I conti con la socialdemocrazia

 Recentemente, da qualche parte, Massimo D’Alema ha dichiarato che il socialismo è idea da considerarsi superata. Sta bene. Supponendo che non ci sia niente da eccepire su una tesi del genere, che, indubbiamente, ha il merito della chiarezza, ne consegue che la fine dell’idea del socialismo in generale comporti anche la fine dell’opzione socialdemocratica che storicamente ne è conseguita. Il Pd, da quando è nato, ha espresso con nettezza una sola idea: no, comunque, alla socialdemocrazia. Il no all’idea del socialismo, testé pronunciato da D’Alema, vale a conferma teorica complessiva.

Il termine socialismo va pertanto sostituito con il termine più appropriato ai nuovi tempi di progressismo. Ed è questo che ci sembra di aver capito.

E sta bene. La tesi dalemiana è netta ed ha, come si è detto, il merito della chiarezza. Resta il fatto che, con questa sostituzione concettuale e terminologica, non si può eludere il rinvio alla presa di posizione “revisionista” della concezione marxista, intesa nella sua vera essenza.

Argomentazione enorme e proprio perché tale da tenere in disparte, per ora, in attesa delle inevitabili conseguenze teoriche, storiche e politiche, in senso stretto, che ne possono derivare e che ne deriveranno.

Sull’immediato non resta che prendere atto di una dichiarazione di principio, espressa dal miglior esponente (il migliore indubbiamente) esponente della Sinistra italiana che si richiama al Riformismo. Dichiarazione di principio, che, peraltro, viene ad associarsi alla prassi veltroniana “mai stata comunista” per autodichiarazione, pertanto, se non andiamo errati nella deduzione, “mai stata marxista”.

Congiunzione o ricongiunzione molto interessante. Se le cose stanno così, buono a sapersi. Va dato merito alla chiarezza. Aspettiamone (ne auspichiamo) le conseguenze.

Sull’immediato della ragion politica in atto si pone, però, alla Sinistra che si appresta a dover gestire concretamente e globalmente (cioè unitariamente) la realtà italiana, l’inevitabilità di dover assumere, sia pure transitoriamente, i principi propri della socialdemocrazia di tradizione, tuttora in atto nella consuetudine e nella realtà dell’area occidentale del mondo, di cui l’Italia, geopoliticamente e storicamente, fa parte. Quindi, ancora una volta, l’idea socialista tra i piedi, perché sempre alla testa, sia pure transitoriamente, in attesa di…

In attesa di che cosa? Questo è il punto, al quale il sistema teorico, ormai pluridecennale, del connubio D’Alema-Veltroni, sarà tenuto a confrontarsi e a verificarsi.

Sistema, che nel suo richiamo al democraticismo compiuto, è perfetto in sé, perché non incontra contraddizioni se non quelle poste dalla presenza residua del “nemico” del sistema. Ma è proprio qui che scatta la contraddizione interna: il sistema della Sinistra al governo delle cose, nella situazione storica presente, per quanto a orizzonte socialista estinto, non può eludere il fatto di dover svolgere la propria parte, che è quella funzionale che la socialdemocrazia di tradizione gli assegna.

Congiuntura storica vuole che la civilizzazione “progressista” di stampo occidentale, sia funzionale e al tempo stesso democratica (con tutte le imperfezioni e le contraddizioni interne implicite), perché fondata sull’articolazione di quel congegno costituito dal giunto cardanico insostituibile dell’unità-differenziazione del sottosistema liberaldemocratico (qualunque cosa esso sia) e del sottosistema socialdemocratico (qualunque cosa esso sia).

Cesare Milanese

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