M’è sempre rimasto impresso il titolo di un saggio di Pasquale Salvucci, Politicità della filosofia. In questi ultimi anni ho pensato che fosse necessario scriverne uno intitolato Politicità della politica. Un titolo ridondante di proposito, e a proposito: il Governo pseudo-tecnico di Monti è l’ennesimo affluente di quel fiume carsico che è l’anti-politica. Possibile, mi domandavo, che nella patria di Machiavelli – il più geniale teorico del realismo politico – si debba spiegare che la politica ha una sua logica ed è governata da leggi specifiche? Riflettendo meglio, mi sono convinto che gli italiani siano più maturi e consapevoli di quanto non si creda. L’antipolitica c’è, eccome se c’è. Ma si intreccia a una domanda genuina di politica democratica e pulita. La prova di ciò è proprio nell’atteggiamento verso il governo Monti, divenuto impopolare a causa di scelte politiche (tassazione folle e iniqua, stagnazione economica). Questo governo si regge su stampelle solide: una maggioranza parlamentare trasversale. Gli italiani l’hanno capito e quindi la sanzione democratica per eccellenza, la revoca della propria fiducia, l’hanno comminata agli azionisti di maggioranza di Monti — PDL, PD e Terzo polo –, come s’è visto nelle ultime amministrative. Questo è un paradosso: un governo tecnico, cioè super partes – che non è un governo di larghe intese, o una grande coalizione – non dovrebbe subire o causare contraccolpi di tal genere. Gli italiani, che non sono stupidi, non si sono fatti gabbare. Nessun governo può prendere decisioni meramente tecniche, ispirate a criteri oggettivi – come se l’Italia fosse una gigantesca azienda commissariata, e l’economia politica una scienza esatta che non consente una pluralità di soluzioni.
Questo governo è politico, e non solo perché ogni governo lo è per definizione. Lo è anche in un senso da molti reputato deteriore: si è ispirato alla logica spartitoria del manuale Cencelli. Nessun Ministro viene dalla luna, ognuno ha la sua storia politica. E, soprattutto, ognuno ha (ed è a sua volta) un Santo protettore. Nonostante ciò, il governo Monti non è caduto in discredito. Perché? La ragione è lapalissiana: un governo composto da personalità d’eccezione, preparate e professionali, suscita rispetto. Monti e i suoi Ministri, quando hanno effettuato nomine politiche, hanno tenuto in gran conto le competenze tecniche dei loro candidati. Gli italiani rispettano chi sa volare alto. Gli italiani non sono contrari alle nomine politiche di per sé; sono visceralmente contrari ai legulei, ai fanfaroni, agli incompetenti. È da vent’anni che una pletora di falliti – a destra come a sinistra – si dà alla politica solo perché è redditizia — si pensi a Renzo Bossi: un fannullone senza arte né parte, catapultato dal padre in Consiglio regionale, guadagnava come un mega dirigente; i giovani ricercatori, invece, non sbarcano il lunario e, se hanno fortuna, dopo anni di apprendistato intellettuale guadagnano poco più di un metalmeccanico.
Gran parte di quella che siamo soliti chiamare antipolitica non è un rifiuto della politicità della politica. È anti-partitismo. È una rivolta anti-sistema. È un rifiuto della casta ingessata che tira i fili della nostra vita politica nazionale da un ventennio. È una rivolta morale e civile contro un ceto politico di mediocri che coopta e nomina figure ancor più mediocri. La soluzione all’antipolitica, cancro della democrazia? L’attuale classe dirigente deve farsi da parte, e passare il testimone alle nuove leve. E la politica deve cambiar registro: bisogna che la meritocrazia sia la norma, non l’eccezione. I vecchi partiti della Prima Repubblica sapevano selezionare una classe dirigente. Mai e poi mai si sarebbero consegnati disarmati ai poteri occulti della finanza internazionale. Il dramma della Seconda Repubblica è tutto lì: essa è retta da una classe politica affetta da nanismo (un mix tra rimasuglio di quella vecchia, per lo più figure di secondo piano, e un manipolo di homines novi), riciclatasi in partiti artificiali, privi di qualsivoglia cultura politica. Non è mai stata classe dirigente nazionale (la Lega Nord, l’unica composta quasi solo di homines novi, non ha mai voluto esserlo per statuto). È così non ha goduto di quella legittimità più ampia – la stima, la fiducia, il rispetto – che rafforza il consenso espresso col voto. Da troppi anni la gente vota turandosi il naso. Ma i politici, appena eletti, si illudono che l’antipolitica non li riguardi più.
Il vero pericolo democratico, oggi, non è Grillo, bensì l’astensionismo di massa. Il caso Parma lo conferma: la vittoria del Movimento 5 stelle non è solo frutto di antipolitica; è anche voglia di un’alternativa. Di politica autentica, che parta dal basso, dal sottosuolo, dalle radici. Gli inglesi la chiamano ‘grassroots politics’, quintessenza della democrazia liberale. E infatti Grillo, senza destar scandalo, ha riaffermato – e non già negato – la politicità della politica. Cos’è la sua fatwa contro un dirigente espulso dal movimento 5 stelle, in odore di nomina nel Comune di Parma, se non un atto politico da cima a fondo, conseguente alla logica dell’affiliazione al clan? Grillo si è comportato come i politici di lungo corso: poiché il dirigente in pectore è persona non grata, gli va sbarrata la strada. Grillo se n’è infischiato della competenza tecnica. Mentre il neo-eletto Sindaco di Parma difende il dirigente scomunicato proprio perché ha un ottimo curriculum. Certo, il Sindaco s’è impuntato anche per tutelare la propria autonomia. Ma c’è di più: il Sindaco riconosce che “quel dirigente è di ‘area’, è uno dei nostri, è uno dei fondatori del movimento 5 stelle in Emilia-Romagna.” Questo è un passaggio cruciale. Il dirigente sgradito a Grillo è, al tempo stesso, qualificato per l’incarico e in linea col movimento. Il Sindaco rivendica il diritto storico della politica di collocare la persona giusta al posto giusto. E dimostra di saperlo fare, conciliando in maniera esemplare le ragioni della politica con quelle della tecnica. Il messaggio è rivoluzionario. La politica non è affatto obbligata a scegliere i mediocri e i falliti. E, se ha il coraggio di scegliere i migliori, non è neppure costretta a negare la politicità delle proprie scelte.
La politica può tornare a essere una fucina di persone preparate e oneste, con senso dello Stato. La sinistra, se vuole tornare al centro dell’agone politico, deve meditare sul caso Parma: gli italiani dai politici pretendono, oltre all’onestà, preparazione culturale, competenza tecnica, capacità politica e fede (laica) in un ideale.
Edoardo Crisafulli