I nodi dell’Italicum

SALVI-CESARE SALVI-

È probabilmente inutile ripetere le critiche di merito e di metodo alla legge elettorale, chiamata Italicum, approvata in via definitiva nei giorni scorsi.

Quanto al contenuto, la principale critica è la introduzione di una forma di elezione diretta del premier (come ha sottolineato uno dei suoi principali fautori, il politologo D’Alimonte), pur mantenendo formalmente il sistema di governo parlamentare. Si introduce cosi in modo surrettizio il presidenzialismo, senza i contrappesi previsti là dove è adottata questa forma di governo. Ciò è aggravato dalla nuova composizione del Senato, che riduce ulteriormente i contrappesi parlamentari.

Del resto, il metodo con il quale la legge è stata approvata conferma già da oggi questi rischi. I presidenti del Senato e della Camera hanno accettato supinamente le forzature del governo: Grasso, ammettendo l’emendamento presentato, su sollecitazione del governo, del sen. Esposito; Boldrini ammettendo il controverso voto di fiducia senza nemmeno convocare la Giunta per il regolamento. L’effetto è stato di precludere la possibilità di modificare la legge, con una compressione del potere emandativo del Parlamento che non lascia ben sperare per il futuro.

Ma, come ho detto, queste criticità sono state già segnalate con efficacia, in particolare da Gianni Ferrara e Massimo Villone.

Ormai la legge è approvata (anche se entrerà in vigore tra un anno), e bisogna essere consapevoli che sarà molto difficile rimetterla in discussione (per ragioni tecnico-giuridiche e politiche, sulle quali è qui inutile soffermarsi) con gli strumenti di cui oggi si parla, il referendum abrogativo o il ricorso alla Corte costituzionale.

L’unica via per fermare la deriva autoritaria è far saltare la riforma costituzionale: con il voto del Senato (previsto a giugno), impedendo che il testo raggiunga la maggioranza assoluta dei voti; o con il referendum, che avrà luogo se la nuova normativa avrà invece i voti parlamentari sufficienti.

Se la riforma costituzionale non sarà approvata, infatti, per il Senato rimarrà l’elezione diretta, con la legge di impianto proporzionale che risulta dalla sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittima la legge chiamata “porcellum”.

Ma sarà possibile fermare , in parlamento o nel paese, la riforma del Senato?

Per rispondere a questa domanda, bisogna intanto domandarsi come sia stato possibile che il parlamento eletto nel 2013 sia arrivato a questo punto, pur avendo una larga maggioranza di centro sinistra.

Oggi Bersani e altri esponenti del PD parlano di deriva autoritaria. Ma come mai se ne sono accorti solo ora, alla quarta lettura della legge?

Credo che ci sia una ragione di fondo al di là quelle legate ai tatticismi e all’evoluzione della lotta politica interna al PD.

Questa ragione risiede in un profondo deficit di cultura politica. Quando Stefano Rodotà e altri eminenti studiosi segnalarono fin dalla presentazione dei progetti, il rischio della deriva autoritaria, furono lasciati soli di fronte a Renzi che li chiamava gufi e professoroni.

La cultura politica della sinistra maggioritaria é debole o inesistente, e ciò impediva di leggere la sostanza di quanto si veniva proponendo.

Essa era (e in buona parte ancora è) subalterna alle ideologie del decisionismo e della governabilità, ben espressa dalla sciocca formula “la sera del voto si deve sapere chi ha vinto”. Come se finora non lo si fosse, nella sostanza, saputo, senza bisogno di investiture plebiscitarie, sia ai tempi della legge proporzionale che in quelli successivi del maggioritario. E quanto al decisionismo ultramaggioritario (che solo consentirebbe di approvare riforme) come dare una spiegazione del fatto che, con la legge proporzionale, negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso sono state approvate riforme come il divorzio, lo Statuto dei lavoratori,la scuola media unificata, il sistema sanitario nazionale, ecc.?

Il problema della democrazia italiana oggi non è la difficoltà di decidere, ma il deficit drammatico di partecipazione e di rappresentatività democratica, che sta causando un crescente e inquietante distacco dei cittadini e delle istituzioni. Le riforme dovrebbero dare una risposta a questo problema, non accentuare il distacco tra cittadini e istituzioni.

Una riflessione di questo tipo è stata, almeno finora, del tutto assente dalla cultura politica della sinistra (tutta).

Ma se non si avrà il coraggio e la determinazione di costruire una piattaforma istituzionale, alternativa a quella di Renzi perché basata su un’altra idea della democrazia, mi pare evidente che i prossimi appuntamenti, a cominciare dall’impegno contro la riforma del Senato, difficilmente potranno avere il necessario consenso popolare.

Spero quindi che quanto accaduto suoni la sveglia a sinistra, dopo l’occasione mancata sulla legge elettorale. Senza idee innovative e alternative, la battaglia democratica sarà purtroppo limitata a restare minoranza.

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

2 thoughts on “I nodi dell’Italicum

  1. Caro Cesare…il vero limite stà tutto dentro le contraddizioni metodologiche e cognitive della sinistra democratica, dentro e fuori il P.D. e si stà solo praticando ciò che una volta nel PCi si chiamava centralismo <> ma applicato alle istituzioni ha un risultato devastante, perchè non è l’organizzarsi autodeterminato di una parte, ma sistema imposto a tutti i cittadini.La distorsione del concetto e contenuto di delega amministrativo istituzionale assunta contemporaneamente come elettorale e forma di condizionamento dell’indirizzo politico, funziona ma abbatte ogni capacità di pensiero e <> La questione del Partito per tutti i Democratici si pone come questione politica derimente, o un partito di gruppi e correnti (con tutto ciò che ha sempre significato) o un partito intellettuale organico ai diritti e doveri umani, di massa modernamente organizzato in cui Democratici significa tanti e diversi che si uniscono ed operano con metodo e cognizioni scientifiche alla elaborazione permanente di un intendere dove si scardinano ogni tipologia di pregiudizi sensa senso e pur stando nell’ambito di diversità molteplici si sceglie interiorizando la cultura della reciprocità e dell’intelligenza che diventa progetto e programma di governo in cui concorso e concorrenzialità non siano scisse perchè la prima sia la metodologia politica di partito e la seconda torni ad essere quella nel sistema, fatta di metodologie e contenuti anche contrapposti, la debolezza dei sinceri Democratici è tutta quà in un pensare metodologico ed operativo vecchio e quando innovativo peggio di ciò a cui ci si era talmente abituati (per necessità storico politica di contrapposizione pregiudiziale) al punto di intendere una necessità adottata con grande efficacia in altri tempi per una virtù da praticare e perseguire nell’oggi…. in cui Cittadini avvezzi alla subordinazione e all’obbedienza, accomodati mentalmente ad una delega di tutela, comunque sia di tipo tutelare, assistenziale e paternalistico familista. Tutte cose su cui si reggeva in piedi in modo organizzato il precedente periodo della Republica, che un soggetto come il renzismo può sfruttarne a proprio piacimento la forza di inerzia comportamentale e metodologico cognitiva come se stesse facendo una grande operazione innovativa ed invece è solo un intelligente giro di valzer per ristabilire vecchie metodologie e pensiero politico mediocre.

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