Il rottamatore e la politica delle piccole cose

 Matteo Renzi, il giovane e vulcanico sindaco di Firenze, porta con sé una ventata di freschezza. Ma i mulini della sinistra che conta non fanno girare le loro pale con quel vento. All’eolico preferiscono il carbon fossile. Renzi, questa l’accusa più frequente, scimmiotta Berlusconi, il corruttore per antonomasia della politica nazionale. Il populismo, risciacquato in Arno, acquisterà un accento puro, ma non muta natura. Secondo Tamburrano (su questo blog), Renzi non coglie la complessità della crisi che ha investito il capitalismo finanziario. Le sue proposte fluttuano nel vuoto, non sono radicate in una cultura politico-filosofica ben delineata. Insomma: Renzi rappresenta “l’epifenomeno della protesta, non la soluzione”. Bobo Craxi (Avanti della Domenica, n. 38, 6 novembre 2011) è ancor più severo: “il ‘renzismo’ è figlio purissimo del veltronismo, il quale è alla base della nascita del Partito democratico”. In effetti, in quella sorta di “rubabandiera” che è la politica italia d’oggi, Renzi ha strappato di mano a Veltroni e Rutelli il vessillo del ‘nuovismo’. La polemica tra nuove leve e vecchia guardia, però, riguarda le regole, non le finalità del gioco: tutti – giovani e vecchi, post-comunisti e post-democristiani — intendono liquidare le culture politiche “che hanno orientato in Italia mezzo secolo di democrazia e che in Europa continuano a orientare milioni di persone.” Il vizio italiano della rimozione, del vuoto di memoria, facilita questa operazione.

Ogni progetto rimarrà scritto sulla sabbia finché non avremo: (a) un disegno politico lungimirante (quale visione per il futuro dell’Italia?), imperniato su un’analisi approfondita del mondo in trasformazione; (b) un partito riformista con la spina dorsale, che sappia imporsi sulla scena e stringere le alleanze giuste. Ma il cuore del problema è un altro: i partiti che gestiscono la cosa pubblica non sono compiutamente democratici, e il Parlamento è composto da nominati/cooptati dall’alto. Un problema antico. Già Craxi, recepita la lezione di Bobbio, polemizzava aspramente con i comunisti. Come può un partito migliorare la dinamica democratica se è strutturato gerarchicamente, secondo la formula leniniana del centralismo burocratico? Ogni partito dovrebbe rispecchiare al proprio interno l’ethos liberal-democratico dell’ambiente circostante. Altrimenti operiamo trapianti dannosi per l’organismo. Il sistema politico italiano ha crisi di rigetto continue perché anche i partiti di oggi, ancorché a-ideologici, hanno un DNA illiberale. Renzi non ha capito che la nostra polis si regge su palafitte incerte anziché su pilastri solidi. Occorrono: (a) una legge elettorale che restituisca lo scettro ai cittadini; (b) una legge che regoli in senso democratico la vita interna dei partiti (come avviene in Germania); (c) una legge sulle primarie (come quella degli USA). Se queste leggi esistessero già, il problema della “rottamazione” non si porrebbe neppure, giacché gli iscritti sceglierebbero i loro leader!

Detto questo, non possiamo ignorare un fatto cruciale: Renzi “buca il video”, il suo modo di far politica piace tanto all’elettore di destra quanto a quello di sinistra. Cesare Milanese (su questo blog) spiega perché: “la novità è questa: finalmente qualcuno a sinistra che parli da politico e non da prete che predica ideologia.” La gente è arci-stufa di stropicciarsi gli occhi per via di fumisterie ideologiche! Anche la Lega Nord ne produce a iosa: si pensi alla Padania, espressione geografica trasformata in realtà politica; al miraggio di un Nord libero dal “giogo” romano; all’identità celtico-padana immaginaria. La gente è arci-stufa degli illusionisti e pretende fatti concreti, non promesse roboanti. Certo, è da folli stuzzicare l’appetito con pietanze avariate. Ma Renzi vuole davvero servirci un piatto indigesto? Ne dubito. Il Sindaco di Firenze ci ricorda, semplicemente, che la politica vive di progetti e di azione. I partiti di sola testimonianza, o di opposizione permanente, minano la credibilità della politica. I socialisti dovrebbero esserne coscienti: quando i comunisti sognavano la terra promessa, e ne differivano la realizzazione in un futuro lontano, Nenni riportò il PSI alla “realtà effettuale”, inventandosi la “politica delle cose” che si possono fare subito; Bettino Craxi, uomo di governo a tutto tondo, proseguì su quel tracciato, e tentò di de-ideologizzare la sinistra italiana.

Berlusconi e Renzi sono fatti di una pasta completamente diversa. Renzi milita in un grande partito e si muove nel perimetro della polis democratica. Non delegittima la politica, i suoi riti, le sue convenzioni, le sue regole. Non inietta nella nostra società il veleno dell’anti-politica, come hanno fatto Berlusconi, Bossi e Di Pietro – professionisti della peggior politica politicante. Quella, per intenderci, contro la quale anche Craxi si scagliava: la politica ideologica, altisonante, che in realtà è mediocre e vola basso: dietro alla retorica dei Grandi Disegni c’è la prassi dei veti incrociati, dei compromessi al ribasso, delle ruffianerie con le proprie clientele, del tirare a campare, del navigare a vista. Berlusconi, l’imprenditore, l’homo faber a-politico, a suo tempo lanciò una crociata contro la politica professionale, come se il Presidente del Consiglio fosse l’AD di una grande azienda. Il suo bersaglio (lo stesso di Lenin e di Mussolini!) era, e rimane, il “cretinismo parlamentare”. Renzi, invece, vuole solo “rottamare” le cariatidi del PD.

Oggi il cerchio si è chiuso, e siamo tornati allo stesso punto del 1991-92. Berlusconi sfondò perché la politica, incapace di affrontare i problemi del Paese, era autoreferenziale, incomprensibile e litigiosa (“il teatrino della politica”). Quando partiti e parlamento rischiano il cortocircuito, delle due l’una: o affrontano i problemi strutturali, di ingegneria (la ‘Grande Riforma’), o puntano a raccogliere qualche frutto commestibile (le piccole cose, appunto), in attesa di tempi propizi per i massimi sistemi. Se Renzi non fosse il figlioccio di Veltroni e Rutelli, sarebbe più nenniano che craxiano. Come che sia, la parabola del PD è logico che la incarni un giovane rampante, non i reduci di mille battaglie, per giunta sconfitti in quelle più importanti!

Il rischio è che il populismo e la demagogia contagino la sinistra. Ma le epidemie si combattono con antidoti efficaci: la gente è esasperata e, questa volta, pretende che si cambi registro. Che uno le condivida o meno, le proposte di Renzi (www.leopolda2011.it) sono tangibili. E scritte in italiano comprensibile, non in politichese. E, quel che più importa, sono in sintonia con l’ethos liberal-socialista. Nonché realizzabili, purché ci sia la volontà politica. Carlin Petrini le definirebbe ‘buone, giuste e pulite’. Campa (su questo blog) ha analizzato le richieste dei “grillini”. Perché allora non dovremmo ascoltare (non dico considerare come oro colato) ciò che dice Renzi? Se la sinistra non saprà captare quell’esigenza di politica pragmatica, post-ideologica (già Blair diceva che certe cose non sono né di destra, né di sinistra: sono giuste e basta!), a captarla ci penserà qualcun altro. E sarà di certo qualcuno molto peggio di Renzi, che è una persona perbene. Non vorremo mica una proliferazione di movimenti sul genere di quello fondato da Beppe Grillo? Sarebbe una sciagura per la nostra democrazia. Il qualunquismo (“destra e sinistra sono uguali, i politici sono tutti ladri e fannulloni”) è un agente inquinante per il nostro clima politico-culturale. Forse è vero che i “grillini” non sono poi così anti-sistema. Il fatto rimane che l’ostilità anti-casta può degenerare in anti-politica allo stato puro. Per scongiurare questo pericolo, e qui concordo con Campa, c’è un solo rimedio: la sinistra deve rigenerarsi, ispirandosi alle istanze più nobili dei “grillini”, che, in fondo, sono le stesse di Renzi: una politica onesta, trasparente, competente, al servizio dei cittadini. In termini socialisti: più democrazia, più partecipazione, più libertà.

Edoardo Crisafulli

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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