Il tramonto di un’epoca gloriosa?

Il Governo Monti suscita rancori e frustrazioni. Accantoniamo il giudizio politico su come sta operando. Voliamo più alto. Cosa ci insegna l’esperienza – necessitata dalle circostanze — del governo tecnico? Assitiamo al tramonto di un’epoca storica, quella in cui le élites politiche di ogni colore ‘’compravano’’ il consenso mediante la spesa pubblica. Non voglio dire che siamo stati governati all’insegna del panem et circenses. I governi social-democratici, in Occidente, hanno civilizzato un capitalismo gretto e brutale. Il ‘900 non è solo il secolo del colonialismo, delle guerre mondiali e degli stermini di massa; è anche il secolo della civiltà social-democratica che ha realizzato una conquista storica: il Welfare State. Noi occidentali siamo figli del compromesso fra Stato e mercato. Non c’è rosa senza spine: la spesa pubblica è cresciuta a ritmi vertiginosi, quasi insostenibili. A partire già dagli anni ’30, con il New Deal negli USA e le politiche keynesiane in Europa, e sempre più massicciamente nel dopoguerra. Tant’è che lo Stato, indebitato fino al collo, è ormai ipertrofico, si muove goffamente come un culturista dopato. I liberisti vorrebbero snellirlo, restaurando la libertà assoluta del mercato; i socialisti vedono solo le follie del capitalismo finanziario, e ripropongono la vecchia ricetta keyenesiana. Questo il bandolo della matassa: l’intervento dello Stato si regge su una premessa: il capitalismo genera ricchezze incessantemente, si tratta solo di redistribuirle con equità. Ne consegue che la tassazione è il cuore di ogni politica progressiva. Se però vien meno quella premessa – se il capitalismo si avvita su sé stesso o rallenta la sua corsa travolgente – allora traballa tutto. Le risorse per il Welfare State si assottigliano. Ed è ciò che sta accadendo.

Il motore keynesiano si è inceppato. E anche quando potrà ripartire, non avrà più l’antica potenza. Non è la morte della social-democrazia, annunciata da almeno un secolo. Il punto è che le politiche keynesiane, da sole, non basteranno più ad assicurare benessere a tutti. Pensiamo all’espansione vorticosa della spesa sanitaria: un posto letto in ospedale, senza gli annessi e connessi, costa 400 euro al giorno. Viviamo di più, e vogliamo vivere meglio. Aspirazione legittima. Ma come garantirla a tutti? E quando dico a tutti, intendo proprio tutti: agli immigrati di casa nostra e ai pariah del terzo e del quarto mondo, che vivono in condizioni miserabili.

Il problema di fondo? Siamo succubi di un modo di pensare tradizionale, che non collima col mondo reale. C’è una carenza del pensiero socialista, già presente in Marx: si teorizzano i modi della conquista del potere, cioè della distruzione dello Stato borghese; si teorizzano i modi della redistribuzione del reddito nazionale, cioè dell’accapparramento delle risorse esistenti. Ma si teorizza poco o nulla sulle modalità di creazione di nuova ricchezza. Non solo non è mai esistita una teoria marxiana dello Stato. Non è mai esistita una teoria socialista compiuta, organica, del ‘’modo di produzione solidale’’. I soviet altro non erano che aziende private passate sotto lo Stato. L’unica forma produttiva liberal-socialista, la cooperativa, vivacchia stancamente. E così abbiamo navigato a vista per oltre settant’anni, affidando le nostre sorti alla vitalità intrinseca del capitalismo. È comprensibile quindi che la social-democrazia sia in affanno. Il che non autorizza a rinnegarla o a sminuirne le conquiste storiche. Sono convinto che la civiltà social-democratica reggerà all’onda d’urto di questa crisi finanziaria. Ma a una condizione: che riesca a dar vita a un’economia robusta e solidale. Senza produttività e lavoro, non c’è teoria socialista che tenga: generalizzeremmo la miseria, come osservava Marx. E senza forme di solidarietà nella sfera economica, l’ideale di giustizia va a farsi benedire. Alcune risposte possono venire dall’economia di comunione e dal cooperativismo socialista. Dobbiamo sostenere e incoraggiare le imprese che investono gli utili in servizi di utilità pubblica: assistenza agli anziani, ai malati terminali, ai ragazzi che abbandonano la scuola dell’obbligo. Dobbiamo incoraggiare e sostenere le cooperative del terzo settore. Solo così produrremo ricchezza comunitaria. Ricchezza spirituale e non solo materiale. Produrremo cioè servizi indispensabili al nostro benessere, sgravando lo Stato di quello che è diventato un fardello troppo pesante. Una piccola cooperativa può alleggerire un ospedale pubblico elefantiaco, ospitando una certa tipologia di degenti, quelli che non richiedano cure specialistiche. E lo farebbe con meno di 400 euro al giorno. Il servizio sanitario ne guadagnerebbe in umanità: in una struttura accogliente, l’ammalato non sarebbe solo il numero della tessera sanitaria, bensì una persona in carne ed ossa, con un nome e un’identità.

Edoardo Crisafulli

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

One thought on “Il tramonto di un’epoca gloriosa?

  1. Pezzo eccellente, che rispecchia mie vecchie idee sul socialismo “produttivista” rispetto a quello “distribuzionista”, e sui limiti di un punto di vista che rinuncia ad occuparsi del controllo e della gestione dei mezzi di produzione per accontentarsi di intervenire sui loro proventi. D’altronde, siamo in un’epoca in cui anche a sinistra, forse soprattutto a sinistra, la maledizione della tecnologia e dello sviluppo e dell’economia industriale sono all’ordine del giorno, insieme con le fantasie sulla “decrescita felice” che oscurano o legittimano una realtà in cui a farsi avanti è una povertà strisciante ma non meno devastante per larghi settori della società.

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