Quando i teorici della decrescita ci diranno quanto sarebbe bello fare un passo indietro e tornare ai ritmi di vita del passato, cerchiamo di ricordare quello che è successo in Italia nel 2012. Alcuni ecologisti rimpiangono la società dei cacciatori e raccoglitori del Paleolitico, altri sognano l’agricoltura di sussistenza delle società matriarcali del neolitico, altri ancora – meno estremisti – si accontentano del ritorno ad un modello di società antecedente alla rivoluzione industriale (il medioevo?). Ebbene, decine di migliaia di italiani hanno potuto sperimentare la vita a contatto con la natura: senza elettricità, senza telefoni, senza riscaldamento, senza acqua in casa, senza farmaci, con poche scorte di cibo, senza strade percorribili con automobili, ecc. Non sembrano così entusiasti.
Si aggiunga poi che – come notava il romanziere Michael Crichton nel bestseller “Stato di paura” – quando ci si trova nella morsa del freddo polare, non è facile riscuotere applausi e raccogliere consenso maledicendo l’effetto serra, rimproverando l’uomo di provocare il surriscaldamento del globo. Il giochino funziona meglio in estate, con le temperature intorno ai 40 gradi.
Purtroppo, la gente ha la memoria corta, e i decrescisti riconquisteranno le loro posizioni mediatiche quando saremo sotto gli ombrelloni, evitando però accuratamente di ricordare al pubblico i disagi che ha provocato il gelo di febbraio. Eppure, quello sperimentato da molti italiani in questi giorni è de facto uno dei possibili scenari della vita austera, semplice, sobria, a contatto con la natura, tanto decantata da Serge Latouche, Massimo Fini, Jeremy Rifkin, John Zerzan, e altri “nemici del progresso”. Gli anziani, i bambini, i poveri, i malati muoiono o rischiano di morire per il freddo? Beh, è quello che accadeva quando l’uomo viveva più in armonia con i ritmi della natura. Nelle società preindustriali un bambino su tre moriva per malattia, denutrizione, o freddo. Gli anziani erano pochissimi. L’aspettativa media di vita si aggirava intorno ai trent’anni. Epidemie, carestie, catastrofi naturali, flagelli del maltempo erano fenomeni a cui non si conosceva rimedio e che perciò si accettavano passivamente, o si “razionalizzavano” imputandoli a punizioni divine meritate (a chi non fosse convinto, non posso che consigliare la lettura di un classico come “La modernità e i suoi nemici”, di Piero Melograni).
Invece di perderci in mondi fantastici, guardiamo allora in faccia la realtà. Per fare funzionare una società con aspettativa di vita intorno agli ottanta anni, cittadini ben nutriti e in discreta salute, abbiamo bisogno di tecnologia avanzata e grandi riserve di energia. La carenza di energia uccide. Ma per gli ecologisti radicali, il petrolio fa schifo perché inquina i mari, il gas è immorale perché bisogna comprarlo da Putin, il nucleare è pericolosissimo per le radiazioni, il carbone fa male alle vie respiratorie, i termovalorizzatori sono il demonio in persona, le centrali idroelettriche deturpano il territorio montano, e infine le pale eoliche e i pannelli solari non inquinano ma… sono così brutti a vedersi! E allora cosa facciamo? Riscaldiamo a legna? Se due più due fa quattro, per fare contenti i primitivisti, sessanta milioni di italiani dovrebbero disboscare la penisola. E, visto che siamo egualitaristi e internazionalisti, la ricetta vale per tutti: sette miliardi di terrestri a caccia di alberi con seghe e accette. Senza scordare la selvaggina e la frutta di stagione, che sono alimenti più salutari degli animali di allevamento e degli OGM. Per un paio d’anni dovrebbero bastare…
Ma i “nonsensi” non finiscono qui. Le ideologie della decrescita sembrano fare breccia soprattutto all’estrema destra e all’estrema sinistra. In queste aree politiche si concentrano però anche gli elettori che lamentano di subire le peggiori conseguenze della crisi economica, la mancanza di stato sociale, di servizi, di lavoro. Ma non volevate la decrescita? La decrescita è recessione. La decrescita è povertà. La decrescita è deindustrializzazione. I decrescisti di destra e di sinistra dovrebbero fare festa quando le industrie delocalizzano, quando Marchionne trasferisce gli stabilimenti FIAT all’estero. (So bene che all’estrema sinistra ci sono anche “crescisti” convinti, i quali sono anti-capitalisti proprio perché vedono nel liberismo l’origine della crisi, ma è innegabile che oggi devono stare gomito a gomito con chi guarda più a Latouche che a Marx).
La temperatura è scesa sotto lo zero e ha iniziato a nevicare. Un fatto normalissimo. È inverno. Nel nord e nell’est dell’Europa succede per molti mesi tutti gli anni e la temperatura scende fino a trenta gradi sotto zero. Se un decrescista andasse in Siberia a dire che sarebbe bello rinunciare alla tecnologia, gli consiglierebbero un bravo psicologo. Forse, in Italia ci voleva il vento siberiano per tornare a ragionare, freddamente.
Riccardo Campa
Ben detto e ragionato. Che pensa del mio articolo “Dalla Siberia due gelidissime verità” (http://www.movisol.org/12news032.htm)?
Caro Flavio, ti ringrazio per la segnalazione. Ho letto il tuo articolo sulla questione energetica e, a mio avviso, non fa una grinza.
Caro Riccardo,
vorrei invitarti ad una conferenza che si terrà a breve a Berlino, sulla crisi economica e sulla sua soluzione tramite un New Deal globale, con enfasi sulle grandi opere ad alta tecnologia e sulla creatività umana. Parteciperanno vari esperti economici, scientifici, ecc. Tra di essi Poulinets, scienziato russo impegnato nella promozione di un progetto internazionale di previsione dei terremoti, con satelliti e stazione terrestri di misura. Potresti scrivermi all’indirizzo di posta elettronica associato a questo commento?
Vi segnalo anche un mio articolo pubblicato sabato sul Secolo d’Italia
http://www.vivamafarka.com/forum/index.php?topic=105538.msg1652203;topicseen#new
Egregio Alessandro Cavallini, mettiti anche tu in contatto con noi, tramite il sito movisol.org. Abbiamo dei dossier sul “global cooling” datati primi anni Novanta.
Ma quel che più importa è ciò che disse Guido Guidi, che apre un’altra finestra sul mondo della finanza fine a sé stessa, ma efficace strumento imperiale. Dobbiamo spezzare questa catena di bolle speculative, che continua a tenere la finanza in divorzio forzato dall’economia reale, sacrificando il bene comune.