Tre cose, apparentemente minori, mi hanno colpito nelle elezioni del 16 maggio: a parte la batosta personale di Berlusconi che non possiamo dire se è l’inizio del declino o un incidente di percorso: ne ha avuto altre e si è ripreso.
Ma le tre cose che io ho notato sono il voto di Stella, quello di Trieste e la performance di Grillo o dei suoi giovani seguaci.
1) A Stella, comune in provincia di Savona che ha dato i natali a Sandro Pertini, la socialista Marina Lombardi ha conquistato il comune con il 62% dei voti;
2) Mentre la diminuzione generale della partecipazione al voto è generalmente modesta: 1-2%, a Trieste, città civilissima, l‘aumento dell’astensione ha superato il 18% ( a Gorizia il 23%);
3) I grillini conoscono un forte successo.
Che cosa vogliono dire questi fenomeni apparentemente marginali e senza rapporto alcuno fra di loro? Che si può essere socialisti e conquistare il 62%; che tanti abitanti di città mitteleuropee rifiutano il sistema politico del loro paese; che Grillo, che urla “né a destra, né a sinistra, ma sopra”, respinge in blocco questi partiti.
Sono fenomeni minori e io non li enfatizzo, però li noto come sintomo di una crisi sistemica. Per principio sono contro l’astensionismo e per rifiutare questa politica compio il mio dovere recandomi al seggio e annullando la scheda. Triestini e goriziani hanno scelto un altro metodo lecitissimo, ma il significato è lo stesso: ripudio di questa politica. Quando Grillo dice né a destra, né a sinistra, ma sopra rifiuta questa politica, ma propone il vuoto. Ed infatti la sua critica è sferzante anche se farsesca (castigat ridendo mores): ma i suoi bravi ragazzi quale metodo democratico propongono, quale progetto, quale programma?
Ecco il pessimismo: Marina Lombardi è sola, a Stella. Gli astensionisti di Gorizia e Trieste sono pochi sul totale e mossi unicamente dal rifiuto. I grillini sono una pattuglia che combatte il sistema, ma non ne fa intravedere un altro.
Giuseppe Tamburrano
Temo che per la Sinistra si possa cominciare a temere una ennesima occasione perduta. Si sta enfatizzando troppo il motivo della vittoria: ma vittoria su chi? Contro chi? Per fare cosa? E poi: chi ha vinto? Il PD? Non credo. Il Partito Democratico sta cercando di mettersi in sella su un risultato elettorale che lo ha visto perdente come e, forse più, di Berlusconi.
A Milano, come a Cosenza, come a Torino e come anche a Napoli il messaggio è chiaro: il cambiamento porta il marchio preciso della distinzione dalla destra. A Milano votano Pisapia, “sopportato” come candidato PD uscito dalle primarie e fortemente caratterizzato politicamente (era la preoccupazione manifestata anche da Cacciari nei dibattiti televisivi); a Torino votano Fassino che ha una storia politica che si fa fatica a dimenticare anche nell’annacquamento della sua precedente esperienza di ministro e fondatore del PD; a Napoli votano De Magistris per la forza dirompente rispetto al sistema costituito (che poi sia tutto oro quello che luccica…); a Cosenza bocciano Perugini (PD) sia perchè ha guidato la peggiore esperienza amministrativa degli ultimi trent’anni e sia perchè rimane l’ennesimo candidato frutto dell’incapacità del gruppo dirigente della sinistra cosentina di accreditarsi come adeguato alla guida della città, insomma l’ennesimo errore di pensare che il candidato “cattolico, ultramoderato e con pedigreee democristiano” fosse l’arma vincente per conquistare questo sempiterno centro moderato (evidentemente Mancini non ha insegnato nulla!).
Ovviamente il voto non parla, ma occorre saper cogliere cosa vuole il cittadino, l’elettore, il lavoratore, il disoccupato che comunque lancia un messaggio. E il messaggio non è sicuramente quello di rincuorare le folle di compagni delusi che adesso si giocano la chance della vittoria. Il messaggio (se ci fossero partiti e gruppi dirigenti in grado di interpretarlo e renderlo coerente e generale) è che si è stufi del modo attuale di fare politica. Bersani quindi non può e non deve cantare vittoria. Il voto va nella direzione opposta a quella del PD, che risulta il vero forte intralcio per la rinascita di una sinistra coerente, socialista, europea, riformista.
Che vada bene per la destra il leaderismo esasperato, la totale identificazione del messaggio politico con la persona (con i vantaggi e gli svantaggi che questo comporta) è un conto, che questo possa andar bene per una sinistra che scimmiotta in peggio tale sistema è un altro conto.
E allora che si mettano pure al vento le bandiere, ma sia chiaro che chi pensa che basti conquistare il comune di Cosenza e di Milano per avere vinto fa ancora il gioco di chi non intende cambiare nella sostanza una politica che esclude la partecipazione, rende i cittadini sempre più diffidenti rispetto a qualsiasi forma di potere e di amministrazione, incoraggia il rapporto anomalo fra convenienza personale e scelta ideale.
Adesso è tempo di votare, da domani ci sarà ancora da lottare perchè la vittoria non è quella della conquista del palazzo d’inverno ma è essere consapevoli che la Sinistra va lì per esprimere vero cambiamento, nelle forme rappresentative, nel modo di organizzare il consenso, nel modo in cui far crescere e gestire il proprio gruppo dirigente.
Ma il vero problema è e rimane quale Sinistra, quali programmi, quale forma partito per il cambiamento. Forse dal pessimismo si può uscire se, analizzando a fondo i dati, ci si convince che è finalmente l’ora di dar vita a un nuovo, vero Partito Socialista, protagonista in Italia e in Europa di un nuovo radicamento nei ceti deboli vecchi e nuovi e di una nuova politica di libertà, eguaglianza e giustizia sociale. Se per qualcuno sembrano termini vecchi e desueti non c’è da meravigliarsi: l’imbarbarimento culturale, e, in molti casi, l’assenza di cultura politica e ideale portano anche a questi fraintesi. Ma il Socialismo non muore mai! E se nel nostro orizzonte non si profila un futuro di vera eguaglianza e libertà, la Sinistra continuerà ad essere confinata nel ghetto delle occasioni perdute e del malinconico tramonto all’ombra della peggiore espressione del conservatorismo predatorio che l’Italia abbia mai conosciuto.
Dobbiamo spenderci per far capire che il popolo italiano, attraverso il voto, ha mandato un segnale chiaro per cambiare: un segnale che solo un moderno e attrezzato partito socialista può correttamente interpretare. Grillo, De Magistris, Di Pietro, Vendola, l’astensionismo sono gli unici strumenti attraverso cui l’elettore da voce a una protesta forte e sana. Se si spende il tempo per cantare vittoria e non capire che questo voto invece pretende un radicale cambiamento nella forma politica e nel progetto politico che deve guidarlo sarà l’ennesima occasione mancata della Sinistra italiana.
Il PD deve capire che il progetto di mettere insieme, in un presunto grande partito moderato, il centro cattolico e quel che restava del vecchio PCI è miseramente fallito. Il PD non è né un grande partito nè un partito vissuto come antagonista della destra, miseramente costretto a una eterna contrattazione interna per tenere insieme cattolici rampanti con laici in disarmo, tendenze operaiste ed egalitariste con la Confindustria pià aggressiva e mercatista, interessi di utenti e consumatori con i boss della finanza predatoria nazionale.
L’Italia ha dimostrato una volta ancora che non si vince perchè ci si presenta come ultramoderati e ligi ai dictat del Vaticano. Si può tentare di competere per essere davvero un grande partito solo se si è veramente alternativi a un progetto di una destra sempre più prepotente ed egoista. Solo così si batte Berlusconi e al Nord si può arginare una Lega che ha saputo parlare alla pancia dei lavoratori e degli operai padani. La Sinistra deve saper parlare alla pancia, alla testa e al cuore dei lavoratori! Oggi non lo fa o non lo sa fare. Ma si hanno ancora tutti gli strumenti per rimettersi in gioco e tornare a rappresentare pienamente il popolo della sinistra che è grande, coraggioso e generoso.
Forza compagni, uno sforzo occorre farlo. Battiamoci da subito per annunciare la dissoluzione del progetto del PD e per riproporre la questione socialista come questione cruciale per il futuro del Paese e dell’Europa.
Michele Stumpo