Rivoluzione democratica?

Crisafulli

-EDOARDO CRISAFULLI-

L’elezione di Matteo Renzi alla segreteria del PD è un fatto rivoluzionario. Siamo sommersi da una tale cacofonia che a malapena ce ne siamo accorti. È la prima volta che in Italia un leader politico viene “incoronato” dal basso. Bersani aveva vinto le primarie precedenti. Ma era pur sempre l’uomo dell’apparato, il leader in pectore calato dall’alto: la base ratificava ciò che era già stato deciso.

Renzi ha vinto contro l’apparato. Io non l’avrei votato: parlo un altro linguaggio, ho altri orizzonti ideali. Ma in democrazia bisogna accettare il responso delle urne. E, se vogliamo raccapezzarci nel caos della politica italiana, dobbiamo anche cogliere il senso di questa novità. La spiegazione è semplice: la gente, arci-stufa di questa palude, ha deciso di dare un segnale forte: nessuno è mai riuscito a “rottamare” i leaders storici, incollati alla poltrona nonostante la sequela di errori (e sconfitte) che hanno inanellato. Renzi ha un curriculum d’antan: è cresciuto nei partiti (Margherita prima, PD poi), ed è vissuto solo di politica. Eppure è percepito come una ventata di freschezza. Il mio sesto senso (supportato da qualche esplorazione empirica) mi dice che Renzi è saltato a piè pari oltre lo steccato che separa gli ‘ex-comunisti’ dagli ‘ex-democristiani’. È la prima volta, nella breve storia del PD. Le categorie ideologiche che credevamo ossificate si stanno sciogliendo come ghiaccio al sole. Questo è un bene.

Ma c’è dell’altro. La gente è arci-stufa anche dei partiti. Spesso chi va a votare salva il leader (Renzi) nello stesso istante in cui condanna il partito (il PD). E questo invece è un male. Non sono un simpatizzante del PD, anche se – forse – sarò costretto a votarlo. Parlo da fan della buona politica. Se non riformiamo i partiti, affonderà tutto. Ma qui bisogna incidere sulla carne viva…

In sintesi, allora: se rivoluzione democratica dev’essere, lo sia con tutti i crismi, e si vada fino in fondo. Il problema è che occorre un salto di qualità: dal piccolo cabotaggio ai massimi sistemi. Un salto quasi proibitivo per le gambe gracili di un Renzi: lui è costretto a stipulare accordi con un signore, Berlusconi, che ha fondato le sue fortune sul partito-azienda, proprietà personale del leader. Personaggi del genere (purtroppo non è l’unico) sono nemici giurati di qualsiasi riforma possa sottrargli l’osso.

Il problema è antico. L’art. 49 della Costituzione – “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” – è di una chiarezza cristallina. Ma cosa s’intenda per “metodo democratico”, i Padri costituenti lo hanno detto solo in parte. L’enfasi è sulla legalità e sulla correttezza nei rapporti tra i partiti: no alla violenza e all’intimidazione; obbligo di rispettare la legge nelle competizioni elettorali ecc. Non hanno specificato de jure il modello di organizzazione del partito (secondo l’interpretazione corrente, a causa dell’opposizione comunista: il PCI non intendeva rinunciare al centralismo democratico/burocratico di matrice leninista).

Una legge fatta bene, a suo tempo, avrebbe reso impossibile i fenomeni Berlusconi e Grillo, due facce della stessa medaglia. Ma pensiamo al futuro: urge una legge ordinaria che disciplini la vita interna dei partiti. Solo così daremo attuazione compiuta allo spirito e alla lettera della nostra Costituzione. (a) Che tutte le cariche, all’interno dei partiti, siano elettive, secondo procedure definite per legge; (b) che tutti i candidati al parlamento siano scelti dagli iscritti in maniera trasparente (“parlamentarie”). Insomma: la regola che vale per il capo, deve valere per tutti. E qui casca l’asino: anche Renzi dà l’impressione di volere un Parlamento di nominati. Leggo commenti bizzarri: ‘è naturale che Renzi voglia blindare la sua leadership’. Ottimo, non c’è che dire: è così che si soffoca sul nascere questo barlume di rivoluzione democratica. Un leader eletto da milioni di persone che non accetta un confronto democratico all’interno del suo partito, rinnega il principio che l’ha proiettato al vertice: la legittimazione politica nasce solo e soltanto dal consenso misurato oggettivamente (mediante il voto).

Alcune affermazioni di Renzi portano acqua al mulino della restaurazione. Ammesso – e non concesso – che il problema, oggi, sia costituito dal ricatto dei partiti piccoli, Renzi non può polverizzare ogni forma di dialettica democratica. Consideri cosa buona e giusta far sparire 3-4 partitini dalla scena politica? È legittimo. Ma allora, per coerenza, devi mettere in conto che la dialettica verrà riassorbita nei partiti maggiori. Se non lo fai, e vinci, inaridisci il panorama e indebolisci anche la tua leadership. E infatti ciò è precisamente ciò che avviene negli USA, modello di riferimento dei democrats nostrani: là è impensabile che si affermi un partito socialista all’europea. E quindi nel PD statunitense sono confluite anche correnti di ‘estrema sinistra’. Sanno che non potranno mai esprimere un Presidente, ma faranno di tutto per condizionare l’elezione di un candidato in pectore che sia il più vicino possibile a loro. Ora, è disposto Renzi a tollerare questo? Se la sua idea di democrazia governante è quella statunitense, ebbene… i ricatti (se tali possiamo definirli) non proverranno più dai partiti minori, bensì dalle correnti organizzate all’interno del PD. Della serie: se non è zuppa, è pan bagnato. Insisto: se vuoi eliminare i partitini, caro Renzi, devi esser pronto a riconoscere un gran peso alle correnti nel tuo partito. E quello che hai cacciato dalla porta, rientrerà dalla finestra. Allora ti suggerisco di cambiare linguaggio: questa che tu fustighi chiamasi politica democratica. Ovvero: vince, e poi governa, chi sa mediare, chi scende a compromessi; non chi prevarica e impone il pensiero unico. Osservate Obama: ha forse il piglio del decisionista, nel senso che tira dritto per la sua strada? No davvero. Non potrebbe permetterselo.

Caro Renzi, ll “pericolo” della paralisi decisionale non lo scongiuri circondandoti di una corte di parlamentari a te fedeli. Con il modello cesaristico (che è quello berlusconiano) creerai una voragine tra partito/politica e società civile e, alla fine, avrai rinnegato quella stessa rivoluzione democratica che hai avviato. Hai ragione a dire che che l’Italia ha bisogno di trasformarsi in una democrazia governante – noi socialisti lo diciamo dagli anni Ottanta. Ma impara dalla storia democratica: se vuoi sconfiggere la paralisi dei veti incrociati, devi mettere in campo una serie di qualità e comportamenti che non hanno nulla a che fare con la furbizia: il carisma, la capacità politica, le idee forti; la disponibilità al confronto e al dibattito culturale.

Edoardo Crisafulli

fondazione nenni

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