“Delfino ma non squalo”

Archivio Fotografico Fondazione Nenni
Archivio Fotografico Fondazione Nenni

-di ALESSANDRO SILVESTRI-

“Tutti sanno, nessuno ricorda. Io so poche cose, ma le ricordo benissimo.”Con questa frase si conclude il libro autobiografico di Claudio Martelli “Ricordati di Vivere”.

Il delfino di Craxi (mai diventato squalo) il bel tenebroso professorino di lettere e filosofia, studioso di Mazzini e di Bayle, appassionato della Yourcenar, di cinema e di teatro che un bel giorno incontra, dopo l’ennesima passione, quella per la politica, colui che lo porterà laddove nemmeno egli stesso si sarebbe mai aspettato.
Noi che abbiamo vissuto in presa diretta quella stagione (ero un giovane militante del MGS all’epoca) lo ritenevamo un po’ il nostro “Che Guevara” laico e riformista (e anche la foto scelta per la copertina del libro spiega questa apparente iperbole). Un esempio reale, in carne ed ossa, della rivoluzione culturale della borghesia europea che aveva preceduto e attraversato il caotico ’68.
L’ex giovane repubblicano (come Pietro Nenni) che ebbe un qualche influsso sul rinnovamento politico del PSI, quando a destra e sinistra imperversavano e pontificavano sulla scena politica e culturale, molti ex-repubblichini.
Il dirigente politico che ebbe un ruolo nel PSI specialmente nel riscoprire il rapporto con i pezzi mancanti della mancata Epinay italiana (radicali, socialisti liberali, ambientalisti, repubblicani e socialdemocratici) ma che senza ombra di dubbio, dette il meglio di sé come ministro di Grazia e Giustizia, allorquando (ma il tempo stava inesorabilmente per scadere) mostra tutta la sua preparazione civile e politica nell’individuare gli strumenti necessari per combattere efficacemente la mafia.
O quando per primo, si occupa di dare una veste legislativa al fenomeno dell’immigrazione dei “dannati del mondo” e lo fa attraverso l’attento e scrupoloso vaglio dell’esperienza degli altri paesi occidentali, che hanno più e da più tempo, dimestichezza col problema.

Un ulteriore mossa vincente, fu quello di valorizzare le capacità professionali di un altro grande e tragico protagonista di quella stagione. Giovanni Falcone. Il giudice che organizza finalmente le fila della magistratura in prima linea, con elementi di novità e di efficienza mai visti in Sicilia e in Italia, elementi che se da un lato porteranno al successo di eco mondiale del “maxi processo” contro “cosa nostra” per altri versi, lo metteranno in condizione di essere ferocemente denigrato e assalito, dalla torma latrante dei c.d. “professionisti dell’antimafia” come Leonardo Sciascia, aveva definito politici, giornalisti e magistrati politicizzati che su questo “mestiere” basavano le loro fortune personali, senza in realtà fare niente di realmente utile alla destrutturazione del fenomeno.

Dal racconto in prima persona, forse in qualche passaggio (come è prevedibile in ogni autobiografia che si rispetti) incline ad una peraltro lieve autoindulgenza, emergono spaccati sociali, politici e personali, utili in ogni caso al ricercatore di storia contemporanea.
Una storia cinica, beffarda e tendente a barare, come da antologia della claudicante e bugiarda storia d’Italia.
Un racconto dove emerge (semmai ce ne sia ancora bisogno) che ad un certo punto, dopo il crollo sovietico del biennio 1989-1991, venute meno le briglie di acciaio di Yalta, per dissoluzione di una delle parti, l’unica potenza rimasta in campo e in ottima salute, iniziò a smantellare le ragioni del bipolarismo mondiale, in favore di una sostanziale egemonia economica degli USA e dei suoi fedelissimi alleati, che divenne onnivora senza che, come costume nei vari teatri del neo-colonialismo imperialista (non ultimi il caso “Echelon” e la rete di spionaggio venuta a galla nel 2013 sui principali governi europei) si risparmiassero tutti i tipi di mezzi che giustificassero il primato americano.
In Italia, vi è una lunga scia di sangue, di stragismi e di depistaggi che evocano la costante presenza di un “Big Brother” su questa sorta di protettorato di primaria importanza strategica. Da Mattei a Falcone e Borsellino, passando per Moro e la lunga teoria di croci e lacrime disseminate sulla penisola. Come durante la c.d. operazione “mani pulite” dove furono quasi 50 i suicidi e i suicidati di quella stagione di terrore mediatico, giudiziario e militare; senza contare il supporto della “cavalleria” mafiosa che si occupò da sud di completare l’opera di de-sovranizzazione politica, morale ed economica del paese.

Martelli compie qualche piccolo errore di memoria (a dispetto dell’incipit del libro) come quando si assume in prima persona i successi giovanili nello IUSY, e quelli della conferenza di Firenze del 1971 sulla pace e la sicurezza in Europa, realizzato dalle organizzazioni politiche giovanili di tutto il mondo, e segnatamente da quella socialista e comunista, riportando come una sua intransigente e personale vittoria l’inserimento nel documento finale, della condanna dell’invasione sovietica in Cecoslovacchia. Felice Besostri (riportato erroneamente Besozzi in una foto, ma di errori sui nomi ce ne sono diversi nel libro) che all’epoca era il responsabile esteri della FGSI e aveva lungamente lavorato (come sua abitudine che ancora resiste, come abbiamo recentemente constatato con la battaglia in Corte Costituzionale contro il “porcellum”) sia sulla IUSY che per preparare la conferenza in questione, fornisce tutt’altra versione:
“La discussione rispetto al tema, si basò sul testo preparato dai giovani socialisti tedeschi che parlavano dell’invasione (einmarsch) sovietica, ma alla fine il testo finale fu chiuso con la formula <di diverse e contrastanti valutazioni> sulla questione che evitò ulteriori strappi e l’abbandono della numerosa delegazione comunista internazionale. La conferenza fu certamente comunque un successo politico per i socialisti, ma a prepararla facendo tante volte spola tra Roma, Milano e Firenze, nei mesi precedenti, non fu certo Martelli.”

Lo stesso Tamburrano sul Blog della fondazione Nenni, lo redarguisce (anche per altre questioni) per essersi attribuito la riforma dello Statuto del partito nelle giornate precedenti il congresso di Palermo del 1981, che introduceva l’elezione diretta del segretario al congresso a dire del professore, farina del suo sacco. In ogni caso al di là della paternità, un errore clamoroso per la storia e la cultura politica del PSI. Gli organismi svuotati della loro piena funzione politica (compreso quella di eleggere o di sfiduciare il leader) diventano consessi inutili e clientelari. O non fu forse lo stesso Craxi ad essere eletto segretario soltanto 5 anni prima al Midas, dalla Direzione del partito?

Oppure errori per omissione, quando riferendosi alla sua azione per moralizzare la vita pubblica e segnatamente quella dei partiti, si dimentica della analoga battaglia intrapresa anzitempo dal suo compagno e collega vice-segretario, Valdo Spini che nel corso della carriera parlamentare presenterà ben 8 proposte di legge sulla trasparenza del finanziamento ai partiti e all’attuazione dell’art. 49 della Costituzione. Puntualmente inascoltato da Craxi e dai vertici del PSI (quindi dallo stesso Martelli evidentemente) ha sostenuto più volte durante gli anni “..fu probabilmente anche a causa della mia proposta di Legge n° 1995 del 1° agosto 1984, che mi giocai la vice-segreteria del PSI.” Chiedendogli dei suoi rapporti con Martelli in quel periodo, fornisce un lapidario “arrivavo in via del Corso alle 8.00 del mattino, Martelli prima di mezzogiorno non si vedeva mai…”.
Mancano molti passaggi storici interessanti anche rispetto all’ascesa inarrestabile di Craxi, tutto il periodo dalla prima elezione in parlamento del 1968 fino alla lunga vice-segreteria, gli anni come capogruppo alla Camera, alla sua importante funzione infine, come responsabile esteri del partito sulla quale costruirà una solida rete di relazioni internazionali, utili poi ai socialisti e all’Italia nel periodo della guida del partito e del governo. Ma ci auguriamo che segua presto almeno un saggio su quegli anni.

Il binomio Craxi/Martelli, anche al netto di errori e di bassezze umane, della preponderanza di Bettino rispetto all’eterno successore (azzoppato poi al momento più inopportuno possibile) dell’ascesa fino ad un certo punto inarrestabile, e della caduta rovinosa che nessuno si sarebbe aspettato, ha rappresentato il momento più alto e dinamico della politica italiana del dopoguerra, e resta tutt’oggi un tema da scandagliare ancora per trarne insegnamenti politici di grande attualità. Con la certezza che le battaglie dei socialisti, nella lotta politica nazionale pur senza esclusione di colpi, non furono di un male contro altri mali, e nemmeno un male minore, ma più propriamente, la lotta spesso impari del bene contro il male, senza nessun lieto fine, e per i protagonisti, e per l’Italia.

« Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere. » Così scriveva Gaetano Salvemini nella prefazione al suo “Mussolini diplomatico” del 1932.
Un precetto e un insegnamento che dobbiamo sempre tenere a mente. Specialmente quando si tocca un tema molto delicato come la narrazione storica.

Premesso questo, i nostri “ragni di Marte” ovvero i socialisti italiani che hanno provato a rendere questo paese al pari delle più grandi democrazie mondiali, meritano tutto il rispetto del paese e quantomeno, l’onore delle armi.

Quanto prima accadrà che quelli come Claudio Martelli torneranno alla politica attiva e quanto prima il governo italiano concederà i funerali di Stato a Craxi, le scuse alla famiglia e ai suoi compagni, e la piena e totale riabilitazione politica, tanto prima avremo la certezza di aver superato la deriva cleptocratica e maramaldesca che ha portato l’Italia al disastro.

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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