernista che sfata l’argomentazione più becera, ovvero che l’omosessualità è “contro natura”. Mancuso interpreta intelligentemente la caritas cristiana in termini moderni, la intende come il dovere di rispettare i diritti di ogni essere umano, a prescindere dal censo, dall’istruzione, dal colore dalla pelle, dalla religione. E, aggiunge, a prescindere dall’orientamento sessuale. “La maturità di una comunità cristiana si misura sulla capacità di accoglienza di tutti i figli di Dio, così come sono venuti al mondo, nessuna dimensione esclusa.” È questo il ragionamento che devono aver fatto i cattolici irlandesi quando hanno apposto il loro sì sulla scheda.

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