Il posto fisso tutta la vita è monotono, anzi deprimente. E’vero, diciamocelo. Avete presente in che condizioni umane si trova un impiegato postale o di banca, un tornitore o un ferroviere dopo 35-40 anni di tran-tran quotidiano? E’ sopravvissuto a se stesso, ma a che prezzo? Il lavoro può e deve essere inteso diversamente e cambiarlo può aiutare a migliorare le persone.
Il presidente del consiglio Mario Monti insomma ha detto una banalità eppure si è alzato immediatamente il solito coro degli indignati di professione, quelli di giù-le-mani-dall’art.18.
In buona fede o in malafede si confondono le questioni, quella delle garanzie contro i licenziamenti politici e gli abusi di vario genere, e quella della elasticità del mercato del lavoro.
Probabilmente Monti, che si sta dimostrando tutt’altro che uno sprovveduto quanto a tecnica della comunicazione, ha scelto di terremotare un certo fronte conservatore, soprattutto nel sindacato, e nelle sue propaggini partitiche, dove a fronte di una efficace difesa dei lavoratori col posto fisso, si è fatto poco o nulla per i disoccupati e i precari, e tantomeno per riformare il sistema degli ammortizzatori sociali. Il fatto è che i primi a godere dei vantaggi di una illicenziabilità più teorica che reale (il muro si sgretola se la crisi morde davvero) sono proprio gli apparati dei sindacati e dei partiti dove da decenni nessuno resta a spasso.
In questa fase della crisi, che non è solo italiana, il fronte del “no e basta”, rischia di prendere una batosta e di favorire, se ci sono, progetti di liberismo più o meno selvaggio che si celano dietro l’offensiva del governo tecnico sul fronte della riforma del mercato del lavoro.
Sarebbe più saggio eliminare i tabù e discutere di tutto, accettando anche di scambiare la flessibilità in uscita con meccanismi reali di ricollocamento e di assicurazione economica contro la disoccupazione.
Forse converrebbe ripensare agli scatti automatici di carriera e di stipendio, quelli che rendono meno convenienti i cinquantenni rispetto ai ventenni, modulando le retribuzioni in modi diversi e forse converrebbe pure immaginare due tipi base di contratto di lavoro, uno a tempo determinato che vale 100 e uno a tempo indeterminato, il posto fisso, che vale 80, premiando così chi ha voglia, coraggio e possibilità di affrontare il mare aperto.
Alla fine l’ultrasettantenne Monti interpreta meglio degli apparatnick di sindacati e partiti il sentire comune dei giovani, quelli che un lavoro lo cercano e quelli che ce l’hanno mentre la crisi se ne infischia dei tabù. E così piano piano, probabilmente i giovani cominceranno a vedere in Monti un loro paladino nei fatti, al contrario di chi si crogiola nelle “narrazioni” o lancia anatemi più o meno colorati di rosso.
Carlo Correr