I BRIC e noi

 A proposito del contributo di Giuseppe Tamburrano Le bateau ivre, pubblicato su questo blog, vorrei aggiungere che i Paesi BRIC – Brasile, Russia, India e Cina – sono sempre più portatori di istanze comuni all’interno dei consessi dedicati alla governance internazionale, quali il G20 e l’ONU. Di fatto, pur differenziandosi su molti aspetti, i BRIC sono accomunati dal crescente ruolo positivo che intendono giocare sia nelle istituzioni multilaterali e sia nel commercio mondiale.

Tra questi, il Brasile appare maggiormente avviato su un sentiero di prosperità. Si tratta di un Paese che sta consolidando una crescita decennale, fondata su passaggi importanti quali l’avanzo primario dei conti pubblici, i tassi di cambio flessibili, una Banca Centrale autonoma dalla politica e con un preciso target di lotta all’inflazione. Ricco di risorse naturali, con una popolazione giovane e sempre meno diseguale in termini di reddito, il Brasile gode sia a livello regionale che mondiale di ottime relazioni diplomatiche. Di contro, la scarsa dotazione di infrastrutture di cui dispone, potrebbe rallentarne lo sviluppo.

La Cina si configura come il possibile leader dei BRIC. Entrata in punta di piedi nell’organizzazione mondiale del commercio, è oggi in grado di esercitare un peso politico internazionale e di condizionare persino la politica statunitense, grazie alle immense riserve finanziarie e al possesso di consistenti titoli di Stato statunitensi. Apparentemente interessata a coniugare crescita economica e sostenibilità interna ed esterna, non esita a rivendicare un ruolo anche nel commercio internazionale dei servizi. Anche se oggi la Cina intende focalizzarsi, con il suo ultimo piano quinquennale, più sul mercato interno che sulle esportazioni, più sulla qualità che sul la quantità, più sulla vita che sul lavoro, più sull’ambiente che sull’industria.

L’India, un Paese dalle grandi contraddizioni, a differenza della Cina con un sistema politico democratico, è avviato a conquistare nel prossimo futuro un posto di rilievo nella divisione internazionale del lavoro, soprattutto nel campo della delocalizzazione dei servizi, sia a basso che ad altissimo contenuto di conoscenze e tecnologie, come in quello della produzione industriale, grazie alla presenza di colossi globali, come il gruppo Mittal nel settore dell’acciaio ed il gruppo Tata in quello automobilistico.

Ed infine la Russia che, venendo dall’esperienza imperiale e da quella dell’URSS, percepisce l’inserimento nel blocco dei BRIC come una forma di declino. Un Paese che aspira ad una modernizzazione ma che finora non è stato all’altezza di realizzarla, così come è stato incapace di diversificare la propria economia, ancora troppo dipendente dalle esportazioni di idrocarburi.

I BRIC più che Paesi emergenti sono dunque Paesi riemersi dalla storia, che nel futuro conteranno di più sul proscenio internazionale. Paesi che, nel tempo, hanno saputo volgere a loro favore il fenomeno della globalizzazione.

Se infatti nel ventennio che va dai primi anni Ottanta al Duemila la globalizzazione ha consentito all’Occidente di aumentare il proprio livello di benessere, il processo si è invertito a vantaggio dei BRIC dal 2002 in avanti. Mentre l’Occidente de-statalizzava alcune sfere dell’economia, i BRIC competevano a livello globale mantenendo al loro interno un forte peso dello Stato nelle attività economiche. Il che ha loro consentito di ricavare dalla potenza economica una sempre maggiore potenza politica e militare.

Tuttavia, se si compara l’attuale spesa militare dei BRIC, pari a solo il 17% di quella mondiale, con quella statunitense che è di circa il 47% , si capisce come, non avendo al momento una capacità di proiezione militare pari a quella occidentale, questi Paesi siano ancora costretti a misurare e contenere le proprie ambizioni. Ne consegue una posizione nelle istituzioni internazionali di responsible shareholder, talvolta di freno alle posizioni occidentali ma mai di contrapposizione.

In ogni caso i BRIC si pongono come potenze di rottura dei paradigmi di pensiero occidentali, in cui democrazia e libertà economica sono strettamente correlate.

Nella relazione con i BRIC l’Italia ha un ruolo importante da giocare. Paradossalmente, il ritardo accumulato dal nostro Paese negli ultimi decenni in termini di modernizzazione, ha consentito di mantenere una struttura ancora relativamente Stato-centrica.

L’Italia è entrata nella globalizzazione con un processo di rinnovamento ancora incompiuto.Tale ritardo ci pone alla frontiera tra BRIC e Paesi occidentali e potrebbe favorire la realizzazione di un modello di globalizzazione diverso da quello di origine anglosassone. Inoltre, accompagnando e sostenendo il desiderio di assunzione di maggiore responsabilità da parte dei BRIC, l’Italia potrebbe anche acquisire un ruolo di rilievo in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite, ottenuto attraverso una modifica della rappresentanza in seno al Consiglio di Sicurezza. E’ dunque opportuno coltivare su base bilaterale le relazioni con ciascuno dei Paesi BRIC, anche se non si possono escludere in futuro eventuali attriti con gli stessi Paesi. Va quindi evitato, soprattutto in fasi di crisi come quella attuale, di cedere loro, ed in particolare alla Cina, assets strategici. Concludendo, a mio avviso i BRIC, pur non essendo ancora espressione di un nuovo modello, sono accomunati dall’mportanza rivestita dallo Stato nel processo economico e dal ruolo positivo che intendono svolgere in campo internazionale; con essi l’Europa e l’Italia saranno progressivamente chiamati a confrontarsi, eventualmente modificando anche qualche paradigma che sembrava acquisito alle nostre strutture di pensiero.

Alfonso Siano

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

Rispondi