L’elemento paradossale è che gli autocrati dei regimi erodiani tendono a percepirsi e a presentarsi all’esterno come l’unico bastione possibile contro il ritorno della società chiusa (in questo caso il radicalismo religioso). Essi infatti si considerano (e sono considerati) il più forte (e avanzato) presidio occidentale in patria. Senza di essi è il diluvio del fondamentalismo islamico. E’ anche per questo che “l’Occidente (…) vede nel mondo arabo soltanto l’alba del fanatismo oscurantista”, come scrive Fatima Mernissi in L’Islam e la democrazia. Tuttavia i fatti degli ultimi mesi stanno dimostrando che non esiste solo la possibilità di una reazione zelota di massa, ma anche di una rivoluzione occidentalizzante.
E’ questo un punto che spesso non viene colto. Basti guardare quanto inchiostro è stato versato per cercare di sostenere che i giovani che nel 1989 erano scesi in Piazza Tienanmen in realtà chiedevano solo un po’ di benessere in più e non le libertà occidentali (si veda ad esempio Maonomics di Loretta Napoleoni). Con una forza stupefacente in molti si sono fatti portatori di un inutile e egoistico relativismo culturale come quando si scrive che “ciò che a noi appare culturalmente difficile o impossibile da accettare, vale a dire l’onnipotenza invadente dell’autorità non bilanciata da difese costituzionali e legislative a tutela dell’individuo-suddito, è per i cinesi l’ordine naturale della società. Esiste un universo diverso dal nostro con il quale è necessario misurarsi (…) andando oltre gli stereotipi” non ingabbiando un “fenomeno di così profondo significato dentro concetti che sono il Dna dell’Occidente ma non dell’Oriente” (Fabio Cavalera, Repubblica impopolare cinese). Questa è una visione astigmatica, che, negando l’universalità dei diritti individuali, spacca l’essenza stessa della società occidentale in quanto prodotto dell’Umanesimo. Dire che i cinesi “non hanno l’Occidente nei loro geni” significa sostenere una posizione che relativizza l’umanità, non in base alla razza, ma alla costumanza politica e pertanto aprire la porta a qualsiasi aberrazione.
A piazza Tahir chiedevano ciò che a piazza Tienanmen è stato negato con i carri armati: è per questo che nel cuore politico di Pechino gli studenti improvvisarono una copia della Statua della Libertà in cartapesta e fecero risuonare la Marsigliese in cinese. Ed è proprio per questo che il regime cinese filtra attentamente le notizie delle rivoluzioni nordafricane. I sentimenti e le aspirazioni dei giovani magrebini sono le stesse dei giovani cinesi ed hanno un’unica fonte il fallimento (inevitabile) del compromesso erodiano. E questo perchè dal 1978 la Repubblica popolare si è avviata nuovamente, dimentica del passato, sulla via erodiana: innestare un pezzo di Occidente, il mercato questa volte, sul fusto cunfuciano-comunista dello Stato.
Se così stanno le cose, questo significa che l’inflazione generata dal QE2 (e la conseguente impennata dei prezzi dei generi alimentari) è stata solo la miccia che ha dato fuoco alla rivolta. La voglia di libertà, di benessere, di democrazia è cresciuta in quei popoli negli ultimi cinquant’anni, fino ad esplodere. La proliferazione delle nuove tecnologie della comunicazione, Internet, i socialmedia, non hanno fatto che aumentare i canali attraverso cui l’Occidente ha occasione di propagarsi, accrescendone a dismisura la sua radioattività. In altre parole Internet non è altro che una Berlino Ovest, che si dispiega davanti agli occhi di chiunque abbia un computer. E’ una Friedrichstrasse visibile da ogni Sud del mondo. E nonostante il Great Firewall cinese (la censura informatica) non c’è muro che tenga.
Questo significa che DominiqueMoïsi, che pur ha avuto il grande medito di introdurre i sentimenti nell’analisi delle relazioni internazionali (si vede Geopolitica delle emozioni), aveva torto quando individuava nel rancore il sentimento collettivo del mondo arabo: le rivoluzioni odierne mostrano che la vera emozione collettiva era ed è la speranza: la speranze delle libertà occidentali.
A fronte di questa speranza qual’è la risposta dell’Occidente? La paura. Non tanto la paura del diverso, o la paura di vedersi strappare il proprio benessere. Ma peggio la paura, pericolosissima perchè mina la coscienza stessa dell’Occidente, di riconoscere agli altri i nostri stessi i diritti. Una paura che minaccia l’anima stessa della nostra civiltà quale appunto “dispensatrice di diritti”. E’ la paura di attuare nei fatti la promessa occidentale, che con una forza strepitosa abbiamo diffuso negli anni nei quattro angoli del globo, e cioè che i diritti occidentali sono diritti universali in quanto diritti dell’uomo.
Rispondere mossi dalla paura alla voglia di Europa dei giovani magrebini è una mossa pericolosa e poco lungimirante. La reazione zelota (come mostra il precedente cinese e quello iraniano o anche la fine della Rivoluzione napoletana del 1799) è sempre dietro l’angolo ed essa è generata dal rancore, il prodotto inevitabile della frustrazione delle aspettative cui si aggiunge il disorientamento dovuto alla dissacrazione degli ultimi elementi della società tradizionale. In breve negare al mondo islamico nei fatti le libertà e le promesse di benessere che abbiamo fatto loro significa spalancare le porte al rancore e con esso creare la materia prima necessaria alla restaurazione della società chiusa.
(2-fine)
Nunzio Mastrolia