Mani pulite e coscienza sporca

Un tempo si “rubava” per fare politica; oggi si fa politica per “rubare”.  Questa, detta brutalmente, la differenza tra Prima e Seconda Repubblica. Ed è una differenza abissale. Un tempo il fine era la politica; oggi è il denaro. Un tempo c’erano ideali; oggi c’è solo il vile interesse personale. Il mezzo, insomma, è diventato il fine. C’è dunque una relazione causale tra le due cose? Certo che c’è: il mezzo scorretto, prima o poi, fagocita il fine. Questo i riformisti l’hanno sempre saputo. La lezione la conosciamo: giammai in democrazia porre un mezzo illecito – la corruzione, la violenza ecc. – a servizio di un fine nobile. Nella Prima Repubblica i partiti crearono un giro vorticoso di denaro. Gli affaristi della peggior risma ne furono inebriati, sicché nidificarono come avvoltoi in tutti i partiti. Ciò non toglie che c’è una diversità ontologica fra le due Repubbliche. Nella prima, l’arricchimento personale, benché dovuto in parte a una decisione politica (l’uso improprio e smodato del denaro), era una degenerazione del sistema; nella seconda, l’arricchimento personale è la norma, la naturale conseguenza dell’agire politico. Le accuse a Bossi e alla sua famiglia, se provate, sarebbero la dimostrazione eloquente di questo ragionamento: denaro pubblico che doveva avere finalità politiche (rimborsi elettorali) è servito per ristrutturare ville, pagare vacanze, comprare diplomi e lauree, finanziare scuole private ecc.  La classe politica della Prima Repubblica non era mai scesa così in basso: i dirigenti politici avevano un codice etico: il partito – da questo punto di vista Stefania Craxi ha ragione da vendere: oggi Bossi viene trattato con i guanti di velluto (ah, la malattia! Ah, l’amore per i figli!); Bettino, che non intascò una lira (lo dissero anche i Magistrati di Mani Pulite), finì alla gogna… Oggi sì che ha senso porre la ‘questione morale’!

Se ‘decostruiamo’ il verbo “rubare” – usato impropriamente per categorizzare fenomeni diversi – capiremo meglio la distinzione tra Prima e Seconda Repubblica. Si urlò ai quattro venti che i politici della Prima Repubblica rubavano, perché agli homines novi – che sventolavano cappi e gettavano monetine – non conveniva che si ragionasse. Bisognava demonizzare. L’obiettivo era azzerare una classe dirigente per sostituirla con un’altra. Guai a distinguere tra finanziamenti illeciti ai partiti – a tutti i partiti – e arricchimento personale, che riguardava solo i faccendieri. Ragionando così si sarebbe scoperchiato il vaso di Pandora e ne sarebbero usciti guai per tutti. Qualcuno avrebbe potuto domandarsi: “c’è forse una correlazione tra le tangenti ‘nazionali’, quelle con cui si foraggia il PSI (ma non solo lui!), e il fiume di denaro sporco proveniente dall’estero, da Washington (per la DC) e da Mosca (per il PCI)?” Molto più utile pescare nel torbido. Molto più utile scandire lo slogan: ‘fuori il bottino, dentro Bettino’. I socialisti sono una banda di ladri, punto e basta.

Ora che sono passati vent’anni da Tangentopoli, gli studiosi dovrebbero distinguere tra le due fattispecie, finanziamento illecito e arricchimento personale. Chi versa una tangente al partito viola la legge; ma chi se la intasca, oltre a violare la legge, è un ladro a tutti gli effetti. Il verbo “rubare”, insomma, s’attaglia perfettamente a questo secondo caso. Ma la gente non la vede così: oggi chiunque si appropri del denaro pubblico, sia pure a fini politici, è bollato come un ladro. La gente, questa volta, ha capito un punto essenziale: lo spartiacque tra Prima e Seconda repubblica è la caduta del muro di Berlino. Da quel momento in poi, è infinitamente più grave esigere tangenti. Se gli studiosi ascoltassero la gola profonda del Paese, e riflettessero davvero sulla Prima Repubblica, lo dovrebbero ammettere: fu la Guerra Fredda a scatenare la corsa frenetica alle tangenti. Così nacque un’economia melmosa, parallela a quella ufficiale. Gli elettori italiani chiusero un occhio proprio perché sapevano che in ballo c’era la difesa della democrazia e della libertà.   Oggi, invece, non c’è nulla – assolutamente nulla – che giustifichi la corruzione politica. E non c’è neppure una campagna mediatica denigratoria, come quella che subirono i socialisti, né c’è un’opposizione algida e incorrotta che scalpita per strappare lo scettro a chi comanda. A rigor di logica, oggi possiamo – anzi: dobbiamo – usare il termine “rubare” senza problemi. Chiunque pretenda una tangente per il proprio partito è un ladro. E chiunque la pretenda per sé e per la propria famiglia è un ladro all’ennesima potenza. Ma la sinistra maggioritaria questo non lo può dire: chi ha sostenuto Mani Pulite (o ne ha beneficiato), ha la coscienza sporca.

Edoardo Crisafulli

fondazione nenni

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