Disuguaglianze senza confini

Non intendo riprendere il discorso di Rousseau sulle cause dell’ineguaglianza, un tema che la crisi economica che viviamo ha prepotentemente riportato alla ribalta perchè il “fenomeno” non riguarda più solo l’ineguaglianza tra paesi sviluppati e paesi arretrati, ma riguarda le nostre società “sviluppate”. E tocchiamo metaforicamente con mano che “la disuguaglianza” è ormai “senza confini” per citare il titolo del recente libro di Ulrich Beck. La diseguaglianza tra paesi del primo e del terzo mondo si può spiegare – non giustificare- con fattori geografici, climatici, storici. Ma la disuguaglianza all’interno dello stesso paese non soffre di quel genere di cause – o non le ha in modo determinante (ad es. Nord-Sud d’Italia). E allora, non vi è bisogno di riaprire la disputa filosofica, la spiegazione è là semplice e chiara: la causa è sociale, è economica. Come spiegare altrimenti che nello stesso paese, nelle stesse regioni di paesi capitalistici come gli Stati Uniti o l’Italia, oggi le diseguaglianze sono molto più forti del pur recente passato?

Vorrei citare il libro di Robert B. Reich “Afterschock” che è uscito da qualche mese, che ho cominciato a leggere e poi mi sono “perso” sotto una pila di altri libri, e il recentissimo libro – ricordato- di Beck che si occupa della disuguaglianza nel corso della elaborazione della teoria del “cosmopolitismo”(l’ho già scritto, somiglia al nostro internazionalismo). Alcuni dati: “ai 900 milioni di persone privilegiate dalla grazia di essere nate in occidente tocca l’86% dei consumi mondiali…Al quinto più povero della popolazione mondiale – 1,2 miliardi di persone- l’1,3% dei consumi globali, il 4% per cento dell’energia e l’1,5% di tutte le connessioni telefoniche”. Messi assieme il quinto della popolazione mondiale, cioè un miliardo e duecentomila individui “hanno meno soldi dell’uomo più ricco del mondo”. Questo nel confronto tra aree del mondo. Ma se vogliamo restare all’interno dell’area del primo mondo, nel paese più ricco, gli Stati Uniti, Reich dice che nel 2007, l’1% più ricco deteneva il 23,5% del reddito nazionale totale.

Non voglio continuare a citare i dati sulle crescenti ineguaglianze di cui sono pieni molti volumi sulla crisi; mi limito a sottolineare che basta un dato a rendere chiaro l’argomento: l’enorme aumento dell’inoccupazione nei paesi capitalistici, Stati Uniti in testa, e la crisi del reddito delle famiglie in molti paesi dell’Occidente, Italia in testa. E in generale la contrazione della crescita economica giunta a livelli vicini allo zero. La causa di ciò è nel mercato senza regole- sostiene Reich- che ha arricchito settori minoritari della società, impoverendone la grande massa.

Reich si dichiara “convinto che l’era del culto del mercato finirà” e che “abbiamo il dovere di scegliere – e sceglieremo- la seconda opzione e cioè l’adozione di riforme sociali ed economiche di ampio respiro”.

Vorrei poter condividere la convinzione di Reich, ma da quando ha licenziato quelle parole -marzo 2011- le cose sono peggiorate sia negli Stati Uniti dove Obama ha messo il freno alla sua politica sociale che in Italia dove le cose le conosciamo tutti!

Giuseppe Tamburrano

fondazione nenni

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