In un articolo pubblicato il 31 marzo sul “Corriere della Sera”, Piero Ostellino ha scritto che sotto il cielo grande è la confusione a motivo del fatto che “ permane la cultura politica anticapitalista , retaggio del Novecento totalitario e del pasticciato compromesso socialdemocratico – la terza via fra comunismo e liberalismo – con la quale le democrazia avevano creduto di rispondere sia alla crisi economica del ’29 sia al pericolo comunista , cancellando parte delle libertà dell’Ottocento liberale”.
Le osservazioni da fare , di fronte a queste perentorie affermazioni, non sono poche né di poco conto. Prima di tutto, non si vede motivo alcuno per avere nostalgia per l’Ottocento liberale. E per varie ragioni, la principale delle quali è che il liberalismo dell’Ottocento era rigorosamente classista. Sul punto, la prosa di Benjamin Constant è di una tale franchezza da rendere superfluo ogni commento: “ La proprietà sola rende gli uomini capaci di esercitare i diritti politici . Solo i proprietari possono essere cittadini … Quando i non-proprietari hanno dei diritti politici, accade una di queste tre cose : o non traggono impulso che da se stessi e allora distruggono la società, o la traggono dall’uomo o dagli uomini al potere e sono strumenti di tirannide , o la traggono da coloro che aspirano al potere e sono strumenti di fazione”.
Ebbene: proprio quello che Ostellino chiama il “pasticciato compromesso socialdemocratico” ha posto fine all’iniquo liberalismo proprietario. Lo ha fatto allargando il perimetro borghese dello Stato costituzionale e universalizzando la fruizione dei diritti civili, politici e sociali. Tant’è che Ralf Dahrendorf – uno studioso che non può essere accusato di simpatie collettivistiche — non ha avuto esitazione alcuna a definire la creazione del Welfare State – nato dalla fertile collaborazione fra la cultura liberale e la cultura socialista – la più benefica rivoluzione dell’intera storia dell’umanità. Non diverso l’apprezzamento della rivoluzione welfarista fatto da George Soros in nome della filosofia politica di un grande pensatore liberale quale è stato Karl Popper. Lo stesso Soros ha vivacemente polemizzato contro i “fondamentalisti del mercato” , che identificano, del tutto arbitrariamente, il liberalismo con il mercato autoregolato. E lo fanno dimentichi dell’ammonimento di Max Weber : “ Quando il mercato è abbandonato alla sua auto-normatività , esso conosce soltanto la dignità della cosa e non della persona , non doveri di fratellanza e di pietà, non relazioni umane originarie di cui le comunità personali siano portatrici. Queste costituiscono altrettanti ostacoli al libero sviluppo della nuda comunità di mercato ; e gli specifici interessi di questa, a loro volta , costituiscono lo specifico banco di prova di tutte queste relazioni”.
Un tale ammonimento – formulato da un pensatore che mai ha ceduto alla retorica anticapitalista – non è stato dimenticato, invece, dai partiti dell’Internazionale socialista quando hanno avuto modo di correggere la logica classista del mercato autoregolato. Il risultato è stato quello che il liberale Jeremy Rifkin ha giudicato “la più umana forma di capitalismo “ che sia stata finora realizzata. Dal canto suo, Edward Luttwak – altro studioso lontano da qualsivoglia simpatia per le idee dei nemici dichiarati dell’economia di mercato — ha documentato le conseguenze moralmente perverse del “turbocapitalismo” americano, nel quale, in omaggio ai principi del liberalismo dell’Ottocento, 45 milioni di cittadini vivono senza assistenza medica , mentre le distanze economiche fra le classi continuano a crescere in modo scandaloso. Ma c’è di più : la logica a-morale del mercato autoregolato ha fatto emergere un fenomeno che persino un convinto sostenitore della libera iniziativa privata come Amartya Sen è stato costretto a sottolineare, e cioè che “ in un Paese ricco come gli Stati Uniti c’è fame “.
Di fronte a tutto ciò, come non giungere alla conclusione che l’America sarebbe una società migliore con un po’ di “pasticciato compromesso socialdemocratico” ?
Luciano Pellicani
Nondimeno, la cd “socialdemocrazia” *è* stata un compromesso (tra il capitalismo e… cosa? si può dire la parolaccia?), di sicuro non è andata esente da problemi (a cominciare dal pensare che la distribuzione della ricchezza potesse essere un surrogato del controllo della medesima e della sua produzione), e di sicuro non è molto più riproponibile “tale e quale” del liberalismo dell’ottocento. Ora, il maggior successo dei fautori di quest’ultimo è diffondere pressoché nell’intera società l’idea che qualsiasi riflessione su un socialismo possibile che vada al di là delle idee di quello europeo-occidentale degli anni 1950-1990 significhi Pol Pot. Non è il momento di emanciparsi da questo punto di visat?
Luciano Pellicani, ma in due parole: cosa volevi dire… che il sistema economico “CAPITALISTA” è falliti, è imploso… ? che i popoli vengono derubati, massacrati… e messi in schiavitù? chi le contestazioni dei giovani americani ( 1 —- 99 —) Hanno ragione? che monti è il condottiero che porta la bandiera degli 1 – contro i – 99 ?
dimenticavo, gli stati uniti… non è un paese ricco! e se hanno ucciso Kennedy lo hanno ucciso ……….. e i titoli spazzatura ? anche i ladri possono essere ricchi… ma sono RICCHI?
Sottoscrivo la risposta di Pellicani a Ostellino. Tra l’altro, bisognerebbe ricordare a Ostellino, che tra le “liberta’ dell’Ottocento liberale” ci sono anche le cannonate di Bava Beccaris ai lavoratori in sciopero. I liberali hanno fatto molto per il progresso dell’Occidente, ma quando stigmatizzano la violenza dei regimi comunisti e fascisti – o denunciano l’inutilita’ o la dannosita’ del socialismo democratico – mostrano di avere la memoria corta. Quello che i fondamentalisti del mercato non vogliono capire e’ che: 1) il capitalismo esiste ancora perche’ e’ stato ripetutamente salvato dagli Stati nazionali; 2) il “pasticciato compromesso” tra libero mercato e stato sociale ha reso superflua la violenza sia da parte dei governanti che dei governati. Le critiche al socialismo che vengono da destra e da sinistra dimostrano che non e’ affatto vero che Historia est Magistra Vitae.